Stefano Bonaccini, del PD, governatore uscente, viene confermato Presidente della Regione Emilia-Romagna, con il 51,4%, contro il 46,6% di Lucia Borgonzoni candidata del centro destra. L’assalto alla roccaforte rossa messo in campo da Salvini è fallito
Il risultato elettorale dimostra come l’aggressività verbale, rozza e non solo di Salvini e della Meloni, in democrazia non paga, ci sono gli elettori che detestano la propaganda urlata e poi ci sono le regole da rispettare. Salvini e la Meloni, con una arroganza senza limiti, già si preparavano a sciogliere il Parlamento per indire nuove elezioni politiche, ignorando che la nostra Costituzione assegna tale competenza esclusivamente al Presidente della Repubblica: Sergio Mattarella.
Bonaccini ha vinto nelle province di Forlì -Cesena ( 49,9% contro 44,3%), Modena (53% a 42%) Ravenna (52,8 a 42%) Reggio Emilia (55% a 39,3%) a Bologna (59,6% a 35,8%). La Borgonzoni ha vinto a Piacenza (59,6 contro 36,8%, ha vinto a Ferrara (54,8% a 40,7%), a Parma (49,6 a 45,7%), e a Rimini (47,48% a 46,53%).
Le elezioni sono state caratterizzate da una massicia partecipazione degli elettori, quasi raddoppiata in Emilia-Romagna dal 37% di cinque anni fa a circa il 68% di domenica. Quando lo scontro diventa più incandescente, i cittadini reagiscono partecipando in massa. La posta in gioco era molto alta, le proiezioni davano in testa Salvini, gli elettori di centro sinistra, gazie anche alla ventata di rinnovamento innescata dal movimento delle sardine, hanno risposto in maniera esemplare.
Il centro-sinistra perde la Regione Calabria anche se il PD si conferma primo partito con oltre il 15% dei voti.
Il voto di domenica conferma l’andamento negativo del Movimento 5 Stelle.
L’esito del voto non intacca la stabilità del governo Conte. Nessuno dei partiti o movimenti che sostengono il governo hanno oggettivamente interesse a far precipitare la situazione politica. Una crisi di governo avrebbe come sbocco inevitabile le elezioni anticipate. L’unico partito che rischia meno sarebbe il PD. Al contrario, tutti gli altri raggruppamenti rischiano la propria soppravvivenza. Allo stato dei fatti c’è una sola strada percorribile: quella di imprimere un cambio di passo all’azione di governo per portare la legislatura alla sua scadenza naturale.
Questo significa smetterla con i veti incrociati, le impuntature e i ricatti, definendo, come più volte anticipato da Presidente del consiglio Conte, da Zingaretti e dai vari leader, un’agenda programmatica ancorata alla fattibilità dei temi e dei tempi, nonché alla disponibilità delle risorse.
IL Paese, le forze imprenditoriali e sociali, già stressate dalla lunga crisi e dal malessere che serpeggia nelle pieghe della società, vogliono una concreta politica economica che affronti i problemi infrastutturali, attivi nuovi investimenti e crei occupazione non della propaganda spiccia da consumare nell’arco di una giornata.
Alfio Brina
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