L’ambiente è patrimonio di tutti e le indagini demoscopiche riprese più volte nelle scorse settimane ci raccontano di come, oggi, la maggioranza degli italiani riconosca questo fatto. “Gli ecosistemi sono da proteggere”, “la flora e la fauna dei territori sono un valore per l’Italia”, “la Natura è da proteggere”: queste sono alcune delle affermazioni oggi trasversalmente riconosciute come veritiere.
Si marca, quindi, un cambiamento importante nello scenario politico italiano. Per oltre quarant’anni, i temi ambientali non sono stati patrimonio comune; elementi completamente estranei alle agende politiche della destra, spesso non centrali in quelle della sinistra. Nel corso dell’ultimo decennio questo dato è andato a mutare, vedendo da una parte partiti progressisti dar ampio risalto a retoriche ‘produttiviste’ già cavalcate dai partiti conservatori negli anni ’90, mentre, a destra, nascevano movimenti animalisti e ambientalisti.
Questo deve fare riflettere in casa progressista perché appare necessario prendere atto che oggi la difesa dell’ambiente non possa essere considerata un argomento ‘sicuro’, intoccato ed intoccabile dai venti del populismo reazionario del presente. Anzi, sta diventando territorio conteso e di dibattito.
Gli ambientalismi, però, non sono tutti uguali. L’ambientalismo di destra, sintetizza Ferdinando Cotugno ancora di recente (https://www.editorialedomani.it/ambiente/ce-unecologia-anche-a-destra-e-se-non-ce-va-creata-in-fretta-u91i14hh), lega all’obiettivo ambientale all’heimat, alla salvaguardia del suolo natio; una difesa del passato prim’ancora che uno sguardo al futuro, caratteristica più forte dell’approccio progressista al tema.
Retoriche di identità e tradizione sono spie degli ideali e, soprattutto, della direzione politica di certe battaglie. Lo vediamo anche nel nostro piccolo con il dibattito sulla realizzazione del deposito nucleare nazionale. Dal momento della notizia si è andato ad organizzare un eterogeneo fronte del “No” che vede in prima linea esponenti della destra provinciale che paiono oggi usare il tema ambientale come un comodo veicolo di legittimazione politica e culturale. Sicuramente, a 35 anni dall’incidente di Chernobyl nessuno vuole vedere Alessandria ridotta come Pripjat, ma è veramente questo l’orizzonte che questo progetto presupporrebbe per il nostro territorio? Plausibilmente no, mentre è evidente come manchino gli studi socioeconomici circa l’impatto di una tale attività a fronte di dettagliata documentazione tecnica. In ogni modo, il dibattito parlamentare sta facendo già tramontare la centralità dell’alessandrino e perciò il ‘rischio’ sembrerebbe fugato. Se il deposito non si farà, però, giusto parlare di ‘vincitori’ e non sembrerebbero né lo spirito progressista né i valori dell’ambientalismo interessato al futuro del territorio. Vince il torcicollo della nostalgia e chi lo usa puntualmente per accrescere la propria prominenza. Se le cose stanno così, urge aprire lo spazio all’azione politica e culturale per riprendere in mano un dibattito e costruire consapevolezza, lasciando agli altri la volontà di fomentare indignazione per creare consenso.
Concludendo, la lezione locale ci è da monito di un fenomeno più ampio che coinvolge il Paese. Laddove la difesa dell’ambiente sta diventando territorio conteso è necessario ripensare a cosa vuole dire, in ottica progressista, tutelare il territorio, superando i “No senza se e senza ma” e sapendo formulare un messaggio nuovo che parli di progresso, di benessere diffuso, sempre con lo sguardo fisso verso il domani che vogliamo costruire.
di Michele F. Fontefrancesco
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