Il Testo Unico Ambientale a un bivio. Primi assaggi della nuova normativa

Il “Testo Unico dell’Ambiente” sotto esame

Con l’entrata in vigore del D.Lgs 152/2006, noto anche come Testo Unico Ambientale, si era osservato un cambiamento dell’approccio tecnico per l’individuazione e la gestione dei siti contaminanti. Una continuità con una tendenza al cambiamento in meglio e, sostanzialmente, alla diminuzione dell’impatto  di grandi e medi impianti industriali, per troppo tempo liberi di trattare i loro prodotti (e stoccarli a volte in modo improprio) in un quadro legislativo troppo leggero. Testuale dall’originale del D,Lgs attualmente in fase rielaborazione: “La parte quarta del presente decreto disciplina la gestione dei rifiuti e la bonifica dei siti inquinati anche in attuazione delle direttive comunitarie, in particolare della direttiva 2008/98/CE, prevedendo misure volte a proteggere l’ambiente e la salute umana, prevedendo o riducendo gli impatti negativi della produzione e della gestione dei rifiuti, riducendo gli impatti complessivi dell’uso delle risorse e migliorandone l’efficacia”. Molto chiaro ed efficace.  Gli aspetti inerenti la bonifica e il ripristino ambientale furono, come è noto ai più,  trattati nel titolo V della parte quarta secondo quanto riportato: “il presente titolo disciplina gli interventi di bonifica e ripristino ambientale dei siti contaminati e definisce le procedure, i criteri e le modalità per lo svolgimento delle operazioni necessarie per l’eliminazione delle sorgenti dell’inquinamento e comunque per la riduzione delle concentrazioni di sostanze inquinanti, in armonia con i principi e le norme comunitari, con particolare riferimento al principio ‘chi inquina paga’ ” . Nello specifico, nel testo, oltre alla definizione di sito, venivano anche introdotti i concetti di Concentrazioni Soglia di Contaminazione (CSC) e le Concentrazioni Soglia di Rischio (CSR) da intendere rispettivamente come “livelli di contaminazione delle matrici ambientali che costituiscono valori al di sopra dei quali è necessaria la caratterizzazione del sito e l’analisi di rischio sito specifica […]” e “livelli di contaminazione delle matrici ambientali, da determinare caso per caso con l’applicazione della procedura di analisi di rischio sito specifica secondo i principi illustrati nell’Allegato 1 alla parte quarta del presente decreto e sulla base dei risultati del piano di caratterizzazione, il cui superamento richiede la messa in sicurezza e la bonifica”.

Proprio per questi motivi, queste corrette enunciazioni contenute nel testo ora in esame e, di fatto inalterate rispetto al testo originario, fa specie osservare quanto segue…

Nell’allegato 5 parte IV – titolo V mentre la legislazione europea operativa tramite lo strumento delle “Direttive” ben più che raccomandazioni, indica limiti di soglia ben inferiori a quelli contenuti nel testo per ARSENICO (20 microgrammi per Kg se in condizione A e di ben 50 se in condizione B (1), per il CROMO, di cui è nota tossicità e cancerogenicità (per il CROMO totale in A ben 150mg e addirittura 800 in condizione B. Tenendo sempre un livello eccessivo (ricordando le raccomandazioni che ne escludono la presenza pena multe severe) per il famigerato CROMO ESAVALENTE con 2 mg ammessi in condizione A e ben 15 in condizione B. Stessa situazione di tolleranza eccessiva per il MERCURIO e il NICHEL. Con vuoti informativi che vanno a riguardare altri elementi degni della massima attenzione come lo STAGNO o, peggio ancora, trattandosi di dispersione in acqua dell’AMIANTO nelle sue varie forme, liquidato con un semplicistico “da definire” senza ulteriori indicazioni. Ancora peggiori le impressioni che rileviamo dal confronto fra L152/2006 e attuale proposta di emendamento/variazione prendendo in considerazioni i valori (in condizione A) del pericoloso PENTACLOROFENOLO (2) con i valori minimi di allarme decuplicati  (da 0.001 a 0,01 mg/Kg), così come per il TRICLOROFENOLO. E questo per quanto riguarda la concentrazione al suolo. Ancora peggiore la situazione, in quanto ad elevazione dei parametri per le possibili contaminazioni delle acque sotterranee. Le concentrazioni di ANTIMONIO ammesse passano da 5 a 10 microgrammi per litro, di fatto raddoppiando il livello minimo di allarme. Non viene più definito in modo chiaro il limite pe4r il MERCURIO, mentre per SELENIO e RAME i limiti minimi si alzano del 100/100, cioè raddoppiano in barba ad ogni qualsivoglia principio di precauzione. Assistiamo ad un nuovo inserimento, nel D.Lgs in discussione del VANADIO  con un valore triplo rispetto a quello indicato dalle norme europee (140 microg.). Il BORO aumenta il limite di un terzo così come il TRICLOROETILENE e il TETRACLOROETILENE. Addirittura il TRICLOROPROPANO moltiplica di cento volte il limite minimo di soglia, mentre il TETRACLOROETANO lo porta ad una quantità ammissibile dieci volte superiore. L’unico a subire una diminuzione, forse tenendo conto dei dati provenienti da più AsL notoriamente preoccupate per questo tipo di elemento. È il fitofarmaco di sintesi ATRAZINA.

Gli scriventi, a nome di Pro Natura Alessandria, fanno altresì presente che Un sito si dice contaminato quando “i valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR) determinati con la procedura di analisi di rischio […] risultano superati ”.  Se da un lato il concetto esposto nell’originale D.Lgs 152/06 del 3 Aprile 2006 può essere assunto in maniera universale, dall’altro lato esso non ha un carattere di assolutezza in quanto dipende dai livelli di riferimento stabiliti nelle normative delle diverse nazioni: ragion per cui uno stesso sito può essere classificato come contaminato sulla base di determinati limiti normativi, mentre invece può non rientrare nella definizione sopra se confrontato con indicatori di altre nazioni. In altre parole necessita una comparazione continua dei dati fra sistemi economici di produzione comparabili, presenti su tutto il territorio mondiale. Da queste valutazioni, che vedono – in media – la precedente legge n. 152 in una posizione intermedia fra l’alta sensibilità legislativa ai prodotti considerati e l’altro estremo di maggiore tolleranza, si può sicuramente migliorare, anche se le premesse degli allegati presi in considerazione non fanno ben sperare.

.1. Condizione A: Siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale.  Condizione B: Siti ad uso Commerciale e Industriale.

.2. Il pentaclorofenolo (PCP) è un composto organico aromatico clorurato utilizzato come insetticida, fungicida, erbicida, disinfettante e additivo nelle pitture antivegetative. Il principale impiego di questo composto era come preservante del legno, applicato per proteggere il legname dalle carie del legno e dagli insetti mangialegno. Di forte tossicità se inalato e pericoloso anche solo per contatto cutaneo. Sicuramente cancerogeno.

 

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Monitoraggio dei microinquinanti nelle acque superficiali

A conclusione del quadro, sinceramente disarmante, che – di fatto – registra un arretramento sia in termini specifici normativi sia di prospettiva, riportiamo un documento di origine “Parco del Po” che ci pare di estrema rilevanza. Non viene pubblicato integralmente (in origine ben 220 pagine) e per lacune sezioni è riassunto pur mantenendo i contenuti originari. Si riprendono le articolazioni riguardanti le acque. 

Cominciamo con il ricordare che la qualità delle acque superficiali deve essere misurata attraverso reti di monitoraggio ambientale in grado di fornire una conoscenza approfondita delle problematiche del territorio e dell’evoluzione spaziale e temporale dei fenomeni di interesse.

Riguardo alla conoscenza della qualità delle acque superficiali, le Regioni che insistono nel bacino del fiume Po hanno installato sul proprio territorio un sistema di monitoraggio che da oltre 20 anni fornisce dati sulla qualità e la quantità delle acque superficiali presenti nel bacino.

Tale sistema, realizzato a partire dalla fine degli anni ‘ 70 con l’entrata in vigore della L. 319/76, ha consentito di valutare, nel tempo, gli effetti che la progressiva infrastrutturazione con opere igienico sanitarie, a servizio dei principali agglomerati urbani, ha apportato in termini di miglioramento della qualità delle acque.

Attualmente le reti di monitoraggio sono in corso di revisione al fine di adeguarle alle disposizioni del subentrato D.Lgs. 152/06, che, recependo la Direttiva Quadro europea in materia di tutela delle Acque (Dir. 2000/60/CE), ha abrogato il D.Lgs. 152/99 su cui si basava il precedente sistema di monitoraggio.

Secondo quanto disposto dal D.Lgs. 152/99, la classificazione della qualità delle acque superficiali e la definizione quindi dello stato ambientale dei corpi idrici superficiali veniva dato comparando il cosiddetto stato ecologico con quello chimico.

Lo stato chimico veniva definito in base al superamento o meno dei valori soglia definiti per microinquinanti e sostanze chimiche pericolose (Cadmio, Mercurio, Piombo, Aldrin, DDT, ecc.), il cui elenco e relativi valori massimi ammissibili sono stati definiti dal D.M. 367/2003. A seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 152/06, e quindi della Direttiva 2000/60/CE (DQA) in Italia, il sistema di classificazione della qualità delle acque superficiali interne, e non solo, è stato modificato. Pertanto, partire dal 2009 è stato attivato un nuovo monitoraggio, conforme a quanto richiesto dalla DQA in attuazione del DM 14 aprile 2009, n. 56 “Regolamento recante criteri tecnici per il monitoraggio dei corpi idrici e l’identificazione delle condizioni di riferimento”.

In particolare sono state introdotte le nuove componenti biologiche da monitorare e sono state aggiornate le relative metodologie e frequenze di campionamento. Per la definizione dello stato chimico è stato implementato l’elenco delle sostanze, con particolare riferimento a quelle prioritarie identificate dalla DQA 

L’elenco che ne risulta non si differenzia in modo sostanziale da quello previsto dal D.M. 367/03.

arsenico (n. CAS 7440-38-2) (microgr/l)

diclorodifenildicloroetilene (DDE) (microgr/l)

cromo (n. CAS 7440-47-3) (microgr/l)

diclorodifenildicloroetano (DDD) (microgr/l)

dibutilstagno catione (n. CAS 818-08-6) (microgr/l)

eptacloro (n. CAS 76-44-8) (microgr/l)

tetrabutilstagno (n. CAS 1461-25-2) (microgr/l)

linuron (n. CAS 330-55-2) (microgr/l)

trifenilstagno (microgr/l)

monolinuron (n. CAS 1746-81-2) (microgr/l)

etilbenzene (n. CAS 100-41-4) (microgr/l)

demeton (n. CAS 298-03-3) (microgr/l)

isopropilbenzene(cumene) (n. CAS 98-82-8) (microgr/l)

dimetoato (n. CAS 60-51-5) (microgr/l)

toluene (n. CAS 108-88-3) (microgr/l)

disulfoton (n. CAS 298-04-4) (microgr/l)

xileni (n. CAS 1330-20-7) (microgr/l)

metamidofos (n. CAS 10265-92-6) (microgr/l)

clorobenzene (n. CAS 108-90-7) (microgr/l)

mevinfos (n. CAS 7786-34-7) (microgr/l)

1,2-diclorobenzene (n. CAS 95-50-1) (microgr/l)

cumafos (n. CAS 56-72-4) (microgr/l)

1,3-diclorobenzene (n. CAS 541-73-1) (microgr/l)

diclorvos (n. CAS 62-73-7) (microgr/l)

1,4-diclorobenzene (n. CAS 106-46-7) (microgr/l)

ometoato (n. CAS 1113-02-6) (microgr/l)

2-clorotoluene (n. CAS 95-49-8) (microgr/l)

ossidemeton-metile (n. CAS 301-12-2) (microgr/l)

3-clorotoluene (n. CAS 108-41-8) (microgr/l)

foxim (n. CAS 14816-18-3) (microgr/l)

4-clorotoluene (n. CAS 106-43-4) (microgr/l)

triazofos (n. CAS 24017-47-8) (microgr/l)

3-cloropropene(cloruro di allile) (n. CAS 107-05-1) (microgr/l)

azinfos etile (n. CAS 2642-71-9) (microgr/l)

1,1-dicloroetene (n. CAS 75-35-4) (microgr/l)

anzifos metile (n. CAS 86-50-0) (microgr/l)

1,2-dicloroetene (n. CAS 540-59-0) (microgr/l)

malation (n. CAS 121-75-5) (microgr/l)

1,2-dicloropropano (n. CAS 78-87-5) (microgr/l)

paration etile (n. CAS 56-38-2) (microgr/l)

1,2-dibromoetano (n. CAS 106-93-4) (microgr/l)

paration metile (n. CAS 298-00-0) (microgr/l)

1,3-dicloropropene (n. CAS 542-75-6) (microgr/l)

fention (n. CAS 55-38-9) (microgr/l)

2,3-dicloropropene (n. CAS 78-8-6) (microgr/l)

fenitrotion (n. CAS 122-14-5) (microgr/l)

1,1,2,2-tetracloroetano (n. CAS 79-34-5) (microgr/l)

triclorfon (n. CAS 52-68-6) (microgr/l)

1,1,1-tricloroetano (n. CAS 71-55-6) (microgr/l)

propanile (n. CAS 709-98-8) (microgr/l)

1,1,2-tricloroetano (n. CAS 79-00-5) (microgr/l)

bifenile (n. CAS 92-52-4) (microgr/l)

cloroetene(cloruro di vinile) (n. CAS 75-01-4) (microgr/l)

pirazone (cloridazon-iso) n. CAS 1698-60-8) (microgr/l)

2-cloroetanolo (n. CAS 107-07-3) (microgr/l)

bentazone (n. CAS 25057-89-0) (microgr/l)

1,3-dicloro-2-propanolo (n. CAS 92-23-1) (microgr/l)

benzidina (diamminodifenile) (n. CAS 92-87-5) (microgr/l)

dicloro-di-isopropilene (n. CAS 108-60-1) (microgr/l)

diclorobenzidine (diclorodiamminodifenile) (microgr/l)

epicloridrina (n. CAS 106-89-8) (microgr/l)

cloronaftaleni (microgr/l)

1-cloro-2,4-dinitrobenzene (n. CAS 97-00-7) (microgr/l)

alfa-clorotoluene (cloruro di benzile) (n. CAS 100-44-7) (microgr/l)

1-cloro-2-nitrobenzene (n. CAS 89-21-4) (microgr/l)

alfa-alfa-diclorotoluene (cloruro di benzilidene) (n. CAS 98- 87-3) (microgr/l)

1-cloro-3-nitrobenzene (n. CAS 88-73-3) (microgr/l)

1,2,4,5-tetraclorobenzene (n. CAS 95-94-3) (microgr/l)

1-cloro-4-nitrobenzene (n. CAS 121-73-3) (microgr/l)

esacloroetano (n. CAS 67-72-1) (microgr/l)

4-cloro-2-nitrotoluene (n. CAS 89-59-8) (microgr/l)

clorotoluidine (microgr/l)

cloronitrotolueni (microgr/l)

cloroamminotolueni (microgr/l)

dicloronitrobenzeni (microgr/l)

2-cloro-para-toluidina (n. CAS 615-65-6) (microgr/l)

2-clorofenolo (n. CAS 95-57-8) (microgr/l)

2-cloro-4-amminotoluene (n. CAS 95-74-9) (microgr/l)

3-clorofenolo (n. CAS 108-43-0) (microgr/l)

2-cloro-1,3,butadiene (n. CAS 126-99-8) (microgr/l)

4-clorofenolo (n. CAS 106-48-9) (microgr/l)

1,1,2-triclorotrifluoroetano (n. CAS 85535-84-8) (microgr/l)

2,4,5-triclorofenolo (n. CAS 95-95-4) (microgr/l)

tributilfosfato (n. CAS 126-73-8) (microgr/l)

2,4,6-triclorofenolo (n. CAS 88-06-2) (microgr/l)

dietilammina (n. CAS 109-89-7) (microgr/l)

2,4-diclorofenolo (n. CAS 120-83-2) (microgr/l)

dimetilammina (n. CAS 124-40-3) (microgr/l)

2-ammino-4-clorofenolo (n. CAS 95-85-2) (microgr/l)

2,4,6-tricloro 1,3,5-triazina (cloruro di cianurile) (n. CAS 108- 77-0)

 (microgr/l)

4-cloro-3-metilfenolo (n. CAS 59-50-7) (microgr/l)

PCB totali (microgr/l)

2-cloroanilina (n. CAS 95-51-2) (microgr/l)

3-cloroanilina (n. CAS 108-42-9) (microgr/l)

4-cloroanilina (n. CAS 106-47-8) (microgr/l)

3,4-dicloroanilina (n. CAS 95-76-1) (microgr/l)

4-cloro-nitroanilina (n. CAS 89-63-4) (microgr/l)

acido cloroacetico (n. CAS 79-11-8) (microgr/l)

acido 2,4-diclorofenossipropanoico (diclorprop) (n. CAS 79- 11-8) (microgr/l)

acido 2,4-metilclorofenossipropanoico (mecoprop) (n. CAS 93-65-2) (microgr/l)

acido 2,4-metilclorofenossiacetico (mcpa) (n. CAS 94-74-6) (microgr/l)

acido 2,4-diclorofenossiacetico (2,4 D) (n. CAS 94-75-7) (microgr/l)

 

acido 2,4,5-triclorofenossiacetico (2,4,5 T) (n. CAS 93-76-5) (microgr/l)

clordano (n. CAS 57-74-9) (microgr/l)

In particolare: microinquinanti nelle acque del fiume Po

Le caratteristiche delle acque superficiali sono strettamente collegate alle attività antropiche presenti nel bacino e, in particolare, dipendono da quanto viene effettuato in termini di depurazione degli effluenti sia civili che industriali e in termini di razionalizzazione degli usi di sostanze chimiche di sintesi in agricoltura. Il controllo dei microinquinanti nelle acque superficiali ha assunto negli ultimi anni un ruolo importante finalizzato anche al mantenimento di livelli di qualità delle acque tali da consentire l’uso antropico delle stesse.

Sulla base di queste considerazioni, sin dagli anni ‘90 si sono avviate delle attività di ricerca e monitoraggio volte a determinare i principali microinquinanti presenti nelle acque del fiume Po.

In particolare si è svolta un’attività di monitoraggio delle acque del Po presso la stazione di Pontelagoscuro, sia in quanto questa è considerata la stazione a chiusura di bacino sia in quanto le acque grezze provenienti dal Po vengono utilizzate per produrre acqua potabile destinata ad alimentare l’acquedotto della Provincia di Ferrara.

Il monitoraggio è stato condotto secondo quanto disposto dal DM 367/03 e quindi i composti a cui si farà riferimento nel seguito sono quelli esplicitamente elencati dal Decreto.

Metalli pesanti

Non esiste una definizione ufficiale di metallo leggero o pesante da parte della IUPAC, l’autorità internazionale che fissa e aggiorna la nomenclatura e la terminologia degli elementi e composti chimici, o da parte di organismi simili. Nonostante questo, numerosi articoli e pubblicazioni parlano genericamente di “metalli pesanti” e “leggeri” omettendo una chiara definizione o dando definizioni in contrasto tra loro basate sulla densità, sul peso atomico o altre proprietà chimiche. Il termine metallo pesante si riferisce a tutti gli elementi chimici metallici che hanno una densità relativamente alta e sono tossici in basse concentrazioni.

Esempi di metalli pesanti includono il mercurio (Hg), il cadmio (Cd), l’arsenico (As), il cromo (Cr), il nichel (Ni) ed il piombo (Pb).

I metalli pesanti sono componenti naturali della crosta terrestre. Non possono essere degradati o distrutti. In piccola misura entrano nel nostro corpo via cibo, acqua ed aria. Come elementi in tracce, alcuni metalli pesanti (per esempio rame, selenio, zinco) sono essenziali per mantenere il metabolismo del corpo umano. Tuttavia, a concentrazioni più alte possono portare ad avvelenamento. Esso potrebbe derivare, per esempio, da contaminazione dell’acqua potabile (per esempio da tubature in piombo), da alte concentrazioni nell’aria ambiente vicino alle fonti di emissione, o assunzione tramite il ciclo alimentare.

I metalli pesanti sono pericolosi perché tendono a bioaccumularsi.

Bioaccumulazione significa un aumento nella concentrazione di un prodotto chimico in un organismo biologico col tempo, confrontata alla concentrazione del prodotto chimico nell’ambiente. I residui si accumulano negli esseri viventi ogni volta che sono assimilati ed immagazzinati più velocemente di quanto sono scomposti (metabolizzati) o espulsi.

I metalli pesanti possono entrare nei rifornimenti idrici da scarti derivanti da consumi o industrie, o persino per effetto della pioggia acida che penetra nei terreni e porta i metalli pesanti nei corsi d’acqua, nei laghi, nei fiumi e nell’acqua freatica.

ARSENICO L’arsenico (il cui simbolo chimico è As) è un semimetallo che risulta molto più tossico in ogni suo stato combinato rispetto allo stato elementare.  È usato in molte leghe metalliche e nella lavorazione del vetro. È un comune inquinante del carbone, pertanto le maggiori fonti di inquinamento industriale da arsenico sono le centrali elettriche a carbone e le fonderie. Essendo il carbone utilizzato molto nei cementifici è molto probabile trovarlo come inquinante dell’aria anche nelle zone di ricadute di questi impianti, insieme al nichel. Viene utilizzato anche nella produzione di pesticidi e nell’industria dei semiconduttori. Le forme chimiche che procurano intossicazione sono l’arsenico elementare e l’As-inorganico, gli arsenicali organici e l’arsina (AsH3). L’arsenico inorganico viene ben assorbito dall’apparato gastrointestinale e a livello polmonare generalmente oltre il 50% della dose assunta. I composti di arsenicali organici sono generalmente considerati poco assorbibili e il loro assorbimento è relativo alla loro idrosolubilità. Inoltre tali composti, una volta assorbiti, vengono facilmente eliminati con le feci e le urine; infatti sono soggetti a biometilazione epatica detossificante, pertanto gli arsenicali organici sono meno tossici e più facilmente escreti. L’arsenico inorganico può passare la placenta e determinare un danno fetale, inoltre è considerato cancerogeno per: polmoni, cute, reni e fegato, soprattutto nell’intossicazione cronica.

I maggiori effetti tossicologici sono determinati dall’arsenico inorganico, in fattispecie:

  • l’arsenico pentavalente (As(V)) è un disaccoppiante della fosforilazione ossidativa, cioè è capace di sostituirsi al fosfato inorganico (Pi+ADP = ATP) e pertanto il processo di formazione di ATP è bloccato (As+ADP = arseniato instabile che si decompone nuovamente in ADP+As);
  • l’arsenico trivalente (As(III)) reagisce con i radicali sulfidrilici (R-SH) dei composti cellulari inattivando enzimi come la piruvato deidrogenasi. L’esposizione all’arsenico è un fattore di rischio per il tumore della pelle. Questo elemento viene costantemente rinvenuto nelle acque del fiume Po con concentrazioni che superano i 2 µg/l (2,6 µg/l rilevati a Pontelagoscuro nell’agosto 2007).

La concentrazione massima consentita nelle acque superficiali al momento risulta essere pari a 5 µg/l. Dal 2015 deve essere inferiore ai 2 µg/l.

CADMIO Il cadmio deriva le sue proprietà tossicologiche dalla sua somiglianza chimica allo zinco, un micronutriente essenziale per le piante, gli animali e gli esseri umani. Il cadmio è biopersistente e, una volta assorbito da un organismo, rimane in esso per molti anni (nell’ordine di decine per gli uomini) prima di venire espulso. Negli esseri umani, l’esposizione di lunga durata è associata a disfunzioni renali. Elevata esposizione può portare all’affezione polmonare ostruttiva ed è collegata a cancro polmonare, anche se i dati riguardo a quest’ultimo sono difficili da interpretare a causa di altri fattori concomitanti. Il cadmio può anche produrre problemi alle ossa (osteomalacia, osteoporosi) negli esseri umani e negli animali.

Inoltre, il metallo può essere collegato ad aumento della pressione sanguigna e ad effetti sul miocardio negli animali, anche se la maggior parte dei dati sugli esseri umani non sostengono questi risultati. L’assunzione quotidiana media per gli esseri umani è valutata intorno a 0,15 µg dall’aria e 1 µg dall’acqua.

Fumare un pacchetto di 20 sigarette può portare all’inalazione di circa 2-4 µg di cadmio, ma i livelli possono variare ampiamente. Il cadmio è prodotto come inevitabile sottoprodotto del raffinamento dello zinco (o occasionalmente piombo), dal momento che questi metalli si presentano naturalmente all’interno di minerali grezzi. Tuttavia, una volta raccolto il cadmio è relativamente facile da riciclare.

L’uso più significativo del cadmio è nelle batterie di nichel/cadmio, come fonti di energia ricaricabile o di energia secondaria che presentano elevata uscita, lunga durata, bassa manutenzione e elevata resistenza a stress fisico ed elettrico. I rivestimenti di cadmio forniscono una buona resistenza alla corrosione, specialmente in ambienti a stress elevato quali applicazioni marine ed aerospaziali dove sono richieste sicurezza e affidabilità elevate; il rivestimento è corroso più facilmente se danneggiato.

Altri impieghi del cadmio sono in pigmenti, stabilizzatori per PVC, leghe ed residui elettronici. Il cadmio è presente anche come impurità in parecchi prodotti, compresi i fertilizzanti a base di fosforo, i detersivi ed i prodotti petroliferi raffinati. In generale, per le persone che non fumano la via principale per l’esposizione è attraverso gli alimenti, l’aggiunta di cadmio al terreno agricolo da varie fonti (deposizione in atmosfera e applicazione di fertilizzanti) e assorbimento da cibo e da produzioni foraggere.

Esposizione supplementare per gli esseri umani deriva dal cadmio presente nell’aria ambiente ed nell’acqua potabile. Questo elemento viene costantemente rinvenuto nelle acque del fiume Po con concentrazioni intorno agli 0,5 µg/l (2,5 µg/l rilevati a Pontelagoscuro nel novembre 2002). La concentrazione massima consentita nelle acque superficiali al momento risulta essere pari a 1 µg/l. Dal 2015 deve essere inferiore a 0,1 µg/l.

CROMO Il cromo è un metallo duro, lucido, color grigio acciaio; può essere facilmente lucidato, fonde con difficoltà ed è molto resistente alla corrosione. Gli stati di ossidazione più comuni del cromo sono +2, +3 e +6, di cui +3 è il più stabile; stati +4 e +5 sono relativamente rari. I composti del cromo +6 (cromo esavalente) sono potenti ossidanti. Il cromo metallico e i composti del cromo trivalente non sono normalmente considerati pericolosi per la salute, ma i composti del cromo esavalente sono molto tossici se ingeriti: la dose letale di composti di cromo esavalente è di circa mezzo cucchiaino da tè.

La maggior parte dei composti del cromo esavalente sono irritanti per gli occhi, la pelle e le mucose, ed una esposizione cronica ad essi può causare danni permanenti agli occhi, se non adeguatamente curati.

Il cromo esavalente è un famoso agente cancerogeno per gli esseri umani. Nel 1958 l’Organizzazione mondiale della sanità consigliò una concentrazione massima ammissibile per il cromo esavalente di 0,05 milligrammi per litro nell’acqua potabile, sulla base di misure di salvaguardia per la salute. Tale raccomandazione è stata rivista molte volte, ma il valore fissato non è mai stato elevato. Poiché molti composti del cromo sono stati e sono tuttora usati in colori, vernici e nella concia del cuoio, molti di essi si ritrovano oggi nel terreno e nelle falde acquifere in siti industriali abbandonati, che ora necessitano di decontaminazione e recupero ambientale.

A partire dal 1º luglio 2006 è diventata obbligatoria la Direttiva della Comunità Europea 2002/95/CE (RoHS) che vieta l’utilizzo di cromo esavalente come componente nei rivestimenti anticorrosione in vari tipi di apparecchiature elettriche ed elettroniche. Questo elemento viene costantemente rinvenuto nelle acque del fiume Po con concentrazioni intorno agli 5 µg/l (7 µg/l rilevati a Pontelagoscuro nel febbraio 2007). La concentrazione massima consentita nelle acque superficiali al momento risulta essere pari a 4 µg/l.  Dal 2015 deve essere inferiore a 1,5 µg/l.

PIOMBO Il piombo è fra i metalli non ferrosi più riciclati e la sua produzione secondaria si è quindi sviluppata costantemente nonostante la discesa del suo costo. Le sue proprietà fisiche e chimiche sono applicate nelle industrie di lavorazione, di costruzione e chimiche. E’ facilmente lavorabile, malleabile e duttile. Ci sono otto ampie categorie di uso: batterie, additivi per benzina (non più permessi nell’EU), prodotti rotolati e estrusi, leghe, pigmenti e composti, guainatura di cavi, colpi e munizioni. Negli esseri umani l’esposizione al piombo può provocare una vasta gamma di effetti biologici a seconda del livello e della durata di esposizione.

Vari effetti derivano da una vasta gamma di dosi, i feti in sviluppo e gli infanti sono più sensibili degli adulti. Alti livelli di esposizione possono provocare effetti biochimici tossici negli esseri umani che comprendono problemi nella sintesi di emoglobina, problemi sui reni, sul tratto gastrointestinale, sui giunti e sul sistema riproduttivo e danneggiamento acuto o cronico del sistema nervoso.

L’avvelenamento da piombo, che è così grave da essere causa evidente di malattie, è ora effettivamente molto raro. A concentrazioni intermedie, tuttavia, vi è prova convincente che il piombo può avere leggeri effetti infraclinici, specialmente sullo sviluppo neuropsicologico dei bambini.

Alcuni studi suggeriscono che ci possa essere una perdita di fino a 2 punti di quoziente d’intelligenza a seguito di un aumento di piombo nel sangue da 10 a 20 µg/dl nei bambini piccoli. L’ingestione media quotidiana di piombo per gli adulti è stimata intorno ai 1,6 µg dall’aria, 20 µg dall’acqua potabile e 28 µg dal cibo. Anche se la maggior parte delle persone ricevono il grosso della loro assunzione di piombo dagli alimenti, in specifiche popolazioni altre fonti possono essere più importanti, come l’acqua nelle zone con condutture in piombo ed acqua piombosolvente, l’aria vicino alle sorgenti di emissione, terreno, polvere, particelle di vernice in vecchie case o in terreni contaminati.

Il piombo nell’aria contribuisce ad aumentare il livello di piombo negli alimenti tramite deposizione di polvere e pioggia contente il metallo sui raccolti e sul terreno. Per la maggior parte della popolazione, tuttavia, l’esposizione al piombo tramite la dieta è molto al di sotto della presa settimanale tollerabile provvisoria suggerita dall’Organizzazione per il cibo e l’agricoltura e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Il piombo è immesso nell’ambiente sia da fonti naturali che antropogeniche. L’esposizione può avvenire attraverso l’acqua potabile, il cibo, l’aria, il terreno e la polvere derivante da vernice vecchia a base di piombo. Nella generale popolazione non fumatrice adulta la via principale di esposizione proviene da cibo e acqua. Cibo, aria, acqua e polvere/terreno sono le potenziali vie principali di esposizione per gli infanti ed i bambini piccoli. Per i bambini fino a 4 o 5 mesi dell’età, aria, latte, acqua e polvere/terreno sono le principali sorgenti. Questo elemento viene costantemente rinvenuto nelle acque del fiume Po con concentrazioni intorno agli 0,5 µg/l (2,5 µg/l rilevati a Pontelagoscuro nel novembre 2002). La concentrazione massima consentita nelle acque superficiali al momento risulta essere pari a 1 µg/l. Dal 2015 deve essere inferiore a 0,1 µg/l.

MERCURIO Si tratta di un metallo di transizione pesante, avente colore argenteo. È uno degli elementi della tavola periodica ad essere liquido a temperatura ambiente, insieme al bromo e ad altri elementi. Viene principalmente ottenuto per riduzione del cinabro. Il mercurio trova principale impiego nella preparazione di prodotti chimici industriali e in campo elettrico ed elettronico. Viene usato nei termometri, barometri, sfigmomanometri, coulometri, pompe a diffusione e molti altri strumenti da laboratorio, scelto perché liquido, opaco e di alta densità. Tra i suoi impeghi in campo elettrico ed elettronico rientrano la realizzazione di interruttori, elettrodi, pile. In campo medico, l’amalgama di mercurio con altri metalli è usato per realizzare le otturazioni dentali.

Nelle “celle a mercurio” viene utilizzato un elettrodo di mercurio liquido per condurre l’elettrolisi del cloruro di sodio in acqua, per produrre cloro gassoso e idrossido di sodio.  Il mercurio è stato usato anche come liquido di raffreddamento in alcuni tipi di centrale nucleare e per realizzare telescopi a specchio liquido. Il mercurio ha trovato impiego anche nella purificazione dei minerali di oro e argento, attraverso la formazione di amalgama. Questo utilizzo, altamente inquinante e nocivo per l’ambiente e i minatori, è ancora diffuso nelle miniere d’oro del bacino del Rio delle Amazzoni, in Brasile. I vapori di mercurio sono usati in alcuni tipi di lampade a fluorescenza. Ancora più vasti sono gli utilizzi dei composti chimici del mercurio: catalizzatori, coloranti, insetticidi. Molti degli usi comuni in passato, compresi erbicidi e farmaci, sono stati abbandonati per la tossicità del mercurio. La tossicità del mercurio è nota sin dall’antichità: i Romani erano infatti a conoscenza dei sintomi nervosi dell’esposizione all’elemento.

Le fonti storiche di allora citano che Mitridate, re del Ponto, era uso prevenire i potenziali tentativi di avvelenamento attraverso un filtro composto da una cinquantina di sostanze naturali. E tra queste sostanze vi erano sia il mercurio che l’arsenico. Nel Medioevo, gli alchimisti furono attratti dalle proprietà dell’elemento e la sua tossicità era già nota da essere utilizzato per avvelenamenti; alcune prove spingono a ritenere che Napoleone, Ivan il Terribile e Carlo II d’Inghilterra siano morti per avvelenamento da mercuriali. Nell’età moderna, la tossicità del mercurio ed i suoi effetti nocivi sulla salute della mente si fecero palesi in particolare nell’Inghilterra dell’Ottocento, quando disordini mentali si diffusero tra i produttori di cappelli, che utilizzavano grandi quantità dell’elemento per lavorare il feltro.

La diffusione di tali sintomi ispirarono con tutta probabilità lo scrittore e matematico Lewis Carroll nell’ideazione della figura del Cappellaio Matto, resa celebre dal romanzo Alice nel paese delle meraviglie.

Nella storia recente si ricorda il disastro ambientale nella baia di Minamata provocato da metilmercuriali. Tracce di mercurio sono state trovate nei fondali adiacenti ai grossi impianti petrolchimici. La contaminazione è dovuta alle acque di scarico derivanti dalle vecchie celle a mercurio del processo clorosoda. La fonte principale di assunzione di mercurio è formata dal cibo, oltre agli impieghi negli antisettici, nelle vernici, nelle cere per pavimenti, nei lucidanti per mobili, negli ammorbidenti e nei filtri per i condizionatori di aria. Studi rigorosi sulla tossicità dell’elemento, in ogni caso, presero il via solo all’inizio del Novecento. Da ricordare il testo “I pericoli dei vapori di mercurio e dell’amalgama” (1926) del chimico tedesco Alfred Stock, che poté studiare gli effetti acuti dell’esposizione al mercurio in seguito ad un accidentale rovesciamento nel suo studio di un flacone contenente copiose quantità dell’elemento. È più volte stato ipotizzato che alcuni sali di mercurio in particolare il Thimerosal (composto da metilmercurio nella misura del 50%), utilizzati nella preparazione dei vaccini possano avere un ruolo importante nell’insorgenza dei disturbi autistici. Il metilmercurio infatti renderebbe l’organismo incapace di provvedere alla disintossicazione dei metalli pesanti, che si accumulerebbero così nell’organismo con grave effetto neurotossico, inoltre anche l’attività di alcuni enzimi verrebbe seriamente compromessa e si originerebbero così gravi scompensi metabolici, inoltre induce atassia, insonnia, parestesie, restringimento del campo visivo, disartria, ipoacusia. Occorre tener presente che il mercurio è presente nelle otturazioni dentali in amalgama (di colore argenteo). Le stesse case farmaceutiche produttrici specificano nelle avvertenze sui rischi di avvelenamento da mercurio da amalgame. Questo elemento è stato rinvenuto in passato nelle acque del fiume Po con concentrazioni talvolta anche rilevanti (8,5 µg/l rilevati a Pontelagoscuro nell’ottobre 2001). Negli ultimi anni non ne è stata segnalata la presenza. La concentrazione massima consentita nelle acque superficiali al momento risulta essere pari a 0,05 µg/l. Dal 2015 deve essere inferiore a 0,02 µg/l.

NICHEL Il nichel è un metallo bianco argenteo, che può essere lucidato con grande facilità. Appartiene al gruppo del ferro, ed è duro, malleabile e duttile. Si trova combinato con lo zolfo nella millerite, con l’arsenico nella niccolite, e con arsenico e zolfo negli occhi di nichel. Il nichel è uno dei cinque elementi ferromagnetici. Si accompagna molto spesso con il cobalto: entrambi si possono trovare nel ferro meteorico. È assai apprezzato per le proprietà che conferisce alle leghe metalliche di cui fa parte. A causa della particolare lega usata, la moneta americana detta nichelino[2] (nickel) non è ferromagnetica, mentre l’equivalente canadese lo era fino all’anno di conio 1958 compreso. Lo stato di ossidazione più comune del nichel è +2, ma sono stati osservati anche complessi di nichel in stati di ossidazione 0, +1 e +3.

Circa il 65% del nichel consumato nel mondo occidentale viene impiegato per fabbricare acciaio inox austenitico; un altro 12% viene impiegato in superleghe. Il restante 23% del fabbisogno è diviso fra altri tipi di acciaio, batterie ricaricabili, catalizzatori e altri prodotti chimici, conio, prodotti per fonderia e placcature. Piccole quantità di nichel sono richieste dal corpo umano per produrre le cellule rosse del sangue, tuttavia, in quantità eccessive, possono diventare leggermente tossiche. Una sovresposizione di breve durata a nichel non è ritenuta causare alcuni problemi di salute, ma un’esposizione a lunga durata può  causare riduzione del peso corporeo, danni al fegato e al cuore ed irritazioni cutanee. Il nichel può accumularsi nella vita acquatica, ma la sua presenza non è amplificata nei cicli alimentari.

L’Unione Europea regola per decreto la quantità di nichel che può essere contenuta in prodotti che sono a contatto con la pelle. Nel 2002 in un articolo della rivista Nature alcuni ricercatori hanno dimostrato che le monete da 1 e 2 euro eccedono questi limiti. Sembra che questo sia dovuto ad una reazione galvanica. Questo elemento viene costantemente rinvenuto nelle acque del fiume Po con concentrazioni intorno agli 3 µg/l (4 µg/l rilevati a Pontelagoscuro nel maggio 2007). La concentrazione massima consentita nelle acque superficiali al momento risulta essere pari a 3 µg/l. Dal 2015 deve essere inferiore a 1,5 µg/l.

Organometalli

Composti organici contenenti all’interno della molecola atomi di un elemento metallico legato a un atomo di carbonio. Hanno formula generale RM o RMX, dove R è un radicale alchilico e X è un alogeno. La natura del legame carbonio-metallo può variare da legame ionico a legame covalente e dipende principalmente dalla natura del metallo. La reattività di un composto organometallico aumenta all’aumentare del carattere ionico del legame.

Ad esempio, i composti organometallici in cui il legame carbonio-metallo è di tipo ionico, quali i sodioalchili, sono incendiabili al solo contatto con l’aria e reagiscono in modo esplosivo con l’acqua. Gli organometalli vengono impiegati soprattutto nelle sintesi organiche come intermedi o come catalizzatori. Nessuno degli elementi elencati dal D.M. 367/03 è stato rilevato nelle acque del fiume Po negli ultimi anni.

Idrocarburi policiclici aromatici

Gli idrocarburi policiclici aromatici, noti anche con l’acronimo IPA o PAH nell’acronimo inglese, sono idrocarburi costituiti da due o più anelli aromatici, quali quello del benzene uniti fra loro, in un’unica struttura generalmente piana. Si ritrovano naturalmente nel carbon fossile e nel petrolio, da cui si estraggono, particolarmente dalle qualità ricche in aromatici. La loro formazione per cause antropiche avviene invece nel corso di combustioni incomplete di combustibili fossili, legname, grassi, tabacco, incenso e prodotti organici in generale, quali i rifiuti urbani. Gli utilizzi sono svariati; vengono utilizzati a fini di ricerca e alcuni vengono sintetizzati artificialmente. In alcuni casi vengono impiegati per la sintesi di coloranti, plastiche, pesticidi e medicinali.

Il capostipite della classe chimica è il Naftalene. In condizioni normali gli IPA si presentano tutti allo stato solido. La tensione di vapore di tali composti è generalmente bassa, ed inversamente proporzionale al numero di anelli contenuti. I composti a peso molecolare basso generalmente sublimano a temperatura ambiente. Gli IPA sono poco solubili o del tutti insolubili in acqua; la solubilità diminuisce all’aumentare del loro peso molecolare. Sono altamente lipofili e questa loro caratteristica ne influenza fortemente il bioaccumulo. La struttura molecolare ne determina la stabilità: in genere, a causa delle notevoli repulsioni elettroniche, la struttura lineare è la meno stabile; la conformazione ripiegata possiede invece minore energia e quindi un guadagno di stabilità. Anche se esistono più di cento diversi IPA, quelli più imputati nel causare dei danni per la salute dell’uomo e degli animali sono: l’acenaftene, l’acenaftilene, l‘antracene, il benzo(a)antracene, il dibenzo(a,h)antracene, il crisene, il pirene, il benzo(a)pirene, l’indeno(1,2,3-c,d)pirene, il fenantrene, il fluorantene, il benzo(b)fluorantene, il benzo(k)fluorantene, il benzo(g,h,i)perilene e il fluorene.

Vari IPA sono stati classificati dalla IARC (1987) come probabili o possibili cancerogeni per l’uomo. Tra quelli comunemente presenti nelle matrici ambientali, vi sono il benzo(a)pirene, il benzo(b)fluorantene, il benzo(k)fluorantene, l’indeno(1,2,3-c,d)pirene, il benzo(a)antracene, il benzo(j)fluorantene ed il dibenzo(a,h)antracene. Pur essendo lo studio di queste miscele particolarmente complicato, è stato comunque dimostrato che l’esposizione alle miscele IPA comporta un aumento dell’insorgenza del cancro, soprattutto in presenza di benzo(a)pirene (presente anche nel fumo di sigaretta). L’attività cancerogena è dovuta ai prodotti del metabolismo di queste sostanze, quindi sono sostanze premutagene. Difatti nel fegato vengono ossidate e ad un doppio legame viene sostituito un gruppo epossidico. Nessuno di questi composti è stato rilevato negli ultimi anni in concentrazioni superiori ai limiti consentiti dalla legge nelle acque del fiume Po (la concentrazione massima ammissibile al momento risulta essere pari 0,004 µg/l e diventerà 0,001 µg/l entro il 2015). Va segnalato comunque che la loro sommatoria (ossia la misura condotta a rilevare la loro presenza attraverso un test non selettivo) risulta spesso pari al limite consentito dalla legge che al momento risulta essere 0,02 µg/l (diventa 0,005 µg/l al 2015).

Composti Organici Volatili (VOC)

I composti organici volatili (COV) o VOC (dall’inglese Volatile Organic Compounds) includono gruppi diversi con comportamenti fisici e chimici diversi. Si classificano come VOC, infatti, sia gli idrocarburi contenenti carbonio ed idrogeno come unici elementi (alcheni e composti aromatici) sia composti contenenti ossigeno, cloro o altri elementi tra il carbonio e l’idrogeno, come gli aldeidi, eteri, alcool, esteri, clorofluorocarburi (CFC) ed idroclorofluorocarburi (HCFC). Vengono definiti composti organici volatili qualsiasi composto organico che abbia a 293,15 K (20 °C) una pressione di vapore di 0,01 kPa o superiore (definizione dell’art 268 del D.Lgs. 152/2006 e smi). I VOC possono dividersi in due categorie : composti antropogenici e biogenici. Tra i primi rientrano: benzene, toluene, metano, CCl4, etano, eccetera. I BVOC (composti organici volatili biogenici) comprendono principalmente i terpeni (α-pinene, β-pinene, limonene, sabinene, ecc.) ed isoprene. L’importanza delle emissioni biogeniche, soprattutto in alcune zone, è divenuta evidente, quando si sono comparate le stime di BVOC alle stime di emissioni antropogeniche. 

Negli Stati Uniti, ad esempio, è stato stimata un’emissione biogenica di composti organici volatili pari a 30.86Tg anno-1 contro i 21.09 Tg anno-1 di VOC antropogenici, stimati per il 1990. Le emissioni biogeniche dominano chiaramente quelle di carattere antropogenico, soprattutto nel periodo estivo in concomitanza dell’aumento del quantitativo di ozono ed in particolare nelle zone rurali. Inoltre le emissioni di carattere biogenico sono di particolare importanza per la loro influenza sul bilancio totale di carbonio e sulla capacità di reazione con ozono, radicali OH e NO3, per produrre inquinanti atmosferici come l’ozono, gli aldeidi, i chetoni, i perossidi organici ed il monossido di carbonio. La distribuzione dei VOC è la somma delle sorgenti emittive e delle reattività chimiche proprie di ogni composto.

Nelle aree rurali la concentrazione di idrocarburi insaturi può essere aumentata dall’emissione dal suolo e dalla vegetazione. Nelle aree forestali il contributo delle sorgenti naturali diventa notevole, portando ad un significativo effetto sulla fotochimica a scala locale, regionale o globale. Anche gli incendi, lontano da aree industrializzate o aree urbane, possono divenire una fonte di idrocarburi insaturi, in grado di alterare la composizione dei gas a livello traccia (Bonsang e Boissard, 1999).

La vegetazione è la sorgente principale per quanto riguarda le emissioni di VOC biogeniche, ed è, tipicamente, l’unica sorgente usata per le stime di BVOC.

Si calcola che la vegetazione emetta circa la metà degli idrocarburi biogenici totali (THC) non metanici, tra cui isoprene, terpene e emiterpene; su scala globale si stima che  la vegetazione emetta 1.2×1015 gC anno-1, un quantitativo pari alle emissioni globali di metano (CH4) (Baldocchi et al., 2001). È inoltre indubbio che le emissioni di composti organici volatili dalla parte della vegetazione costituiscano una parte non trascurabile del carbonio rilasciato in atmosfera (Geron et al., 1994; Guenther et al., 1995), anche se la loro alta reattività (tempi di vita che variano da minuti ad ore) e grandi variazioni spaziali e temporali dei tassi di emissione conducono ad un’estrema variabilità della concentrazione (Bonsang e Boissard, 1999). I BVOC sono spesso suddivisi in 4 classi: isoprene (C5H8), monoterpeni (C10Hx), altri VOC reattivi (ORVOC) (CxHyOz) ed altri (OVOC). Le prime stime del numero di composti organici rilasciati dalla vegetazione hanno individuato oltre 300 composti differenti, compresi idrocarburi ed isoprenoidi (Ciccioli et al., 1994). Tale numero è stato successivamente aumentato per comprendere alcoli, aldeidi, chetoni ed esteri, fino a contare più di 1000 composti (Knudsen et al., 1993).

La sola famiglia dei monoterpeni include più di mille strutture, tra volatili e semivolatili. Il potenziale produttivo di composti organici volatili dalle piante è ben illustrato nella figura seguente (Fall, 1999), che evidenzia, inoltre, come i VOC siano prodotti da molti diversi compartimenti della pianta e come essi siano il prodotto di differenti processi fisiologici: I composti organici di origine biogenica sono usualmente suddivisi in tre categorie: isoprene, monoterpeni ed atri, che contribuiscono con quote del 44%, 11% e del 45%, rispettivamente, alle emissioni totali annuali di VOC biogenici (Guenther et al., 1995). L’isoprene viene classificato come un prodotto secondario ed è l’unità chimica base dei monoterpeni e degli altri composti terpenoidi. Prodotti secondari erano considerati tutte quelle sostanze come ad esempio gli alcaloidi, i tannini e i terpeni, che, prima di studi sul significato fisio-ecologico di questi metaboliti, si riteneva non fossero coinvolte nei processi metabolici essenziali per le piante. Tra i metaboliti secondari i terpenoidi costituiscono il più vasto gruppo di composti vegetali. Queste sostanze sono caratterizzate dall’avere una comune unità strutturale, l’isoprene, e comprendono ormoni ed altre sostanze che rivestono un ruolo fondamentale nel metabolismo della pianta. I monoterpeni hanno una struttura di 2 unità con 5 atomi di carbonio (C5) e comprendono strutture (C10) mono-, bi-, e tricicliche. L’emissione di monoterpeni è indipendente dalla luce (Guenther et al., 1991), tranne che nelle querce sclerofille Mediterranee, come Q. ilex (Loreto et al. 1996a, Staudt e Bertin, 1998) e Q. coccifera.

Mentre è nota la modalità di formazione ed emissione dei monoterpeni in molte piante, come ad esempio per le conifere, non sono ancora certi i meccanismi enzimatici della formazione dei monoterpeni nelle querce mediterranee.

Il Quercus ilex, ad esempio, produce vari composti, prevalentemente α-pinene e β-pinene. Il marcamento isotopico di questi composti con CO2 ha suggerito come la sintesi sia localizzata prevalentemente nei cloroplasti fogliari (Loreto et al., 1996b).

La presenza di questi composti nelle acque superficiali può derivare sia dal loro vasto utilizzo in diversi processi industriali, sia, pur se in misura inferiore, dal trattamento di disinfezione con cloro delle acque di scarico civili e dei liquami prodotti da allevamenti zootecnici. I composti più frequentemente riscontrati negli ultimi 20 anni sono stati: tricloroetano, triclorofluorometano, carbonio tetracloruro. In particolare, le massime frequenze e le più alte concentrazioni di tutti i composti ricercati, si sono verificate verso gli inizi degli anni ‘90.

I prelievi successivi, infatti, hanno mostrato un evidente miglioramento della situazione, con l’individuazione sporadica di solo alcuni composti ed a concentrazioni inferiori a 1,5 µg/l (ad es. cloroformio). I limite di legge consentito attualmente per questi composti va dai 10 agli 0,5 µg/l. In futuro la soglia verrà ridotta di un fattore circa 10 (1 – 0,2 µg/l). 2.5.

Composti Nitroaromatici

Il nitrobenzene e i suoi cloro-derivati è un nitrocomposto aromatico; a temperatura ambiente è un liquido oleoso giallo dall’odore caratteristico, che ricorda le mandorle.

La sua struttura è quella di un benzene in cui un atomo di idrogeno è stato sostituito da un gruppo nitro – NO2. Trova principalmente uso come intermedio nella produzione dell’anilina e dei suoi derivati, ma può essere usato anche sia come solvente che come blando agente ossidante. Viene inoltre usato nella produzione di sostanze isolanti, di vernici, di lucidi da scarpe o per superfici, spesso per mascherare odori sgradevoli. In chimica fine trova impiego nella sintesi dell’acetaminofene, un analgesico.

È un composto altamente tossico, pericoloso per l’ambiente. Né il nitrobenzene, né i suoi cloro derivati sono stati rilevati negli ultimi anni nelle acque del fiume Po.

Il nitrotoluene e i suoi cloro-derivati è un nitro composto aromatico che a temperatura ambiente può presentarsi o come un liquido oleoso giallo dall’odore caratteristico o come un solido di colore giallo. Il nitro toluene viene usato nella sintesi organica di prodotti intermedi per la fabbricazione di prodotti chimici per l’agricoltura e prodotti a base di gomma, esplosivi, coloranti termosensibili, coloranti azoici e allo zolfo nonché nella sintesi diun’ampia gamma di composti compresi i petrolchimici, i pesticidi e i prodotti farmaceutici. Il nitro toluene deriva principalmente dalla nitrazione del toluene e dopo la fabbricazione viene largamente utilizzata in situ per produrre o-toluidina o 2,4-dinitrotoluene. Oltre che per la salute delle persone, per le quali può risultare tossico per inalazione, per contatto con la pelle e per ingestione, il nitrotoluene e i suoi derivati risultano tossici anche per gli organismi acquatici.

Il nitrotoluene e i suoi derivati non sono stati rilevati negli ultimi anni nelle acque del fiume Po. 2.6. Alofenoli Gli alofenoli sono composti organo alogenati.

Di particolare interesse data la loro elevata tossicità sono i clorofenoli. I clorofenoli sono stati ampiamente prodotti a partire dagli anni ’50 e utilizzati come fungicidi, diserbanti, come conservanti del legno e come precursori per la produzione di clorofenossi erbicidi. Tra i clorofenoli, il pentaclorofenolo è sicuramente il composto più pericoloso. Si tratta di un biocida universale, caratterizzato da un’alta persistenza nell’ambiente e da scarsa biodegradabilità. E’ uno dei biocidi più noti e utilizzati per il trattamento antiparassitario del legno e dei tessuti; impiegato anche dalle industrie conciarie, della cellulosa, della carta, delle vernici (come antimuffa). L’esposizione occupazionale a clorofenoli si registra soprattutto negli impianti di produzione e nelle attività di trattamento del legno. In alcuni lavoratori esposti è stato riscontrato un aumento del livello urinario di clorofenoli e anche un aumento della concentrazione nel tessuto adiposo di dibenzodiossine e dibenzofurani.

La principale via di assorbimento sembra essere quella cutanea. Il monitoraggio di queste sostanze nelle acque superficiali è stato attivato solo di recente.

Aniline e derivati

L’anilina (nota anche come fenilammina o amminobenzene) è un composto aromatico avente formula bruta C6H7N. È un’ammina primaria la cui struttura è quella di un benzene in cui un atomo di idrogeno è stato sostituito da un gruppo NH2. A temperatura ambiente si presenta come un liquido incolore quando è molto pura. La prima produzione su scala industriale dell’anilina fu impiegata come intermedio della sintesi della mauveina, un colorante viola scoperto nel 1856 da William Henry Perkin. Viene utilizzato anche per il “nero inferno”, un colorante particolare usato dai calzolai per le pelli.

L’anilina è un cancerogeno riconosciuto per l’uomo. Provoca soprattutto tumori della vescica, ma anche tumori renali, cutanei, epatici e del sangue. Come molecola di per sé non è attiva, ma richiede previa metabolizzazione nel fegato attraverso processi di idrossilazione ad opera di enzimi dipendenti dal citocromo P450 (catena ossidativa dei microsomi). I principali derivati dell’anilina sono il para-amminofenolo e la 2,4-diossi-anilina; a loro volta, questi intermedi devono andare incontro a reazioni di ossidoriduzione per potersi trasformare nei loro rispettivi chinoni para-iminochinone e 2-idrossi-paraiminochinone. Come tali queste molecole sono assai reattive (elettrofili) e reagiscono prontamente con specifici residui di proteine e con gli acidi nucleici. Il legame che instaurano è di tipo covalente, quindi irreversibile.

Nel caso delle proteine, se si tratta di enzimi questi possono essere permanentemente inattivati e devono essere degradati. Nel caso degli acidi nucleici (soprattutto il DNA) si verificano interazioni covalenti con le basi guanina ed adenina, che portano sia a legami crociati tra le eliche del DNA che a rotture delle stesse.

Chiaramente, se il danno avviene a livello di un cosiddetto “hot spot” (letteralmente “punto caldo”) sede di un proto-oncogene, è più probabile che la cellula rischi l’esito trasformante.

L’anilina e i suoi derivati non sono stati finora rilevati nelle acque del fiume Po.

Fitofarmaci I prodotti fitosanitari (agrofarmaci o fitofarmaci) sono tutti quei prodotti, di sintesi o naturali, che vengono utilizzati per combattere le principali avversità delle piante (malattie infettive, fisiopatie, parassiti e fitofagi animali, piante infestanti). In verità tutto il settore è disciplinato da norme, che si originano generalmente in sede Comunitaria tramite Direttive le quali vengono poi recepite e trasformate in leggi e decreti dagli Stati membri.

La legge italiana definisce prodotti fitosanitari quei prodotti che: « proteggono i vegetali (piante vive o loro prodotti) da organismi nocivi, eliminano piante o parti di esse indesiderate, favoriscono i processi vitali delle piante (esclusi i concimi), conservano i prodotti vegetali (ortaggi, frutta, semi; esclusi i conservanti altrimenti disciplinati) ».

Nel termine di legge sono comprese, quindi, le seguenti categorie di prodotti:

  • anticrittogamici (contrastano le malattie e/o alterazioni da funghi e batteri); • nematocidi, insetticidi e acaricidi (combattono insetti e altri animali dannosi);
  • diserbanti ed erbicidi (eliminano le malerbe);
  • fitoregolatori (ormoni vegetali ed assimilabili);
  • radicanti e bracchizzanti.

La produzione, il commercio e l’impiego di tali prodotti non è, almeno legalmente, approssimativo. Ogni nuova molecola che viene posta in vendita subisce un lungo iter di sperimentazioni scientifiche che debbono essere documentate e di procedure burocratiche (anche a livello Europeo). Per converso, certi rimedi cosiddetti o spacciati per naturali o sono veramente casalinghi, oppure sono in realtà molto spesso classificati erroneamente come prodotti fitosanitari oppure coadiuvanti dei prodotti fitosanitari (come i rameici, zolfo, sapone molle, olio di colza ecc).

I prodotti autorizzati sono sottoposti a revisioni di vario tipo in rapporto a indizi e dati che man mano si accumulano, come ad esempio sulla possibile trasformazione nel terreno o nell’acqua dei residui in sostanze nocive. Il settore è disciplinato in modo analogo a quello dei medicinali ad uso umano. Prima dell’introduzione della nozione giuridica di prodotti fitosanitari, i fitofarmaci per la casa, il balcone e il giardinaggio erano classificati come presidi medico-chirurgici. Attualmente sono inglobati nei prodotti fitosanitari e individuati con la sigla PPO (Prodotti per Piante Ornamentali). Sono di libera vendita, anche nei supermercati. La principale causa di contaminazione dovuta agli erbicidi é da attribuirsi principalmente all’utilizzo in agricoltura (soprattutto per coltivazioni intensive di cereali), anche se in Lombardia, ad esempio, sono state individuate anche delle sorgenti puntiformi associate ad attività industriali.

Le regioni padane sono quelle in cui l’agricoltura é più sviluppata, quindi il consumo di fitofarmaci in queste zone é particolarmente elevato. Infatti per 21 dei 23 erbicidi più venduti in Italia, almeno una delle regioni padane si colloca sempre entro i primi tre posti per quanto riguarda il consumo. II massiccio uso di tali sostanze può comportare importanti problemi ecologici per quanto riguarda la contaminazione delle acque superficiali, poiché, in relazione alle proprietà chimico-fisiche, é possibile un trasporto degli erbicidi anche in zone più o meno lontane dal luogo di applicazione, attraverso il ruscellamento dopo abbondanti piogge o il trasporto con il vento per i composti più volatili.

Per poter trarre conclusioni sull’andamento temporale delle concentrazioni residue dei diversi principi attivi, si dovrebbero tenere in considerazione i diversi fattori che influenzano la loro presenza nell’ambiente: periodo di somministrazione in campo, condizioni meteo-climatiche, caratteristiche chimico-fisiche del composto (solubilità, persistenza, ecc.), struttura geologica del terreno coltivato, ecc.

A causa della complessità dell’interazione di questi parametri, è estremamente difficile quantificare la persistenza nell’ambiente di questi composti.

Tuttavia, dalla osservazione dell’insieme dei dati raccolti ad oggi, sembra di poter evidenziare quanto segue.

TIOBENCARB Diserbante utilizzato nella coltura del riso risulta presente nelle acque del fiume Po a concentrazioni variabili che sono andate diminuendo negli ultimi anni passando dagli 0,14 µg/l rilevati a Pontelagoscuro nell’aprile del 2002 al non rilevamento nel 2007 presso la stessa stazione.

MOLINATE Come riscontrato anche in altre sezioni dell’asta Po, la presenza di elevate concentrazioni si osserva limitatamente ai periodi di maggio-giugno, concomitanti con i trattamenti delle risaie. Nei mesi indicati i valori massimi raggiunti sono stati di 1,79 µg/l nel giugno 1989 e 3,94 µg/l nel maggio 1990. Nel 2007 la concentrazione misurata a Pontelagoscuro si attestava intorno agli 0,1 µg/l.

ALACHLOR E’ un diserbante selettivo di prima emergenza per il mais. I valori massimi di concentrazione di questo diserbante nelle acque del fiume Po si riscontrano nei mesi di maggio-giugno (0,04 µg/l), con frequenza di positività e concentrazioni inferiori rispetto ad altre sostanze. Ciò può essere imputato alla degradazione ed al metabolismo che tale principio subisce sul terreno dove si trasforma rapidamente a un derivato dell’anilina.

TRIAZINE Tra i prodotti erbicidi utilizzati in pre emergenza contro le infestanti ci sono anche le cloro-triazine come la simazina, la terbutilazina (nelle colture di agrumi, vite, olivo, orzo, mais, segale) e in misura minore la cianazina (nelle colture del mais e del frumento). La Simazina è un erbicida selettivo, utilizzato in pre emergenza nel controllo di infestanti a foglia larga e di erbe annuali in molte colture tra cui viti, diversi tipi di verdure, piante ornamentali e soprattutto cereali. Impiegata anche per il controllo di alghe e altre infestanti in acquari e allevamenti di pesci. E’ prodotta come polvere solubile in acqua, ma anche in forma liquida o in granuli. E’ moderatamente persistente nell’ambiente, ha un tempo di dimezzamento che va dai 30 ai 150 giorni e può essere adsorbita in terreni argillosi.

La sua bassa solubilità (5 mg/L a 20°C) la rende però poco mobile. Viene assorbita a livello delle radici e raggiunge le foglie dove agisce come inibitore del fotosistema II. 18 La concentrazione residua di simazina rilevata nelle acque del fiume Po risulta sempre nettamente inferiore rispetto ad altri composti a causa sia del suo minore utilizzo in campo, sia della sua minore solubilità in acqua (0,01 µg/l settembre 2007 a Pontelagoscuro).

La terbutilazina, invece, risulta costantemente presente nei campioni prelevati a Pontelagoscuro con concentrazioni massime nel periodo da maggio a luglio (0,03 – 0,05 µg/l). Prodotto di degradazione della terbutilazina e la desetilterbutilazina (DET).

Questa si forma mediante dealchilazione del composto precursore e agisce sia nel suolo sia nelle piante come il composto parentale. E’ più polare e più mobile della terbutilazina e viene costantemente rilevata a Pontelagoscuro con concentrazioni massime da luglio a settembre (0,04 – 0,03 µg/l). Tra le cloro-triazine va annoverata anche l’atrazina e il suo prodotto di degradazione desetilatrazina (DEA), il cui impiego è vietato su tutto il territorio nazionale dal 1992 (con Decreto del Ministero della Sanità del 18 marzo 1992, n.705/910), ma che continuano ad essere rilevate lungo il fiume Po anche se in concentrazioni inferiori rispetto alla terbutilazina (0,01 µg/l a Pontelagoscuro).

La DEA spesso è stata rinvenuta nelle acque di falda in concentrazioni anche superiori a quelle del suo precursore.

METOLACLOR Utilizzato in pre-emergenza nelle colture di sorgo e cereali in sostituzione dell’atrazina, viene rilevato costantemente lungo il fiume Po con concentrazioni massime nel periodo aprile luglio (concentrazione massima misurata 0,2 µg/l a maggio 2007 presso Pontelagoscuro).

OXADIAZON Erbicida ad ampio spettro utilizzato nella coltivazione del riso, si rileva costantemente nelle acque del fiume Po da aprile a settembre con concentrazioni anche piuttosto elevate (0,4 µg/l a settembre 2007 a Pontelagoscuro).

DIURON Erbicida indicato per il diserbo di colture arboree, asparago, floricoltura, argini di risaie e aree industriali. Il Diuron in soluzione acquosa va incontro ad idrolisi con formazione di un unico prodotto aromatico la 3,4-dicloroanilina (vedi anilina e derivati per ulteriori informazioni). Questo composto viene rilevato con una certa frequenza nelle acque del fiume Po con concentrazioni intorno agli 0,1 µg/l (0,14 µg/l misurati a Pontelagoscuro nel maggio 2007). La sua concentrazione limite è posta attualmente in 0,2 µg/l: diventerà 0,02 µg/l nel 2015. INSETTICIDI ORGANOFOSFORATI La contaminazione da insetticidi organofosforati è risultata, nel periodo analizzato molto contenuta, in quanto limitata alla presenza di pochi principi attivi.

Gli unici principi attivi presenti in concentrazioni misurabili sono stati l’Anzifos Etile e l’Anzifos metile. Questi stessi composti sono tra i più venduti in Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna secondo i dati dell’Istat.

I livelli osservati nel fiume Po a Pontelagoscuro si collocano mediamente intorno al valore di 0,01 µg/l con un massimo di 0,03 µg/l nel mese di agosto 2007 per l’Anzifos Metile. Ad ogni modo va indicato che la somma degli insetticidi organo fosforati rilevata a Pontelagoscuro risulta essere sempre particolarmente elevata, con valori che si attestano intorno agli 0,21 µg/l. 2.9. Composto organici semivolatili Nessuno dei composti elencati nel DM 367/03 è stato ad oggi rilevato nelle acque del fiume Po. Va evidenziato comunque che il monitoraggio di queste sostanze nelle acque superficiali è stato attivato solo di recente.

Come si vede non c’è che l’imbarazzo della scelta e, prima del 2006, la situazione complessiva era ancor peggiore con un numero triplo di elementi potenzialmente inquinanti e cancerogeni, in gran parte messi al bando.  Un mondo da conoscere su cui CittaFutura ha messo una lente speciale che difficilmente abbandonerà. 

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