Sic et non

Riprendo il titolo del notissimo trattato di Abelardo,  che nel suo contrastatissimo e disgraziato amore per Eloisa, ebbe il tempo e il modo di scrivere quest’opera fondamentale nel Medioevo.

Qui sic et non si riferiscono ad una città, anzi alla città, Roma.

Sic: anch’io ho avuto un bellissimo rapporto con Roma, quando mi sono recato nella capitale, in occasione di un periodo afferente alla mia attività di fan e critico cinematografico; è chiaro che mi riferisco a Cinecittà.

Mentre parte del tempo veniva dedicato a visite ai siti archeologici, ai musei ed ai monumenti, non trascurando talora delle puntatine alle trattorie di Trastevere e di qualche altro quartiere, il resto della giornata prevedeva incontri con gente di cinema, ad esempio il mio maestro Lino Miccichè, il critico cinematografico dell’Avanti, nonché mio relatore di laurea, ma di personaggi notevoli ne ho incontrati tanti: critici, registi, attori, anche se devo sottolineare che il summum di questi incontri è stato quello con Miklòs Jancso, il grande regista ungherese reduce da opere formidabili come “L’armata a cavallo” e “I disperati di Sandor“.

Ci univa una grande passione ed una comune origine mitteleuropea, che ci ha fatto incontrare idealmente al Cafè Zentral di Vienna, frequentato da Freud, Kafka ed altri “piccoli” geni locali.

Una Roma, quindi, centro del mondo, ma un centro culturale non solo di pietra e mattoni, per quanto antichi essi siano.

Comunque, un’esperienza indimenticata.

Non: ma, purtroppo c’è anche l’altra Roma, che come un Giano bifronte rappresenta l’antitesi di quella precedente.

All’uscita della stazione Termini, la sensazione precisa di non essere in un paese europeo, ma in una stazione indiana, per esempio quella di Chandrigore.

Da non dimenticare le condizioni disastrose del Comune di Roma, che ha un debito stratosferico e che non è assolutamente in grado di controllare metropolitana, trasporti, nettezza urbana, che sono in condizioni primordiali.

Rebus sic stantibus, come si può pretendere che Roma diriga una nazione così variegata, variopinta e multi linguistica come l’Italia, che nulla ha nelle sue corde meno di un centralismo burocratico?

Eppure, anche in occasione dei risultati delle ultime elezioni politiche, abbiamo visto sciamare migliaia di pinguini ben arredati fra le stanze dei palazzi del Potere, uno sciame appunto d’insetti silenziosi, ma onnivori, pronti a richiedere, ognuno per sé, un sostanzioso salario.

Mi chiedo quanti di questi personaggi abbiano mai vissuto la realtà di un’industria dal suo interno, un impianto produttivo in grado di creare qualcosa non per sé soltanto, ma per la Comunità, in tutti i settori di questa Italia, che si dice così attiva e geniale.

Onestamente, ne ho visti ben pochi, mi sono parsi più che altro dei maggiordomi con la livrea ben stirata, ma, sicuramente, senza le mani sporche di chi attinge alla Realtà.

Conclusioni: mi sembra evidente che le cose come sono non reggono, per cui una soluzione, anzi l’unica soluzione, sarebbe il ribaltare questo Stato centralistico, lontano erede di quello Sabaudo, ed appoggiarsi in modo consistente sulle singole Regioni, queste, sì, storicamente motivate e reali, come i pali che reggono nell’acqua i palazzi di Venezia.

A chi parla di discriminazioni e di differenze intollerabili, ricordo il microesempio della Confederazione Svizzera, il medioesempio della Germania Federale, il macroesempio degli Stati Uniti d’America.

Differenze sostanziali fra i cantoni, i lander, gli stati, ci sono e ci saranno sempre.

Viator

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