Sono nato a Trieste.
Una città dotata di una “grazia scontrosa”, come sosteneva il poeta Umberto Saba: ed è effettivamente così.
Non è una città di facile accettazione, non è una di quelle città del resto d’Italia, dove l’accoglienza sembra calda, ma dietro l’accoglienza spesso si trovano mille problemi, mille difficoltà.
Sì, è una città del Mediterraneo, città del Nord, calda d’Estate, ma pungente d’inverno, alcune volte simile a una piccola Siberia.
E così, credo anche che, se il carattere delle persone di Trieste è così differente da quello degli altri italiani, c’è un perché.
Perché si tratta di un porto di mare, in cui si mescolano elementi italiani, slavi, tedeschi, ungheresi e addirittura greci, e le varie chiese stanno lì a dimostrarlo: assieme alle chiese cattoliche, troviamo quelle ortodosse, quelle luterane e la sinagoga.
Verso la metà del 1700 l’imperatrice Maria Teresa fece di questa città un porto, un grande porto, e contemporaneamente la quarta capitale dell’Impero Asburgico, dopo Vienna, Budapest e Praga, la capitale sul mare, capace di rivaleggiare, non tanto per Storia, ma per traffici, con la vicina Venezia. E così non possiamo dimenticare che a metà dell’Ottocento lo stesso Massimiliano d’Asburgo, Ministro della Marina, decise di collocare la propria residenza molto vicino al porto, in quel Castello di Miramare, che sarebbe stato una sorta di polo di accoglienza per tutti i dignitari che avessero voluto omaggiare le fortune della città.
Dopo la Prima Guerra Mondiale, Trieste non fu più il porto dell’Impero, ma uno dei tanti porti più o meno importanti che punteggiavano le coste italiane, e si trovò in grande difficoltà così vicina alla eterna e sacrale Venezia e così osteggiata dall’altro grande porto, Genova, che sull’altro mare cercava di assicurarsi il predominio del commercio marittimo italiano.
Dopo quasi un secolo le funzioni della città potrebbero ritornare all’età dell’Oro: un’ipotesi di lavoro è quella che Trieste potrebbe tornare ad essere quella di prima, e cioè il porto naturale dell’Austria, dell’Ungheria e della Repubblica Ceca e di quella Slovacca, il che significa non soltanto porto di import-export, ma anche poderoso cantiere che sarebbe in grado di produrre navi di qualunque tipo, navi commerciali, navi per passeggeri, navi militari, in abbinamento con la vicinissima Monfalcone.
Non riesco ad immaginare che la Roma centripeta e famelica possa comprendere delle situazioni così anomale rispetto ad un metro di giudizio molto spesso superficiale.
Un’iniziativa originale come quella di riportare Trieste ai suoi fasti potrebbe venire soltanto dalla comunità cittadina, cioè dagli imprenditori, dai cittadini coscienti, dalle forze civiche che ne comprenderebbero la validità e la forza transnazionale: non un rimpianto del passato quindi, ma un richiamarsi al passato per rivolgersi al futuro.
D’altronde, già negli anni ’70 del secolo scorso, si parlava di un territorio conosciuto come “Alpen Adria”, cioè quel territorio composto da Friuli-Venezia Giulia, Slovenia e Carinzia, che, lingue a parte, ha tantissime cose in comune, storicamente, culturalmente e tante tradizioni culinarie.
Lo sappiamo, ai nazionalisti e ai sovranisti di oggi queste proposte non piacciono, poiché prevale in essi un sentimento di campanilismo e di nazionalismo becero.
Signori, viviamo nel 2020, viviamo in un mondo globale e globalizzato, non possiamo fissare delle bandierine laddove la patria, come si intendeva una volta, non esiste più.
D’altronde, per chi ama la Storia, ricordiamo i disastri del nazionalismo, cento anni fa affogato nel fascismo nascente e capace di portarci deliberatamente ai disastri della guerra 1940-45. Il destino di Trieste, come quello di tante altre città, è quello di confrontarsi con gli altri, ricordarsi di esser sempre stata un polo commerciale e di essere aperta verso il Mondo, ad Occidente e ad Oriente.
Giorgio Penzo
Commenta per primo