* Riportiamo una contributo tratto da una discussione su facebook.
Prima le riflessioni “scatenanti” del dott. Massimo Recalcati, poi …le opportune conclusioni
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Senza troppi giri di parole il mio mestiere di psicoanalista mi impone una domanda. Non quella consueta che da più parti viene rivolta a Di Maio, ovvero: come può un soggetto che non ha maturato nella sua vita competenze specifiche su nulla, che non ha mai lavorato in una istituzione, che non ha mai avuto incarichi di governo (di una azienda, di una città, di una qualunque cosa pubblica) essere candidato alla guida di un Paese di sessanta milioni di abitanti?
La mia domanda è un’altra e tocca un piano più pulsionale.
Quale assenza di giudizio critico su se stessi comporta l’aver accettato questa candidatura?
Lo sgomento di fronte all’ipotesi di Di Maio premier non è per me tanto relativo alla sua incompetenza tecnica, quanto al gesto personalissimo dell’aver accettato questa investitura. Quanti accetterebbero un incarico di questa rilevanza senza avere la più pallida idea di cosa significhi governare la cosa pubblica? È questa assenza di consapevolezza dei propri limiti che fa davvero tremare i polsi.
È il polo chiaramente maniacale o, se si preferisce, puramente adolescenziale del M5S. Un fantasma di onnipotenza e di purezza totalmente sganciato dalla realtà.
Mi chiedo: ma avrà avuto o avrà almeno una crisi di panico, un momento di vertigine o di angoscia?
Glielo auguro perché sarebbe il segno che quell’onnipotenza maniacale che egli, così diverso nel sembiante, sembra aver ereditato dal suo fondatore, in realtà, non lo assorbe integralmente.
(Massimo Recalcati 24.02.2018)
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Grazie ad Antonio di avere rilanciato il pensiero di #recalcati. Capita spesso – pure a livelli più modesti – di incocciare in situazioni simili. Forse la risposta è sistemica e sta nella ragione del successo di M5S.
Alla fine il tema che pone Recalcati è, sì, psicologico e orientato all’autovalutazione del sé ma ha a che fare con le esperienze, le competenze e, quindi, il merito.
Il Paese ha dimostrato sanamente di fottersene del merito e di fottere i meritevoli. “E allora?” – potrebbe essere la domanda-risposta di massa “servono davvero competenze e merito?”.
E la percezione collettiva si ritrova nella semplicistica risposta M5S (“Occupiamo lo spazio pubblico con i nostri “buoni principi” che diventano slogan e poi si vedrà….”).
In questi dieci anni (mio metro temporale di valutazione delle esperienze, 5 passati più intorno a Enrico Letta che rimane la mia personale lezione privata sulla lettura del mondo e altri 5 con la voglia di cambiare velocemente le cose di Matteo Renzi) abbiamo cercato di praticare tentativi di riforma dell’esistente.
Nel 2007 parlavamo di Nord, di meritocrazia e di questione generazionale (i quarantenni). E queste cose – oggi, centrali – non sono diventate patrimonio della nostra comunità politica che ha dato di sé più l’idea della lacerazione che quella della capacità di giungere a sintesi. Nonostante disponesse delle migliori intelligenze, delle migliori competenze di Governo…..
Seguendo l’approccio psicoanalitico, abbiamo evidentemente e collettivamente esplicitato l’arroganza dei primi della classe, incapaci di declinare la dimensione collettiva ed inclusiva predicata a parole, spesso con un corredo moralistico tipo “noi versus gli altri (ovviamente diversi – in pejus – da noi)”.
Abbiamo accettato che ci riducessero a espressione di liderini senza saper affermare il noi. E così tra uno sberleffo e una caricatura, il lavoro straordinariamente responsabile fatto tra luglio 2011 e gennaio 2018 è soffiato via in un nonsenso collettivo.
Ecco, prima di pensare al risultato come a un male chiediamoci cosa sia avvenuto per evitare che quel male si realizzasse.
Ripeterei praticamente ogni cosa di ciò che è avvenuto in questi anni. Cambierei l’approccio chiedendo ad Enrico nel 2013 di essere più maleducato, facendo vedere il suo lato più incisivo. A Matteino chiederei di togliere gli specchi dal suo percorso esistenziale e di rimuovere quel lato narcisistico che ha reso antipatica la straordinaria azione tra il 2014 e il maggio 2016 quando abbiamo buttato nel cesso la campagna referendaria che – forse – avrebbe potuto cambiare ogni cosa.
Non credo si potesse fare diversamente sulle banche ma certamente avremmo dovuto evitare di bruciare una delle migliori risorse dietro a questioni che sono apparse appropriate per la bottega del potere, delle nomenclature, della grisaglia dei poteri opachi. Ma questi sono processi di dettaglio. Il vero elemento di massa che riproduce anche il non-lento involvere del Paese è la cosiddetta “buona scuola”. Lì siamo stati del tutto simili a Di Maio: come può un processo di riforma positivo sollecitare un percepito collettivo così negativo?
Quelli bravi, i competenti – dicono nel corpaccione – hanno trovato risposte che non sono piaciute a chi quelle risposte dovevano attuare. E abbiamo fatto un bel patatrac rompendo nettamente con un mondo trasversale, diffuso, proletariamente intellettuale. Nonostante un miliardo di spesa e la più grande assunzione mai vista.
Pazzesco….
Ecco, Massimo, un pezzo di risposta. Lui sarà pure psicologicamente instabile ma questo è, probabilmente, il risultato di nostri errori.
“La politica è un fatto collettivo”, diceva Riccardo il mio maestro contadino.
Ho governato cose complesse…
So bene che talora non c’è tempo di mettersi in ascolto e allora deve funzionare l’organizzazione (o la tecnologia).
Il messaggio deve essere coerente e va spiegato, compreso e immedesimato.
Se un singolo vede solo la propria disperazione non sarà il progresso del Pil che gli migliorerà l’esistenza; una speranza, sì!
Beninteso, considero M5S una struttura politica costituzionalmente negativa (irrazionale e contraddittoria). Ma chi sarà arrivato a leggere sino a qui – due o tre persone che conosco bene – sa che difficilmente mando all’ammasso il cervello e sa, soprattutto, che queste cose le ripeto da anni e, talora, ho pure cercato di praticarle.
E allora non mi arrendo allo sdegno che mi sollecita vedere il piccolo Frankenstein creato nel laboratorio della Casaleggio (nel disinteresse di Beppe).
Mi chiedo cosa posso fare io.
Ecco, vorrei dire a tutti noi in cammino sulla stessa strada di smettere di adottare riferimenti spaziali (Sx-Dx) privi di significato, oggi, e di costruire la “cattedrale”: una comunità coesa non nel nome di un leader ma nel nome delle persone che in quel progetto si devono riconoscere.
Ps segnalo, peraltro, che l’approccio Marxista Weberiano di analisi sociale è morto nel 2001 (cit. Fassino, “pensionati e operai, hanno votato Forza Italia e Lega”) per cui modernizziamo gli strumenti culturali, muoviamo il culo e cerchiamo di dare risposte veloci a problemi concreti, per metà del tempo.
Per il resto, spendiamoci in progetti larghi, ampi, comunitari e, pure, velleitari.
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