Trent’anni dopo l’ ’89. Che cosa è realmente accaduto allora.

Doveva arrivare prima o poi l’anniversario dei trent’anni della caduta del ‘Muro di Berlino’, e ci siamo arrivati un po’ stanchi e privi delle certezze gioiose di allora, tanto che a questa ricorrenza che incombe, forse, temiamo di annoiarci. Gli anniversari sono maledetti, quando non spingono le menti un po’ fragili e schematiche di chi dirige le danze nel sistema mediatico, a approfondire una data storica di cui, come nel nostro caso, ci separano tre decenni non privi di svolte significative. La ricorrenza, malignamente sono portato a scommettere, sarà dominata dallo sfoggio dei luoghi comuni ormai così ben conosciuti nella storiografia di occasione. Si dirà che quella data ha significato la fine del comunismo, che è la data più importante del secolo, e, inoltre, che quell’evento ha riunificato e pacificato l’Europa sotto l’egida della ‘pax americana’ e con lo slancio del libero mercato Occidentale. In tutto questo elencare schemi già precostituiti, che ci sarà debitamente propinato, certamente c’è del vero, ma non sono convinto che sia tutto ciò che si possa dire su quel passaggio storico alla luce dei tre decenni successivi. Molto, evidentemente, vi è ancora da cogliere, non fosse altro che in ogni evento storico, in ogni snodo complesso e centrale della vicenda umana, si dipanano strade nuove, sovrapposte le une alle altre, e alcune di esse si sviluppano con evidenza immediata, altre maturano piano piano emergendo solo col tempo con più forza perché hanno maturato lentamente il loro proprio dispiegamento. La linea di sviluppo della pace americana e della espansione della NATO e il conseguente sviluppo del mercato unico, è certamente quella che ha prevalso inizialmente, ma poi qualche cosa di nuovo è emerso. L’89’ ci appare solo superficialmente il trionfo della pace e della democrazia liberale; in realtà rinascono forze sopite o contenute negli anni del dopoguerra, che riprendono la scena europea senza lasciarla più. Mi riferisco al nazionalismo etnico e al ritorno del sacro in politica, ( si pensi solo a quanto si è diffuso il frutto avvelenato dell’etnicismo, base delle guerre jugoslave), oggi così dominanti ormai non solo nell’est Europa. Inoltre, si è determinata con la riunificazione tedesca, un elemento che ha modificato non poco gli equilibri del vecchio continente post Seconda Guerra Mondiale, ponendo l’ intero progetto di Unione Europea di fronte a un evento che ricolloca le vecchie concezioni su cui essa si fondava.

I leader europei, nel breve frangente dei primi anni novanta, hanno risposto a questa nuova realtà geopolitica, pensando che il potere militare americano da un lato, e la forza del libero mercato dall’ altra, avrebbero soffocato nuove mire egemoniche sul continente da parte della Germania, e avrebbero risolto per sempre il problema del rapporto fra Oriente russo e ortodosso e Occidente cattolico – protestante. Tuttavia, pare che qualcosa non sia andato secondo i piani previsti.

La fine del comunismo pone in crisi un modello in cui ha prevalso un certo comando di partito sulle autonomie di classe, e rimette in discussione la primazia della politica sociale sull’economico. In un nuovo quadro, dominato dal potere indiscutibile delle compatibilità economiche e dal privilegio sovrano della banca centrale, il post 89’ doveva frenare spinte disgregatrici del mondo ‘atlantico’ organizzato sotto il controllo USA, e porre sotto il dominio del capitale anglosassone l’ormai sconfitta Russia. Ma gli eventi, piano piano, si incaricano di far emergere altre linee di frattura, che saranno in grado, dopo la ‘grande crisi economica’ e della finanza americana, di porre in discussione la globalizzazione dei mercati e la regolazione di questi organizzata secondo i dettami del Washington consensus. La Russia dalla fine degli anni novanta non è più quel debole paese in balia degli eventi internazionali, ma è ritornato ad essere un attore mondiale di prima grandezza capace di rivendicare le proprie ‘sfere di influenza’. La Germania riunificata è alla ricerca di un suo ruolo nel mondo e sta cercando di ridisegnare il suo compito strategico in autonomia sempre più marcata dalle tradizionali alleanze che ne hanno caratterizzato il percorso nel secondo dopoguerra.

E allora, l’89, non ci appare più come la fine della Guerra Fredda e come il dominio finalmente realizzato degli Stati Uniti e della cultura dominante delle democrazie di mercato, ma semmai ciò che accadde trent’anni fa a determinato la caduta di un modello di relazione fra partito, classe e società. Tuttavia possiamo trarre da quel passaggio d’epoca nuove trame che si dispiegano nell’oggi; la sfida dei paesi che si sono liberati dai rapporti coloniali alle vecchie strutture imperiali, e questo è l’onda lunga della rivoluzione del 17’; il continuo contrapporsi fra Oriente e Occidente in forme del tutto simili agli anni della Guerra Fredda, fino al punto da far ipotizzare che essa non sia terminata con l’89’ ma abbia solo vissuto un cambio di fase; la riunificazione tedesca che riporta al centro della discussione europea la annosa questione della ‘Mittel Europa’, questione che irrompe sulla scena e devasta i piani di un continente unificato sotto la protezione della Nato e degli USA.

L’89’ contiene, dunque, più storia di ciò che si vuole ammettere, più implicazioni e più conseguenze, molte di queste misconosciute e scomode nella loro temuta evidenza. In quei giorni non si affermava, malgrado speranze e retoriche spese a piene a mani allora come nei decenni successivi, un nuovo mondo di pace, ma si riaprivano ferite antiche e antiche rivalità nazionali, si alimentavano nuove sfide egemoniche insieme al proseguire attivo di più storiche fratture; il mondo era più internazionalizzato dal punto della interdipendenza economica ma non per questo più e avviato verso un processo di inesorabile convergenza degli stili di vita e dei regimi politici.

Si apriva una fase e in essa maturavano conflitti nuovi e si riacutizzavano vecchie ferite mai veramente rimarginate.

E’ ora di guardare a quel passaggio storico con maggiore senso critico e con la consapevolezza che da allora viviamo tempi in cui la guerra e il disordine sistemico non sono affatto l’eccezione ma la regola in cui siamo destinati a vivere.

Alessandria 11-11-2019                                                                  Filippo Orlando

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