Sull’ideologia dell’ “eletto dal popolo” (2010)

Marzo 2010
 La crisi istituzionale innescata dal governo Berlusconi non ha precedente alcuno nella storia della Repubblica Italiana. Il potere esecutivo – il Governo – confligge di continuo con la Magistratura, subordinando intanto il potere legislativo – Camera e Senato – sino a renderlo suo passivo portavoce. L’equilibrio e l’indipendenza dei poteri costituzionali, su cui si regge lo Stato di diritto, sono stati pervicacemente manomessi. Reiterato è stato, di conseguenza, lo scontro con lo stesso Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, autorevole garante della vita costituzionale.

Il conflitto con la Magistratura – nato dalla difesa, da parte del presidente del Consiglio, dei suoi interessi privati, nonché dal suo rifiuto di presenziare, come ogni comune cittadino, ai processi civili e penali che lo riguardano – ha finito per dare vita a una vera e propria ideologia. Quella secondo cui chi ricopre una carica elettiva gode di poteri e di prerogative superiori a tutte le altre articolazioni dello Stato. Un’ideologia aberrante, che conferisce al presidente del Consiglio poteri abnormi: esattamente come si era tentato di fare con il progetto di riforma costituzionale che il referendum confermativo del giugno 2006 ha fortunatamente respinto.

L’ideologia dell’ eletto dal popolo (non importa se da una minoranza reale, moltiplicata da una sciagurata legge elettorale) ha dettato l’agenda della legislazione italiana, in gran parte occupata da leggi su misura berlusconiana, lungo una sequenza che va dal falso in bilancio al cosiddetto legittimo impedimento. L’abnormità della situazione sta nel fatto che attorno a questo nucleo di interessi si è raccolto un ceto dirigente, improvvisato e insieme inadeguato, che ha fatto rifluire in quelle del presidente del Consiglio le proprie fortune: di potere, di rivincita per un potere perduto, di straordinaria occasione per chi dal potere era stato istituzionalmente escluso. Una coalizione, in tal modo, certo eterogenea, ma fortemente connotata nei suoi lineamenti di destra eversiva. Eversiva, innanzi tutto, nei confronti della Costituzione Repubblicana, democratica perché antifascista e antifascista perché democratica. E poi eversiva nelle sue pulsioni sempre ostili alle norme e alle regole di un ordinato Stato di diritto, incontrando così l’endemica italica disposizione all’antistato. E incoraggiandola, questa disposizione, sino a definirla forma di democrazia, lungo uno stravolgimento sistematico di termini storicamente consolidati quali, appunto, democrazia e libertà. Nei momenti liberi da questa ossessiva guerra antimagistratura, la maggioranza di governo ha traccheggiato rispetto alla crisi economica mondiale, perdendo ogni occasione di uscita innovatrice dalla crisi; ha balbettato, attraverso misere improvvisazioni, in politica estera; ha confermato la propria natura dichiarando reato l’immigrazione clandestina, oppure annunciando condoni edilizi nello scasso del territorio e dei beni culturali, oppure ancora spaziando dalla privatizzazione dell’acqua alla pratica liquidazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori – vecchia “anomalia” di un universo a misura padronale -, per continuare con la sistematica censura televisiva. E intanto, naturalmente, assicurando il brodo di coltura a tutte le avventure della corruzione come esercizio di libertà dalle regole, dalle norme e dalle leggi.

Costruire un’alternativa solida e convincente a questo stato di cose, costituisce ormai un compito immane. Troppo radicata e diffusa è l’infezione berlusconiana, a cui occorre rispondere con una altrettanto profonda cura costituzionale: legalità, regole, responsabilità individuale e collettiva, dalla più minuta realtà sociale all’autorità dello Stato democratico. Una cura rivolta a una radicale rivalutazione dell’agire politico, della politica come nobile esercizio quotidiano della piena cittadinanza. E da sostanziare, questa cura, con programmi di governo che sappiano rispondere all’oggi in una prospettiva di ampio respiro, quale necessita a questo Paese privo di politiche economiche, culturali e ambientali.

L’imminenza delle elezioni regionali può cominciare a dare qualche risposta. La speranza è che l’unità delle forze di centrosinistra assicuri buoni risultati, e si consolidi. Qui in Piemonte, in particolare, questa unità può riconfermare la presidenza Bresso. È l’auspicio che Città Futura formula, riconfermando il proprio impegno civile, culturale e politico.