La bufera primaverile del Covid19 ha fatto passare in secondo piano un provvedimento di importante rilevanza, il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima. Una realizzazione portata a termine in primo luogo dal Ministero dello Sviluppo Economico in collaborazione con Ministero dell’Ambiente e quello delle Infrastrutture e Trasporti. Ciò in considerazione delle novità introdotte sia dal Decreto Clima che dalla Legge di Bilancio per quanto riguarda gli investimenti in tema di Green New Deal.
Il PNIEC, che è stato inviato alla Commissione europea in attuazione del Regolamento (UE), 2018/1999, fissa obiettivi vincolanti al 2030 sull’efficienza energetica, sulle fonti rinnovabili e sulla riduzione delle emissioni di CO2. Su questo termine “vincolanti” ci si è molto confrontati e solo i provvedimenti dei prossimi mesi dimostreranno quanto effettivamente siano “stringenti”. Sulla carta è molto prescrittivo e determina gli obiettivi da raggiungere in tema di sicurezza energetica, interconnessioni, mercato unico dell’energia e competitività, sviluppo e mobilità sostenibile, definendo precise misure che garantiscano il raggiungimento degli obiettivi definiti con l’accordo di Parigi e la transizione verso un’economia a impatto climatico zero entro il 2050. Un salto di qualità importante che, pero’, non ha convinto tutti, come vedremo più avanti. Sostanzialmente ci troviamo cdi fronte ad una proposta articolata su 5 linee di intervento – decarbonizzazione, efficienza, sicurezza energetica, sviluppo del mercato interno dell’energia, ricerca, innovazione e competitività. Tutti processi che si sarebbero dovuti sviluppare in maniera integrata attraverso la pubblicazione nel corso del 2020 dei decreti legislativi di recepimento delle direttive europee e che avrebbero dovuto garantire, secondo il Governo, sensibili miglioramenti marcatamenti “green”. Qui i numeri suscitano ammirazione, anche se – immediatamente dopo – subentra lo scoraggiamento di sapere esattamente in quali condizioni ci troviamo. Comunque, sulla carta, sono attese diminuzioni del 56% di emissioni nel settore della grande industria, -35% nel terziario e trasporti, portando al 30% la quota di energia da FER (1) nei Consumi Finali Lordi di energia. La spinta va verso una decisa transizione dai combustibili tradizionali alle fonti rinnovabili, promuovendo il graduale abbandono del carbone per la generazione elettrica a favore di un mix elettrico basato su una quota crescente di rinnovabili e, per la parte residua, sul gas. Il testo del provvedimento è molto chiaro al proposito: “la concretizzazione di tale transizione esige ed è subordinata alla programmazione e realizzazione degli impianti sostitutivi e delle necessarie infrastrutture”, il che fa pensare che senza la realizzazione di tali nuovi impianti il Piano non andrà avanti, anzi…non partirà neppure. Più in dettaglio, il contributo previsto delle rinnovabili per il soddisfacimento dei consumi finali lordi totali al 2030 è così differenziato tra i diversi settori: – 55,0% di rinnovabili nel settore elettrico; – 33,9% di rinnovabili nel settore termico; – 22,0% per quanto riguarda l’incorporazione di rinnovabili nei trasporti (sempre secondo le stime dei diversi Ministeri coordinati da quello dello “Sviluppo economico”.
Le misure previste in dettaglio
Molto interessante la disamina puntuale di dove e in chi modo si intende intervenire. Si comincia con un anglicismo di moda…che però rende l’idea: phase out dal carbone al 2025 e promozione dell’ampio ricorso a fonti energetiche rinnovabili, a partire dal settore elettrico, che al 2030 raggiunge i 16 Mtep di generazione da FER, pari a 187 TWh. Il tutto grazie in particolare alla significativa crescita di fotovoltaico la cui produzione dovrebbe triplicare e con un rilancio dell’ eolico, la cui produzione dovrebbe più che raddoppiare. Gli inghippi per realizzare anche piccoli impianti di pochi ettari, riguardo al fotovoltaico più evoluto, oppure combinat di pale ad alta efficienza eolica, ci rende un pochino perplessi rispetto ai tempi, perchè conosciamo la lentezza della burocrazia autorizzativa italiana e, soprattutto, sappiamo bene quali siano gli strumenti per “tirarla alle lunghe” o, più prosaicamente “rivincere” un appalto appena perso, pressioni e furbizie comprese. Ma l’ufficio del ministro tira dritto e si lancia in previsioni napoleoniche: “al 2030 il settore elettrico arriverà a coprire il 55,0% dei consumi finali elettrici lordi con energia rinnovabile, contro il 34,1% del 2017″ . Aggiungiamo noi un più concreto e probabile “forse”. Saranno, sempre secondo il PNIEC, inoltre favoriti interventi di revamping e repowering. (2) L’obiettivo finale del fotovoltaico – nel Piano in oggetto – è stato portato a 52GW nel 2030, con la tappa del 2025 di 28,5: si prevede dunque che negli ultimi 5 anni vengano installati più di 23 GW dei 30 GW, un obiettivo che Italia Solare (3) considera troppo ambizioso. Di derivazione anglosassone la parte riguardante i percorsi di stabilizzazione per le detrazioni fiscali collegati alla riqualificazione energetica e per la ristrutturazione degli edifici. Questi ultimi validi per un periodo di almeno 3 anni, con la possibile integrazione di Ecobonus, del Sismabonus e del bonus casa in un unico meccanismo. Per quanto riguarda gli interventi che hanno effetto sulla prestazione energetica degli edifici, il beneficio sarà modulato a seconda del risparmio atteso, considerando l’intera vita tecnica dell’intervento, con l’obiettivo di incentivare la realizzazione di interventi profondi di riqualificazione (deep renovation), premiando quelli con il miglior rapporto costo-efficacia. Si apre qui una autostrada per chi, come geometri, ingegneri, avvocati, commercialisti, architetti, semplice manovalanza, saranno impiegati in questa sorta di new green deal, con lavori, finalmente compatibili con territorio, tutela dell’ambiente, riciclo e salute.
Ma non è finita qui . Nel settore del riscaldamento e raffrescamento la quota di rinnovabili al 2030 è fissata al 33,9% dei consumi. Le rinnovabili supereranno i 15 Mtep, grazie soprattutto all’incremento dell’energia rinnovabile legata alle pompe di calore. Sempre secondo il PNIEC, sempre che non ci siano intoppi o problemi di vario genere, non prevedibili ad inizio 2020.
Importantissima l’attenzione riservata a quelli che vengono definiti “certificati bianchi” (4). Mentre invece per quanto riguarda il settore dei trasporti, si prevede che il settore superi il valore del 14% per contribuire a raggiungere il target del 30% dei consumi coperto da rinnovabili, fino ad arrivare a una quota rinnovabile del 22,0%.
Non mancano però le critiche
Secondo Italia Solare il Piano non è abbastanza ambizioso nei suoi obiettivi di decarbonizzazione e traccia una strada non abbastanza precisa per raggiungere i target al 2030. Infatti Paolo Rocco Viscontini, Presidente di Italia Solare sottolinea che “Il PNIEC resta un piano ‘gas-centrico’ che non ha il coraggio di puntare direttamente sulle rinnovabili nel processo di transizione energetica. Un errore strategico che pagheremo in termini di competitività, di occupazione e crescita”. Tra gli aspetti più criticati, citiamo dal comunicato di Italia Solare “l‘obiettivo finale del fotovoltaico a 52 GW è considerato insufficiente perché non si considera la perdita di producibilità dovuta al degrado dei moduli; lo sviluppo delle comunità energetiche, troppo generico e senza indicazioni precise per la loro piena attuazione, un’analisi troppo superficiale del passaggio alla mobilità elettrica, che non considera la completa decarbonizzazione nei trasporti, anche attraverso lo sviluppo di infrastrutture di ricarica su tutto il territorio” . Effettivamente la questione del passaggio deciso dal trasporto merci su gomma a quello su rotaia è solo sfiorato, permettendo così illazioni facili e, di fatto, vicine alla realtà. Un TIR di ultima generazione, con confort da auto di lusso, si avvicina ai 400.000 euro, di cui più della metà “risparmiati” dall’acquirente grazie a sgravi di ogni tipo, ancor oggi validissimi. Una “macchina da chilometri” che ,prevedibilmente , durerà quindici anni e che, automaticamente, rimanderà di 15 anni eventuali concreti passi nel senso auspicato da Italia Solare. Le lobbies italiane ed europee legate al tradizionale sistema di movimentazione merci è duro a morire.
Altre considerazioni critiche giugno da “Greenpeace” che mette in luce l’inconsistenza del testo finale PNIEC in vista di un contrasto serio all’emergenza climatica in corso, facendo specifico riferimento all’Accordo di Parigi di fine 2015, ben distante in impegni e possibilità realizzative. A tal proposito Luca Iacoboni, responsabile della campagna energia e clima di Greenpeace Italia commenta “Ad una prima lettura del testo proposto dal governo si vedono aumenti quasi insignificanti per gli obiettivi di efficienza energetica e rinnovabili termiche, mentre il gas, uno dei responsabili della crisi climatica, continua ad essere il padrone indiscusso del futuro del nostro Paese”. Durissimo, netto ma condivisibile per riflessioni e conclusioni.
Critiche anche dal WWF che denuncia una “sostanziale assenza di coraggio e di visione strategica a lungo termine”. Si legge, infatti, in un comunicato che non lascia scampo che “l’Italia ha ampio margine di miglioramento del PNIEC, anche in vista dell’innalzamento del target di riduzione delle emissioni climalteranti al 2030″ , quindi non si capisce il perchè di questa autolimitazione o si capisce anche troppo andando a riprendere la riflessione fatta poco sopra rispetto al passaggio da gomma a rotaia. Pure il WWF richiede di diminuire fortemente l’espansione in atto dell’uso di gas naturale mettendo al centro degli interventi invece le energie rinnovabili, “unico pilastro della decarbonizzazione“, insieme all’efficienza energetica. Di qui l’invito accorato ad investire sulle rinnovabili, sull’efficienza e sull’innovazione, altrimenti l’Italia sarà ai margini della nuova economia che si sta rapidamente affermando, rischiando anche di perdere le opportunità offerte dalla manovra di ripresa post-Covid. La Commissione europea che ha esaminato il Piano italiano ha voluto fornire anche suoi suggerimenti. E’ lo stesso WWF a ricordarci che “la Commissione è intervenuta fornendo, tra l’altro, consigli sui programmi e progetti da avviare nel quadro del Recovery Plan“. In particolare, invita l’Italia a prendere in considerazione, nello sviluppo del piano nazionale di ripresa e di resilienza, misure di investimento e di riforma per incentivare la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Il tutto portato avanti ” riducendo il ruolo del gas naturale, proseguendo nel contempo la prevista eliminazione graduale del carbone entro il 2025 e il potenziamento delle infrastrutture energetiche a sostegno della decarbonizzazione”. Nel PNIEC finale presentato dall’Italia, gli obiettivi di riduzione delle emissioni nel settore dei trasporti erano particolarmente ambiziosi, ma per il WWF ancora non si vedono affatto misure adeguate per raggiungerli, al contrario gli incentivi concessi anche ai veicoli a benzina e diesel vanno in senso contrario. E infatti è arrivato, puntualissimo, l’invito della Commissione ad attuare misure e investimenti per sviluppare il trasporto sostenibile, comprese le infrastrutture. Trasporto sostenibile e progettazione di “infrastrutture utili” che possono trovare una loro ragion d’essere solo e soltanto su piani di interventi coordinati e a lungo termine. Proprio per questo, nella disamina del PNIEC, la Commissione esprime dubbi sul fatto che siano in essere le politiche e misure necessarie per raggiungere il target previsto per le rinnovabili in base agli attuali obiettivi europei per il 2030, obiettivi che andranno innalzati in base alla Legge europea sul Clima in discussione e al previsto aggiornamento degli impegni europei nel quadro dell’Accordo di Parigi (NDC)”
Un Piano Nazionale Integrato Energia e Clima che con l’impatto di quasi duemila pagine fittissime di dati, schemi, tavole e dichiarazioni altisonanti, si sentiva al sicuro da critiche ed eventuali “ulteriori richieste” e che, invece, si è trovato preso tra due fuochi, con due recenti convegni di Confindustria che ne hanno criticato l’impraticabilità “pena la definitiva defenestrazione dell’industria italiana dal consesso internazionale” e un po’ tutti i movimenti ambientalisti e di difesa dei consumatori che, invece, ne hanno stigmatizzato timidezza, fumosità e verbosità inconcludente. Comunque le date e gli impegni sono definiti con numeri certi. Vedremo se verranno rispettati.
…
.1. “FER” : le Fonti Energetiche Rinnovabili (FER) sono tutte le fonti di energia non fossili: solare, eolica, idraulica, geotermica, del motoondoso e le biomasse.
.2. “revamping” : processo di manutenzione e/o “ristrutturazione” per rendere gli impianti più efficienti o per riportarli alle prestazioni iniziali; “repowering” : processo di modifica e/o sostituzione dei componenti per incrementarne la potenza nominale e la produzione annua.
.3. “Italia Solare” : associazione di tutela dell’ambiente, della salute e con particolare attenzione al tema energetico. (vedere: https://www.italiasolare.eu/wp-content/uploads/2017/03/Statuto_IS_Feb_2017_Public.pdf )
.4. “Certificati bianchi” : chiamati anche Titoli di Efficienza Energetica (TEE), i certificati bianchi sono il principale meccanismo di incentivazione dell’efficienza energetica nel settore industriale, delle infrastrutture a rete, dei servizi e dei trasporti, ma riguardano anche interventi realizzati nel settore civile e misure comportamentali. Il GSE riconosce un certificato per ogni TEP di risparmio conseguito grazie alla realizzazione dell’intervento di efficienza energetica. Su indicazione del GSE, i certificati vengono poi emessi dal Gestore dei Mercati Energetici (GME) su appositi conti. I certificati bianchi possono essere scambiati e valorizzati sulla piattaforma di mercato gestita dal GME o attraverso contrattazioni bilaterali. A tal fine, tutti i soggetti ammessi al meccanismo sono inseriti nel Registro Elettronico dei Titoli di Efficienza Energetica del GME.
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