
L’esito assurdo della discussione surreale fra Regione e Comune sulla collocazione del nuovo Ospedale. La determinazione (e in ultimo la rassegnazione con bandiera bianca alzata) con cui il Comune di Alessandria continua a sostenere, atti alla mano, la possibilità di costruire negli alvei naturali dei fiumi e consumare altro suolo per una nuova area logistica (attendendo passivamente l’esito di una azione legale da parte dei cittadini, ma guardandosi bene dal promuoverne una di rango costituzionale per parte sua) e soprattuto per l’ubicazione del nuovo Ospedale, è altrettanto discutibile quanto quella della Regione a cui piace fare la stessa cosa totalmente sbagliata ma in una qualche area un poco più in là, zona Galimberti anziché zona Bormida. In ultimo, come si accennava, è arrivata l’ingloriosa resa totale da parte del Consiglio comunale, che si è affidato alla soluzione “Mike Bongiorno inversa”: dare alla Regione alcune buste da cui scegliere perché noi non sappiamo decidere (né ci viene in mente la possibilità di consultare i cittadini in questa scelta così importante): vogliamo la uno o la due, la tre o la quattro? Boh, non lo sappiamo, ci rimettiamo alla bontà di Cirio. Addirittura torna in campo una delle soluzioni che erano già state scartate con buone ragioni: quella dell’aeroporto. Mentre non è nemmeno presa in considerazione quella più di buon senso: ammodernare e ampliare il vecchio Ospedale SS. Antonio e Biagio sulla grande area attigua dell’ex Ospedale Psichiatrico. Avrà senza dubbio anche questa soluzione le sue controindicazioni, ma il fatto che non venga nemmeno considerata in mezzo alle ipotesi più fantasiose è piuttosto sorprendente (o forse no).
Mettiamo un momento da parte le sentenze del TAR (per quanto concerne le nuove aree logistiche) e gli scontri di potere e di interesse trasversali alle stesse forze politiche per quanto attiene invece al nuovo Ospedale; e concentriamoci sulla sostanza delle cose dato che qui non siamo veramente nell’ambito del diritto di proprietà e sfruttamento commerciale dei terreni ma in primo luogo delle leggi della natura (della Fisica) e pretendiamo di nasconderci dietro al primo per cancellare il vero problema, fare finta che la legge di gravità non esista, o che possiamo metterci a fare le trattative con la legge di Newton (si prova perfino a suggerire di mettersi a parlamentare con l’autorità di bacino per vedere se si possono “correggere i calcoli”); e ne discende dunque che i suoli si possono cementificare di più, gli alvei naturali occupare ancora di più, tanto c’è la sentenza del TAR. Andrebbe semmai richiamato il livello più alto del diritto che è quello della Carta costituzionale a sostegno della scienza, della tutela del territorio e della sicurezza collettiva. Ma lo si lascia fare a dei bravi cittadini “sperando che me la cavo”. Del resto è evidente che se tappiamo i fornici, se costruiamo argini sempre più alti, di più, grandi e robusti quanto una bella diga di montagna, in mezzo al fiume, o una bellissima struttura su palafitte, non ci sarà pericolo che né il nuovo centro logistico né il nuovo Ospedale saranno alluvionati. Sempre che ci siano le risorse finanziarie per tutte queste costose operazioni preliminari mentre ancora non si sono fatte tutte le opere di messa in sicurezza raccomandate da AIPO. Naturalmente avremo solo spostato il problema un po’ più in là, a danno di quelli che vengono dopo di noi sul percorso dell’asta fluviale: pretendiamo giustamente che quelli che stanno “a monte” siano sensibili alla nostra sicurezza, ma poco ci importa se togliamo milioni di metri cubi di salvezza a chi viene “dopo” verso a valle. Un bel modo di ragionare, la sicurezza non come un fatto globale e solidale che ci coinvolge tutti, quelli che vengono prima e quelli che vengono dopo (in termini sia spaziali che temporali) ma una espressione del nostro particulare: io penso a me, vai in malora tu e il tuo vicino.

Ma va bene: c’è il TAR che dice che si può fare. Ma che senso ha andare avanti in questo modo? Cioè contro le forze della natura (le leggi della Fisica) e “per decreti” non in base alla scienza come ha più volte rimarcato il professor D’Alpaos nelle sue relazioni e perizie tecniche.
Invece di assecondare le forze naturali, cercare di conoscerle meglio e usarle il più possibile a nostro vantaggio.
E contro il buon senso. Che ci dice di andare verso una ricucitura del rapporto con la natura, smettendo di usare la forza bruta di progetti compiuti solo a metà (spesso brutti e alcune volte anche bellissimi ma senza pensare al contesto e ai loro effetti a lungo termine) e piuttosto usando le maggiori conoscenze che abbiamo oggi per collaborare con le forze della natura, smettendo di sprecare risorse e grandi quantità di energia per opporci alla natura con mentalità da dominatori. E del resto abbiamo già dominato abbastanza e la cosa si sta ritorcendo contro di noi, con un mondo naturale ormai in sofferenza che sta reagendo violentemente contro le pretese del nostro espansionismo illimitato: lo abbiamo visto solo poche settimane fa con la tragica alluvione in Emilia-Romagna ma la cosa pare avere smosso molto poco qui da noi (che pure siamo praticamente nella stessa situazione: senza casse di espansione!).
Come ho provato a sottolineare il cosiddetto “centrosinistra” alessandrino continua a giocare di rimessa e non prende iniziative politiche di rilievo, sul polo logistico attende i ricorsi presentati dai cittadini. Allo stesso modo la stessa amministrazione di centrosinistra precedente alla giunta Cuttica (unica differenza con Rossa al posto di Abonante e un pezzetto di sinistra che tentava di rompere le scatole al manovratore) fu salvata sugli asili nido e i servizi culturali (la costituzione della società di diritto pubblico “Costruire Insieme”) da un ricorso di rango costituzionale presentato e vinto dal sindaco De Magistris di Napoli inerente i diritti fondamentali dei bambini all’educazione. Vedi che quando le battaglie le fai, per quanto tu possa essere sgangherato, rischi perfino di vincerle, se non le fai hai perso al 100% (anzi al 110 come usa oggi).
Anche se le leggi vigenti e i legittimi interessi costituiti dicono che si può fare. Alla Regione dunque piace quest’ansa del fiume. Al Comune piace di più quell’altro meandro dove c’è già un bel Panorama (naturalmente semplifico la politica e la geografia per amore di polemica). Scartata per fortuna da entrambi i contendenti l’ipotesi assurda dell’aeroporto (anzi no, è ritornata!) sta di fatto che continuiamo a pensare di costruire (addirittura un Ospedale di primo livello) in aree dove proprio non si dovrebbe farlo, negli alvei dei fiumi, perché come noto ormai a tutti servono ai corsi d’acqua naturali, già pesantemente canalizzati nel corso dei secoli, con ritmi di urbanizzazione incontrollata sempre più accelerati negli ultimi decenni, per attenuare la loro energia quando si trovano in condizioni di piena. Come si diceva alzando gli argini (con fiumi in piena sempre più alti sul livello dell’abitato) tappando fornici (con palloni provvisori o con cemento) ecc. Ma con quello che è successo da poco in Emilia Romagna, dovrebbe essere chiaro che i “tempi di ritorno” e i “tiranti idraulici” di piena (le altezze medie dell’acqua) attesi sulla base delle alluvioni passate sono sempre meno indicativi di quello che succederà in futuro a causa degli effetti dei cambiamenti climatici. Perlomeno tutte queste cose vanno più attentamente ponderate applicando il principio di precauzione.
I tempi di ritorno sono statistiche che sono stimate in base alle serie storiche. Ma come spiegano gli esperti, per il futuro i cambiamenti climatici stanno già modificando le frequenze di questi eventi e con esiti più catastrofici di quelli che abbiamo conosciuto in passato (anche per l’opera dell’uomo che ha costruito dove non era il caso: e non si è mai fermato!).
Alternati a periodi di siccità che complicano ulteriormente la situazione: l’acqua che non viene giù in sei mesi, poi si riversa in poche ore, e i suoli aridi e cementificati non sono più in grado di trattenerla. Ed ecco che si verificano disastri e drammi apparentemente “inattesi”. E del resto lo stiamo vedendo, non dal maggio 2023 in Emilia-Romagna ma da 30 anni nel nostro territorio. Eppure, dopo la tragica alluvione del ‘94 si è continuato costruire abitazioni agli Orti fin dentro l’argine del fiume. Poi Alessandria 2000, e immaginifici “palazzi dell’edilizia” rimasti a livello dei plinti come le rovine di Libarna (ma molto più brutti), centri commerciali e parchi logistici che spuntano come funghi sempre invariabilmente nell’alveo del fiume. E perfino la nuova caserma dei Pompieri, in una zona tuttora alluvionabile! Visto quello che sta succedendo e quello che ci aspetta, sembra di trovarsi di fronte alla più assoluta follia.
E’ chiaro che si deve andare in direzione completamente opposta, verso una ri-naturalizzazione che restituisca il più possibile ai fiumi ormai da tempo canalizzati (e sempre più pericolosi in caso di piena e piogge eccezionali che come tutti riconosciamo stanno diventando normali) i loro spazi naturali.
Non si tratta di “tornare indietro” ma di pensare a un rapporto diverso fra l’uomo e l’ambiente, e con idee economiche diverse, considerando più importanti gli investimenti da fare oggi in prevenzione, piuttosto che le speculazioni che ci si può attendere dal business miliardario della ricostruzione. Nel nostro attuale sistema economico, i costi per la prevenzione sono un debito e le spese per la ricostruzione post-disastro fanno crescere il PIL (come del resto le guerre e gli armamenti).
Dovrebbe dunque venire il sospetto che continuare a costruire nelle aree di pertinenza dei fiumi è proprio sbagliato come concetto, come volersi ostinatamente opporre alle leggi naturali (della Fisica). Qui siamo di fronte a ragioni di principio e di cautela che dovrebbero essere viste in termini di diritto costituzionale e non di mero diritto di proprietà e sfruttamento commerciale di un suolo (che in tali casi viene meno).
Semmai la priorità va data alla realizzazione delle aree di laminazione a monte del Tanaro già previste dall’AIPO, e assunte finalmente come valide e prioritarie anche dalla Regione, e soprattutto impegnandosi a evitare la cementificazione di una vasta area fra Asti e Alessandria (dove sono collocate nei progetti di AIPO le aree di espansione, semplicemente usando le ampie e sinuose anse del fiume ancora per fortuna non rettificate) ancora relativamente poco fabbricata e che è una risorsa naturale importante, che con poche modifiche alle arginature il Tanaro può usare per scaricare la sua energia prima di arrivare a fare danni a valle, semplicemente costruendo e manutenendo le opere necessarie.

Nella surreale situazione ci si mette anche l’Inail (l’ente che ha promesso i soldi per l’Ospedale: ma non si dovrebbe occupare di altro?): dovete decidere entro giugno, altrimenti… altrimenti cosa? Si tratta di decisioni da ponderare bene, visto quello che sta succedendo, con tutto il tempo necessario per valutare delle soluzioni che siano le più razionali possibili. E avendo tempo di consultare seriamente i cittadini. E questo non solo per quanto riguarda l’Ospedale ma soprattutto per le richieste di insediamento dei vari centri commerciali e logistici in via di autorizzazione e di nuove possibilità edilizie che hanno, ma pensa un po’, individuato in queste aree una possibile fonte di insediamento (dato che le varie gride e decreti gli hanno assicurato che tappando i fornici va tutto bene, area edificabile, loro si tappano gli occhi e vanno contenti alla via così).
Va bene, l’intera città di Alessandria è costruita alla confluenza di due fiumi, in una piana detta per l’appunto alluvionale, da qui non si scappa, non ci ritireremo sui bricchi, ed è in larga parte alluvionabile in caso di grandi eventi catastrofici come abbiamo potuto vedere coi nostri occhi nel 1994 (a meno delle opere di contenimento e mitigazione del rischio realizzate, progettate o da rinforzare). In quella situazione, solo gli argini ci salvano e vanno certamente irrobustiti e rinforzati: ma sopratutto ci salveranno le necessarie opere di prevenzione a monte di Alessandria che sarebbe ora di cominciare a realizzare: esattamente come in Romagna, abbiamo perso un sacco di tempo e non le abbiamo fatte. Non dimenticandoci, come si diceva, di essere altrettanto previdenti e solidali con chi viene “a valle”. Non sarebbe quindi il caso, per il futuro prossimo e a lungo termine, di cominciare a ragionare in modo diverso e più sensato, e cominciare a mettere da parte tutte quelle false soluzioni che vanno ostinatamente contro sia il buon senso comune dei bravi cittadini, sia alle determinazioni della Scienza? O continuerà a prevalere, dopo ogni disastro, la morale beffarda per cui “passata la festa gabbato lu santo”?
Intanto registriamo che il nostro Comune nel suo complesso, maggioranza, opposizione, tecnici, è poco impegnato a dare battaglia in difesa di principi di rango ormai costituzionale: ridare al fiume i suoi spazi naturali, smettere di consumare nuovo suolo, quelle belle battaglie per cui in campagna elettorale molti esponenti politici si mettono la spilletta salvo poi infilarla nel taschino una volta raggiunto l’agognato “cadreghino”. E soprattutto il cosiddetto “centrosinistra” rinuncia preventivamente a qualsiasi battaglia di principio (anche quelle come in questo caso non di parte ma di interesse generale e teoricamente condivisibili da tutti) accampando infinite scuse oppure reagendo con un sordo grugnito alle contestazioni o anche solo timide richieste di spiegazioni… Prevalgono altri interessi. Ma allora che differenza c’è con la controparte politica? Non stupisca la disaffezione al voto e la lunga teoria di affermazioni elettorali della destra in quelle che un tempo ormai svanito venivano considerate “roccaforti” di progresso, se non solo sulle battaglie “politiche” caratterizzanti (lavoro e salari, la pace, la democrazia economica) non si fa nulla di concreto ma nemmeno per la tutela dei diritti civici di sicurezza, ambiente e salute. Urgenti sarebbero invece battaglie di principio su questi semplici punti da tutti condivisibili: 1) stop immediato al consumo di nuovo suolo; 2) basta edificare (qualunque tipo di opera) nelle aree di pertinenza dei fiumi, anche qualora alcune leggi lo consentano: prevalga l’interesse generale di patrimonio, ambiente e sicurezza scolpito nella Costituzione; 3) tutela rigorosa di quelle aree ancora non cementificate (come quelle a monte di Alessandria). Col rischio di perderle: ma anche di vincerle.
Filippo Boatti
30 giugno 2023
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