Uno sviluppo diverso per risanare l’ambiente

Da domani al 2 luglio verrà presentata al Palazzo Ducale di Urbino la “Prima relazione sulla situazione ambientale”italiana. I lavori preparatori sono stati curati, sotto gli auspici del ministro per la Ricerca scientifica e tecnologica, dalla Società “Tecneco”, “una società di ricerca” filiazione dell’ENI, che è in pratica una “equipe manageriale” facente capo ai centri di potere del capitale monopolistico. Sarebbe quindi una grossolana ingenuità il ritenere che quelle stesse forze che sono state responsabili delle scelte politiche ed economiche che ci hanno condotto all’attuale sfacelo ambientale (e non solo ambientale) siano oggi in grado da sole, di avere la capacità politica e culturale necessaria per salvare il Paese da ulteriori dissesti.

Il Convegno tuttavia può essere un’occasione, anche se anomala, per venire a coprire al più presto le lacune nelle istituzioni e nella realtà ambientale aperte dalla politica del centro destra. Ciò che interessa oggi al Paese è di conoscere il “perché” dei dissesti ambientali, quali sono le cause economiche remote in cui ricercare la loro origine, perché solo agendo su queste ultime è possibile intervenire operativamente e non mediante interventi tecnicistici.

Precedenti esperienze (in particolare statunitensi) ci hanno infatti mostrato la sterilità e la pericolosità di studi basati unicamente sullo sviluppo di modelli matematici. Come dice Barry Commoner, uno dei massimi ecologi viventi, commentando il fallimento di questo tipo di analisi: “Dal computer escono gli stessi dati che si mettono dentro”. “I modelli matematici- sono sempre parole di Commoner- prevedono una staticità di fattori politici ed escludono aprioristicamente qualsiasi possibilità di riforma economica e sociale che possa venire ad incidere sulla realtà di un paese. Presi fine a se stessi, senza il correttivo di una precedente analisi politica, altro non divengono che il velo falsamente futuribile dietro cui si cela il volto della reazione”.

Del resto non esistono in nessun campo, e tantomeno in quello ambientale, soluzioni unicamente “tecniche”, portate avanti nel nome di una “scienza imparziale” . E qualsiasi scelta, dalla più importante alla più banale, è originata da una precedente scelta “ideologica”.

Sul piano mondiale siamo ormai entrati nella “seconda generazione dell’ ecologia”. E’ ormai finita l’epoca della denuncia, è iniziata quella del “Che fare?”. Al biologo, al chimico, al botanico è quindi indispensabile affiancare il politico, il programmatore, l’economista.

Nemmeno è ormai più lecito ritenere di poter far ruotare all’indietro la ruota della storia impedendo, con il pretesto della salvaguardia ambientale, il progresso sociale dell’uomo, ma occorre correggere e programmare lo sviluppo verso obiettivi ben precisi, scartando ogni illusoria possibilità di un naturale riequilibrio dell’attuale sistema. Per poter conseguire risultati validi occorre in primo luogo avere ben chiari quali sono gli obiettivi finali, gli scopi a cui si vuole pervenire, sapere quali saranno le conseguenze delle nostre scelte economiche e vederne i pro ed i contro a tutti i livelli. Se ad esempio continueremo a sviluppare l’ industria chimica di base (che occupa pochissimi addetti rispetto al capitale impiegato ed è altamente inquinante) allo stesso ritmo del passato, nei prossimi dieci anni questo settore occuperà dal 40 al 50% dei nostri investimenti globali.

Riguardo alla situazione italiana occorre porsi tre obiettivi di paritetica importanza: salvaguardare l’ambiente naturale, garantire un adeguato sviluppo economico al Paese, permettere alti tassi di occupazione. Non è assolutamente vero, come la propaganda borghese ci vuole far credere, che questi obiettivi siano tra loro antitetici, che non sia possibile uno sviluppo senza distruggere irrimediabilmente l’ambiente. Questa grossolana e pericolosa menzogna vuole appunto coprire l’incapacità propria del capitalismo a svilupparsi senza spreco e distruzione di ricchezza.

Ad esempio, per risolvere definitivamente il problema delle alluvioni e della disponibilità idrica futura è indispensabile provvedere al rimboschimento e al riassetto delle aree desertificate che assommano ormai a un quinto del territorio nazionale. Portare avanti un tale intervento vorrebbe dire dare lavoro per molti anni a parecchie centinaia di migliaia di lavoratori, tecnici oggi disoccupati o costretti ad emigrare. Un’operazione di questo tipo verrebbe a stimolare grandemente l’economia di intere regioni, creando una domanda interna oggi ancora limitata, aprendo così una spirale produttiva a beneficio dell’intero Paese. La fine dei dissesti alluvionali verrebbe in primo luogo a significare il risparmio del costo dei danni sopportati dal Paese, che assommano ormai ad oltre mille miliardi all’anno.

In secondo luogo il recupero alla coltura boschiva, all’allevamento del bestiame in ampie aree, ora improduttive, vorrebbe dire ridurre le importazioni di generi alimentari dall’estero, con la possibilità di giungere all’autosufficienza alimentare. Non dimentichiamo come attualmente le importazioni di alimenti e di legname siano arrivate all’incredibile quota di 2800 miliardi annui, provocando un disavanzo nella bilancia dei pagamenti che nei primi quattro mesi di quest’anno è arrivato a 900 miliardi. Nel contempo una politica di questo tipo arresterebbe l’esodo dalla campagna e porrebbe un freno all’ulteriore congestione dei nuclei urbani con tutte le diseconomie che ne conseguono. Discorso analogo si potrebbe fare per l’inquinamento delle acque, del suolo, dell’aria.

Quello che è certo è che non si può pensare di poter ricalcare in un prossimo futuro le linee di sviluppo di questi ultimi anni senza riprodurre ingigantiti i dissesti che già conosciamo. Neppure è possibile pensare di poter trasformare in profitto le diseconomie ambientali riproponendo soluzioni che rispondono unicamente a miopi prospettive di etica aziendalistica, come amano fare certi settori del capitalismo, sia di Stato che privati, che si dedicano alla vendita di depuratori senza poi preoccuparsi di depurare gli scarichi delle industrie da loro stessi controllate.

Guido Manzone (*Aydin)

L’UNITA’ 28-6- 1973

Ringraziamo Renza Manzone per l’opera preziosa che sta facendo… E’ un po’ come se Guido fosse ancora con noi…

1 Commento

  1. L’analisi critica alla situazione ambientale degli anni ’70 fatta da Guido è attualissima. Potrebbe essere il commento critico al Recovery plan del governo Draghi.

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*