Il tesoretto di San Giuliano Nuovo

Il territorio alessandrino è ricco di storia, anche se spesso ce ne dimentichiamo.

Senza scomodare Acqui, Tortona o Casale, ma restringendo l’attenzione all’area alessandrina vera e propria c’è da scrivere, fra Forum Fulvii, gli argenti di Marengo, i reperti del Cristo e il tesoretto di San Giuliano Nuovo.Di quest’ultimo possiamo dire che è esposto al Museo di Antichità di Torino, è ben catalogato ma non esiste ancora una pubblicazione in merito alla sua storia. Eppure il suo ritrovamento,in prossimità della cascina Milanese, ha un che di avventuroso.

Era il mese di giugno del 1962, quando, durante lavori di drenaggio, a 80 centimetri di profondità, venne individuata una pentola di terracotta, che, rompendosi sotto i colpi del piccone, fece uscire uno splendido tesoro di ben 1700 monete d’argento. Erano denari romani appartenenti ad un arco temporale che andava dal 194 al 44 a. C., anno della morte di Cesare, con tutte le lotte che ne seguirono. Nessuno si preoccupò di fotografare il ritrovamento in quel momento, o subito dopo, forse troppo presi i presenti a pensare a come monetizzarlo (in lire del tempo). Infatti la scoperta non fu segnalata subito alle autorità e ci furono anche tentativi di vendere singoli lotti di monete, poi finalmente il tesoretto fu ricostituito e consegnato al Museo di Antichità di Torino.

In passato, era frequente deporre il denaro in giare, anfore o pentole di terracotta e poi occultarle, da sguardi indiscreti, in nicchie murate,  ai piedi di un muro interno oppure nella profondità della terra, in prossimità di un grosso albero o di un masso. La terracotta è impermeabile ed evita anche processi di ossidazione.

Questa abitudine ha consentito il ritrovamento di parecchi tesoretti, a volte tesori di migliaia di monete, spesso in un buono stato di conservazione. La pentola di terracotta in questione era sepolta in prossimità di una cascina, in un luogo dove certamente, in epoca romana, si trovava una villa rustica o un grosso insediamento rurale. Infatti proprio in questa zona, all’incrocio delle due principali strade coloniche, come in altri luoghi, vi era un piccolo centro abitato, fondamentale per il controllo della viabilità e delle coltivazioni.

Da questo sarebbe poi sorto San Giuliano Nuovo.

Le monete ritrovate sono all’incirca 1700, in buono stato di conservazione. Pur battute da magistrati monetali lontani nel tempo hanno mantenuto le stesse caratteristiche, 3,9 grammi di peso e una lega di argento quasi pura, quindi sempre ben accette e spendibili in un  tempo in cui il denaro era garantito dal proprio intrinseco. Il denario subì una variazione con la riforma di Nerone, quando fu abbassato a 3,4 grammi. Questa moneta era suddivisa in quattro sesterzi. Il sesterzio era d’argento ed era considerato l’unità base dei conti pubblici e privati. Ogni debito, ogni parcella, ogni contratto veniva registrato in sesterzi, poi per comodità si pagava con multipli che potevano essere denari d’argento o d’oro(aurei). Il sesterzio era diviso in quattro assi di rame o di oricalco(ottone), moneta piccola utilizzata per le spese quotidiane. Ma anch’esso, con Augusto, fu battuto in oricalco.

Come già detto, i ritrovamenti di tesoretti sono frequenti sia in aree rurali sia in quelle urbane(Pompei, Paestum, ad esempio), a dimostrazione che molte famiglie benestanti celavano una riserva di denaro  per le necessità. I ricchi disponevano di casseforti o di locali fortificati, simili alle odierne camere blindate. I meno ricchi occultavano il proprio denaro, dentro contenitori di terracotta o di metallo, in punti della casa noti solo a loro o, al massimo, alle mogli e ai figli primogeniti.

Non possiamo non ricordare l’”Aulularia”(“La pentola”) di Plauto, in cui si tratta il tema dell’avarizia. Spesso si sconfinava nell’avarizia perché non esistevano garanzie o coperture, come invece al giorno d’oggi. Erano sufficienti una guerra disastrosa, una calamità naturale o un incendio di vaste dimensioni perché un benestante diventasse indigente e quindi preda degli usurai(questi e i banchieri erano la stessa cosa). Bisogna  aggiungere che, nonostante le apparenze, nel mondo antico la circolazione monetaria era limitata e riguardava soprattutto le città; i poveri ,poi, spesso morivano senza aver  mai visto una moneta d’oro.

In campagna si era autosufficienti e si consumava ciò che si produceva, anche se alcune merci bisognava comprarle, si pensi al sale. Il denaro però serve per dare un valore preciso a ciò che si compra o si vende, poi magari si paga con una moneta alternativa, materie prime o derrate alimentari, ad esempio. Gli acquisti di terre, di greggi o mandrie e di grandi quantità di derrate obbligavano l’homo rusticus a servirsi della moneta, evitando così contestazioni e liti. Quindi si tendeva a mettere da parte un peculio di moneta dal forte potere d’acquisto, nel nostro caso 1700 denari d’argento, non tanto di proprietà di un singolo ma di un’intera famiglia, che vi accedeva tramite il pater familias. Il gruzzolo aumentava o diminuiva nel tempo, secondo le necessità, ecco il perché della presenza di monete di epoca diversa.

Quando un proprietario riceveva un pagamento, lo accantonava nell’anfora o nella pentola; dovendo effettuare un pagamento, dava via le monete più consumate, o di peggior lega, tenendo le migliori, in linea con la legge di Gresham: “La moneta cattiva scaccia quella buona”.

Pentole, anfore e affini, ben occultate, erano bancomat ante litteram.

A volte il capo famiglia moriva prima di comunicare la collocazione del denaro al proprio figlio maggiore, oppure un cataclisma di natura diversa spazzava via tutto, facendo perdere il ricordo del tesoro e il senno a coloro che impazzivano nella sua vana ricerca. Ecco quindi il riemergere di alcuni di questi, a distanza di secoli, riportando alla luce un momento di storia antica, ma non, purtroppo, i nomi, gli stati d’animo e le passioni dei loro possessori.

Ritornando al nostro tesoretto, si sono fatte ipotesi diverse: frutto di un furto, deposito di qualche avaro, cassa militare.

Sulla prima ipotesi non possiamo che porre un punto interrogativo: tutto può essere.

La terza sarebbe da scartare per vari motivi.

Intanto una cassa militare è rinvenuta là dove ci sono tracce di un accampamento. Di solito oltre al tesoretto si trovano altri reperti, punte di giavellotti o di frecce, parti di lame, fibule e così via. Si tratta poi di grosse quantità di monete, contenute in casse di legno e metallo, i cui resti sono quasi sempre individuati. In qualche campo militare sono stati rinvenuti addirittura i conii e alcuni lingotti, a dimostrazione che il denaro usato per pagare le truppe a volte veniva battuto in loco, quando vi era difficoltà nel farlo arrivare a dorso di mulo. Non dimentichiamo però i saccheggi e le requisizioni a danno delle popolazioni presenti nelle aree di guerra.

Nel periodo di appartenenza del tesoretto, II-I secolo a. C.. la paga del legionario romano oscillò fra i 140 denari annui, al tempo di Cesare, ai 225, nell’epoca di Augusto. Con 1700 denari si  sarebbe pagato al massimo il soldo di un mese di un manipolo(formato da due centurie), ma più facilmente di una centuria(formata da 70/80 uomini). C’ è da dire però che queste formazioni dipendevano economicamente dalla cassa della legione, o da quella personale del  comandante in capo. Quando un manipolo, o una centuria, si muoveva separatamente dal grosso dell’esercito o presidiava un punto strategico, viveva a spese delle popolazioni locali. Sicuramente questi 1700 denari erano il peculio di una famiglia agiata e avevano un alto potere d’acquisto, che mantennero nei secoli I e II d. C. Nel nord Italia poi, secondo Ettore Ciccotti(1863-1939), fine studioso del mondo antico, il costo della vita nel I secolo a. C. era più basso rispetto al centro- sud.

I dati a nostra disposizione non sono tanti, però si può fare un piccolo confronto.

Partiamo dal legionario romano: nel I secolo a. C. il soldo annuo passerà da 140 a 225 denari(sotto Augusto), praticamente 1,1 / 1,8 denari ogni tre giorni. Bisogna aggiungere che, nel tempo, sempre più lo stipendio sarà integrato da donativi e  vettovaglie. Una famiglia di modesto livello sociale poteva arrivare a spendere fino a sei sesterzi al giorno(1, 5 denari). Un moggio di grano(litri 8 e 2/3) costava 30 assi(7,5 sesterzi= 1 denaro, 3 sesterzi e 2 assi). Un’anfora di vino (19,44 litri) era venduta a 60 assi(15 sesterzi), un litro quindi veniva pagato 3 assi. 400.000 sesterzi erano il limite che consentiva l’appartenenza alla classe dei cavalieri.

In termini di peso, 1700 denari(6800 sesterzi) corrispondono a 6 chili e 600 grammi di argento, per un valore attuale di 4620 euro. Un valore più basso di quello che un lingotto di più di sei chili aveva nell’antichità, quando il rapporto oro – argento (1:10/12) era più vantaggioso di oggi (1:50/60). Le monete appartengono al periodo 194/44 a. C e ciò è facilmente determinabile perché sui denari romani, al rovescio, sono riportati i nomi dei magistrati monetali e soggetti appartenenti alla storia delle famiglie di appartenenza. I magistrati erano tre, venivano eletti ogni anno e avevano lo scopo di sovraintendere alle operazioni di battitura delle monete, per evitare frodi e malversazioni. La magistratura monetale era la prima del Cursus Honorum dei nobili romani intenzionati a fare carriera in politica. In età repubblicana comunque, il Senato, in caso di necessità, poteva autorizzare anche altri magistrati(consoli, questori, edili ecc.) a coniare moneta.

Concludiamo affermando che il tesoro venne occultato dopo il 44 a . C. o che l’ultimo accesso ad esso da parte del proprietario fu in tale data.

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