Sondaggi delle mie brame

A tre settimane di distanza dalla sua discesa in campo, i polls freschi di giornata segnalano che Kamala Harris ha ribaltato la sfida che Biden stava perdendo. La notizia è clamorosa, ma va presa ovviamente con le pinze. Il sistema elettorale americano è complicato, e il vincitore verrà coronato comunque sul filo del rasoio. E restando probabilmente appeso al filo di equilibri parlamentari precari.

Prima, dunque, di avventurarci nel risiko dei sondaggi, un po’ di numeri sul contesto, tanto per prendere le misure all’inquilino della Casa Bianca, chiunque dovesse essere. Alle presidenziali l’affluenza è notevole. Nel ’20 si è registrata una partecipazione record di due terzi degli aventi diritto, di molto superiore a quella metà scarsa che va alle urne nelle elezioni di midterm, che si tengono ogni due anni per rinnovare interamente la Camera e un terzo del Senato. Segno che il presidente eletto potrà probabilmente tirare la volata al suo partito e conquistare la maggioranza, ma rischia facilmente di perderla due anni dopo.

L’altro dato da tenere ben presente è che avere il 50% più uno dei votanti, alle presidenziali, non significa vincere. Nelle ultime quattro occasioni in cui hanno eletto il proprio candidato, i repubblicani hanno avuto la maggioranza una sola volta. Ma hanno preso la Casa Bianca grazie al calcolo dei collegi elettorali, che assegnano a ciascuno stato dell’Unione un punteggio, proporzionale all’elettorato. Punti che però vanno tutti a chi vince in quel determinato stato. Dato che i democratici vincono sempre per larga misura in stati molto popolosi – come la California e New York – un po’ di quei voti risultano – per così dire – sprecati. Vanno a gonfiare il totale nazionale, ma sono superflui nel conteggio dell’unico pallottoliere che conta, quello dei singoli stati.

Inoltre, in questo pallottoliere, gli stati decisivi sono meno di una decina: quelli in cui – storicamente – l’esito finale è in bilico. Sono i cosiddetti «swing states», quelli che ballano tra un partito e l’altro e dove per una manciata di voti ci si gioca la Casa Bianca. Scegliere quali tra questi stati sono quelli più ballerini in cui concentrare le risorse della propria campagna elettorale è il compito più arduo dei team di professionisti che coordinano le gigantesche macchine di comunicazione – social e televisiva – dei due candidati. A causare la sconfitta di Hillary fu un colossale errore strategico, dare per scontato il consenso della cintura operaia del Midwest e provare a stravincere strappando addirittura la Florida a Trump. Seguì una disfatta storica.

Ecco perché la notizia principale dei sondaggi usciti in questi giorni non riguarda tanto la risicata maggioranza che la Harris avrebbe su Trump a livello nazionale. Ma il sorpasso che avrebbe realizzato in tre tra i principali swing states: Michigan, Pennsylvania e Wisconsin, in tutti e tre con il medesimo scarto di 54 a 46. Il dato è rafforzato dal fatto che – come documenta l’Economist – l’economia di questi stati sta andando particolarmente bene. Il che in parte spiega il favore con cui è stata accolta la Harris ma – ancora più importante – suggerisce che i democratici non dovrebbero aspettarsi sorprese da quello che potrà succedere su questo fronte nei prossimi mesi.

Perché, in definitiva, l’incognita principale resta questa. La settimana appena conclusa di ottovolante in borsa è stata innescata dai dati che hanno fatto intravvedere un possibile rallentamento della locomotiva americana. Nelle prossime settimane, si capirà meglio se si è trattato di una paura esagerata o se davvero si sta profilando la tanto paventata recessione Usa.

D’altronde, secondo una consolidata esperienza, la campagna entrerà nel vivo solo a partire dal prossimo duello televisivo, in programma per il 10 settembre. Solo allora – a meno di due mesi dal fatidico 5 Novembre – gli americani cominceranno a prestare veramente attenzione alle elezioni. Se alle incognite dell’economia si sommano i tanti fronti geopolitici incandescenti, è facile prevedere che l’autunno sarà bollente. Per l’America, e per tutto il mondo.

di Mauro Calise.

(“Il Mattino”, 12 agosto 2024).

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