“Solvay” si rivale su “Edison”…. Chi è la più bella del reame?

Tutti noi abbiamo nella nostra memoria una delle frasi topiche di “Biancaneve” : “Chi è la più bella del reame?” a cui un immarcescibile specchio risponde “Tu , o mia regina”. Un refrain interrotto solo dalla oggettiva constatazione che la realtà, a volte, può giocare brutti scherzi e ciò che era ritenuto cattivo….magicamente si trasforma in “buono”. Da poco più di una settimana, dopo nove anni di tentativi, di denunce e carte bollate si è giunti al termine dell’annosa vicenda “Veleni di Spinetta M.go”. In questo caso la domanda giusta da porre sarebbe…”Chi è la più pulita, la meno inquinante del territorio…Edison o Solvay?”. A cui un immarcescibile tribunale con specchiata asciuttezza risponderebbe “Non ci sono dubbi…la transazione di vendita dell’impianto chimico di Spinetta m.go a Solvay è avvenuta con forzature e informazioni mancanti “. Da cui  il protrarsi di problemi di individuazione di situazioni inquinanti, delle loro cause e causando anche ritardi nelle soluzioni. Sotto questo punto di vista il Comunicato che segue, a firma Direzione Solvay, è più che illuminante.

Solvay vince la causa legale in materia ambientale contro la precedente proprietà di due siti industriali italiani”

Il Tribunale Arbitrale, istituito secondo il Regolamento della Camera di
Commercio Internazionale, ha ritenuto Edison, precedente proprietario dei
siti industriali di Spinetta Marengo e Bussi sul Tirino, responsabile per la
violazione delle dichiarazioni e garanzie contrattuali in materia ambientale
in relazione alla vendita a Solvay dei due siti, avvenuta nel 2001.
Il lodo arbitrale, dello scorso 22 giugno, ha condannato Edison a risarcire Solvay per le perdite e i danni subiti fino a tutto il 2016, riservando ad una ulteriore fase del giudizio arbitrale la quantificazione delle perdite e dei
danni ulteriori dal 2017 in poi, nonché degli interessi applicabili ai danni già quantificati e delle spese legali.
Questo lodo giunge al termine di una procedura arbitrale internazionale durata 9 anni. In tale procedura, Solvay ha sostenuto che Edison avesse violato le dichiarazioni e garanzie contrattuali in materia ambientale
contenute nel contratto di compravendita (Share Purchase Agreement) del dicembre 2001. Questo contratto ha portato nel 2002 all’acquisizione da parte di Solvay della società italiana Ausimont Spa, a quel tempo proprietà di Montedison (oggi Edison), e con essa dei due siti industriali di Spinetta Marengo e Bussi sul Tirino.
“L’esito del giudizio arbitrale è molto importante per Solvay in quanto riconosce le falsificazioni intenzionali delle informazioni che abbiamo ricevuto durante la procedura di acquisizione di Ausimont”, ha detto Marco
Colatarci, Country Manager in Italia. “Ciò non ha impedito a Solvay di realizzare le necessarie e importanti azioni di bonifica in tutti questi anni, a ulteriore dimostrazione del nostro impegno a fare ciò che è giusto in
termini di rispetto ambientale e a far valere i nostri diritti quando riteniamo che altri siano in difetto”.
“In Solvay, ci impegniamo costantemente per spingerci ben oltre quanto prescrivono le leggi in materia di salute, sicurezza e ambiente”, ha spiegato Augusto Di Donfrancesco, Chief Transformation and Operations
Officer e membro dell’Executive Leadership Team di Solvay(1) . “Negli ultimi anni, abbiamo investito molto nell’ottimizzazione e nella modernizzazione dei nostri impianti per soddisfare gli standard che noi stessi ci siamo imposti. Le nostre priorità di sostenibilità sono guidate da Solvay One Planet, la nostra roadmap per la sostenibilità con obiettivi ambiziosi per promuovere il progresso in materia di clima, risorse e qualità della
vita”.

Siccome non abbiamo particolari interessi a pubblicizzare il marchio Solvay, nè a denigrarlo forzatamente, ma facciamo quanto la buona stampa dovrebbe sempre fare, proviamo a vedere un po’ meglio come stanno le cose. Il primo passo da fare sarebbe quello di andare a controllare, bilanci alla mano, quali sono gli stanziamenti posti in essere per l’ottimizzazione e la modernizzazione degli impianti. Magari facendo un confronto con pari realtà internazionali. In secondo luogo sarebbe da andare  a verificare la veridicità di una qualche forma di unicità mondiale (con conseguente primato) in alcuni prodotti di punta dell’azienda. Analizzandone al contempo livello di destrutturazione, riciclabilità, impatto ambientale in fase di produzione ecc. L’ubicazione (probabilmente non vicino ad una città di quasi centomila abitanti), la condizione ambientale del luogo, l’essere più o meno servita da grandi arterie ferroviarie e stradali, il fatturato annuo per settori produttivi e le condizioni sanitarie delle maestranze, potrebbero fornirci ulteriori dati su cui ragionare. Utili per eventuali nuove autorizzazioni o per ampliamenti di servizi/produzioni. Ammettendo  che tutti questi parametri siano , non solo sotto la normativa di riferimento, ma addirittura frutto di una autolimitazione, perfettamente in linea con la tendenza al cambiamento di sistemi di produzione e relativa resilienza, resta da chiedersi come questa nuova fase verrà “premiata” con consistenti incentivi da parte del Governo tramite il PNRR. Non si tratta di polemica spicciola, solo di avere informazioni rispetto ad un finanziamento che, se destinato a chiudere definitivamente la questione “bonifica” sotto tutti i suoi aspetti e a cambiare nella sostanza le metodologie di produzione, non potrà che avere il nostro entusiastico sostegno. Non andiamo oltre, ben sapendo che la strada della “ripresa” e della “resilienza” non potrà che essere lunga, complessa e, soprattutto, condivisa sia dal punto di vista politico amministrativo che tecnico. Attendiamo fiduciosi. Per il momento ci sentiamo di rilanciare ciò che è stato da poco segnalato dalla “Piattaforma Green Synthesis”, iscritti e simpatizzanti del partito dei Verdi, che propongono un recupero in chiave di archeologia industriale di qualità di quei reparti ora tristemente disabitati e destinati a distruzione, con tutta la storia industriale ad essi collegata. Nella Ruhr, in Alsazia in Belgio, nella stessa Spagna del nord (Bilbao) ci sono esempi magnifici di come una lavorazione fortemente inquinante (ed ora chiusa) possa ssere motivo di curiosità tecnica, di studio, di semplice ricostruzione storica, evitando così di perdere per sempre un patrimonio solitamente sottovalutato. Pensiamoci.

.1. Solvay è una Società basata sulla scienza le cui tecnologie apportano benefici in molteplici aspetti della vita quotidiana. Con oltre 23.000 dipendenti in 64 Paesi, Solvay crea legami fra persone, idee ed elementi per reinventare il progresso. Il Gruppo Solvay si prefigge la creazione di valore sostenibile condiviso per tutti, in particolare grazie al suo programma Solvay One Planet basato su tre pilastri: proteggere il clima, preservare le risorse e promuovere una vita migliore. Le innovative soluzioni del Gruppo Solvay contribuiscono alla realizzazione di prodotti più sicuri, puliti e sostenibili per abitazioni, beni di consumo e alimentari, aerei, autovetture, batterie, dispositivi intelligenti, applicazioni sanitarie, sistemi di depurazione di acqua e aria.
Fondata nel 1863, Solvay oggi si colloca fra le prime tre aziende mondiali per la maggior parte delle sue attività e nel 2020 il suo fatturato netto è stato di 9 miliardi di euro. Solvay è quotata su Euronext Bruxelles
(SOLB), Parigi e negli Stati Uniti, dove le sue azioni (SOLVY) sono negoziate tramite un programma ADR di livello 1. 

.2. L’immagine di lancio in prima pagina riguarda le Officine Fagus ad Alfeld – Progettate a partire dal 1911, le Officine di Fagus sono considerate il primo esempio di architettura moderna. Costruito da Walter Gropius ad Alfeld, l’edificio si distingue per la sua facciata in acciaio e vetro e per gli angoli autoportanti rivestiti in vetro. Testimonia una grande rottura con i valori architettonici e decorativi del periodo e rappresenta un passo deciso verso un’estetica industriale funzionalista.

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