Un bilancio drammatico. Il terremoto si è portato via 50 mila persone e ha messo in ginocchio la Turchia

È passato un mese dopo i terremoti del 6 febbraio che hanno creato un enorme danno sul tessuto sociale, architettonico e politico in Turchia. Due terremoti avvenuti nell’arco di pochi giorni con una potenza pari a 7.6 e 7.7, nella scala di Richter, sono morte, ufficialmente, più di 46 mila persone. In totale sono 11, le città colpite nel sud est del Paese dove vivevano più di 10 milioni di persone.

Nei primi giorni dei terremoti gli interventi delle istituzioni sono stati scarsi e incapaci di soccorrere le persone e di fornire quei beni di prima necessità che sarebbero serviti. Le tende, l’acqua potabile, la corrente, il cibo e il materiale necessario per riscaldarsi sono tuttora assenti in alcune zone. In questo momento di grande difficoltà sono nate risposte individuali e collettive di solidarietà che hanno riempito il vuoto che è stato creato dalle istituzioni.

Zelal Elbistan è una chirurga di cittadinanza turca residente in Italia da parecchi anni. Zelal è nata e cresciuta a Elbistan, nel sud est della Turchia e parecchə suoə parenti sono tuttora residenti in diverse città colpite dai terremoti. Purtroppo Zelal ha persone alcunə suoə carə in questo periodo. La sua prima reazione è stata quella di attivarsi con l’obiettivo di raccogliere soldi daə suoə amicə residenti in Italia e partire per la Turchia.

“Ho raccolto circa 30 mila Euro in Italia. Ho affittato un grande magazzino a Iskenderun e con quei soldi ho comprato più di 500 scatole piene di beni di prima necessità per le famiglie. Poi ho acquistato dei materiali necessari per l’igiene e per lə bambinə. Infine ho portato dall’Italia dei vestiti nuovi”.

Zelal è stata a Adana, Iskenderun, Hatay e Antakya per distribuire aiuti. La situazione che ha visto era forte: “In particolare Antakya risulta distrutta totalmente. Le moschee antiche, le strade e gli edifici sono crollati. Ci sono pochi palazzi in piedi che sono inagibili. Ormai in quella zona non trovi nessuna persona tranne i poliziotti, giudici e procuratori che prendono nota e scrivono dei verbali”. Zelal aveva deə parenti anche a Antakya e dice che quasi la metà è morta durante i terremoti.

Zelal è rimasta in zona dal 25 febbraio fino al primo di marzo e ha potuto vedere il cambiamento: “Oggi le grandi città hanno meno problemi rispetto ai primi giorni tuttavia nei villaggi la gente continua ad auto-organizzarsi. Manca ancora un coordinamento istituzionale in zona. Parecchie persone mi hanno chiesto di fornire tende che ci sono ma non sono sufficienti oppure in queste vivono numerose persone insieme e in modo scomodo.

Secondo Zelal la mancanza d’acqua è tuttora un importante problema in zona. Gli edifici crollati, l’infrastruttura totalmente fuori uso e le macerie ancora da rimuovere fanno sì che il sistema dell’erogazione dell’acqua non possa essere ripristinato. Questo problema ovviamente genera un problema legato all’igiene e alla gestione corretta dei bagni situati dentro i tendopoli.

Ora Zelal sta lavorando sulla preparazione di una nuova ondata di aiuti. Qui in Italia sta lavorando per raccogliere nuovi fondi con l’obiettivo di trovare un produttore locale tessile e far produrre delle tute, molto richieste dalle persone colpite dai terremoti.

Muzeyyen Sevkin è una parlamentare d’opposizione, iscritta al Partito Popolare della Repubblica, CHP e rappresenta la città di Adana. Le sue prime impressioni, un mese dopo il terremoto sono state riportate dall’agenzia di notizie Anka, in un servizio il 7 di marzo: “Ad Hatay la maggior parte delle macerie non è stata rimossa ancora. Dunque le persone non sanno se lə loro carə sono vivə o mortə. Ci sono dappertutto appesi gli avvisi di ricerca delle persone. Quindi dubito che i numeri ufficialmente comunicati siano veritieri. Inoltre in diverse zone manca l’acqua pulita, l’accesso ai bagni e i vestiti puliti”.

Secondo Louisa Vinton, la rappresentante del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) in Turchia saranno necessari più di 100 miliardi di Euro per compensare il danno economico creato con i terremoti. Nel suo intervento fatto in videoconferenza il 6 di marzo Vinton ha comunicato che circa 2.7 milioni di persone sono rimaste senza abitazioni e in totale circa 600 mila edifici sono crollati.

Tra le persone che si sono attivate con l’obiettivo di curare le ferite e compensare il vuoto economico nato c’è Halil Kalafat, governatore del quartiere di Kiliçalipasa a Istanbul. “Finora abbiamo fatto partire 7 tir pieni di prodotti di prima necessità. Siamo attivə in 3 quartieri. Raccogliamo soldi per acquistare beni oppure alcune persone ci portano direttamente i prodotti. Abbiamo trovato anche degli sponsor per finanziare il costo dei tir e del viaggio”. Halil e le persone che abitano nel suo quartiere mandano tutti gli aiuti a Hatay dove ci sono altre 30 persone volontarie che abitavano prima a Kiliçalipasa ma essendo di Hatay sono partite per dare una mano alla loro città. “Queste persone ricevono gli aiuti e li distribuiscono. Le nostre partenze sono avvenute tutte con l’autorizzazione delle istituzioni. Siamo riuscitə a procurare anche dei generatori elettrici e farmaci”.

Halil e 3 suoə colleghə hanno deciso di attivarsi sin dall’inizio del terremoto. “Nei nostri quartieri vivono persone abbastanza benestanti quindi le offerte sono state molto generose. Anche dall’estero e da altre città della Turchia ci hanno mandato degli aiuti”. In merito all’assenza delle istituzioni Halil racconta un’esperienza interessante: “Sin dai primi momenti del disastro, prima dei governatori di alto livello erano presenti le nostrə colleghə. Così siamo riuscitə a coordinare bene tutto”.

Tra non molto ci sarà il mese di Ramadan e secondo le regole religiose le persone bisognose andrebbero aiutate. Proprio in quel periodo, solitamente, Halil attivava un sistema di solidarietà per aiutare le persone bisognose del quartiere ma quest’anno la destinazione dei suoi aiuti sarà la zona colpita dai terremoti.

Secondo la redazione in lingua turca dell’agenzia tedesca DW, le 11 città colpite dai terremoti rappresentavano circa il 9,3% del pil nazionale con un contributo alla produzione agricola pari al 16% del fabbisogno nazionale. Inoltre circa il 16% dei campi agricoli presenti in zona si trovavano nelle aree colpite dai terremoti.

Il danno economico avvenuto in zona è notevole. Secondo il Sindacato dei Lavoratori dell’Impiego Pubblico(KESK) in zona esistono ancora numerosi problemi importanti da risolvere tra cui il numero notevole deə bambinə rimastə orfanə, una diffusa disinformazione e gli aiuti economici. Il governo centrale, nei primi giorni del terremoto, aveva comunicato che avrebbe erogato 10 mila Lire (poco più di 500 Euro), una tantum, a tutte le famiglie rimaste senza casa. Sono stati attivati anche alcuni sistemi di microcredito per le attività commerciali locali con la possibilità di iniziare a pagare dopo il primo anno ovviamente la speranza è quella di tornare al regime economico di prima dopo un anno. Tuttavia secondo il direttore della Federazione internazionale delle società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa ci vogliono almeno 3 anni per la ricostruzione della zona.

In questo periodo è stato fondamentale anche il lavoro deə giornalistə recatə sul territorio. Kazim Kizil è unə di questə. Subito il primo giorno del terremoto parte da Izmir per arrivare a Hatay. Successivamente realizza dei servizi video anche a Maras, Osmaniye, Antep, Pazarcik e Iskenderun. Anche secondo Kazim ora la situazione è migliore rispetto i primi giorni. Tuttavia sembra che siano sorti altri problemi: “In centro città magari le tende non scarseggiano ma nei villaggi ancora sì. Inoltre ci sono dei notevoli problemi legati alla sicurezza. Ci sono stati dei casi di saccheggio quindi chi possiede un’arma la usa per difendersi e per proteggere la sua famiglia”. La mancanza di luce, secondo Kazim, a Hatay e Iskenderun crea un momento di paura soprattutto di sera.

Secondo Kazim è ancora molto diffuso lo shock nella testa delle persone: “Il fatto che sia avvenuto un secondo terremoto qualche giorno dopo il primo, ha fatto sì che, anche se sia passato un mese, le persone avessero ancora paura. Inoltre sentiamo ogni giorno numerose scosse per cui le persone sono sempre in ansia”. In quest’ottica secondo Kazim è visibile la mancanza di cure mediche, medicine e personale medico in alcune zone.

Quando si parla del numero delle persone che hanno lasciato la zona Kazim ha un’idea: “Secondo il Ministero degli Interni sono circa 2 milioni ma io conosco numerose persone, esattamente come la mia famiglia, che vivevano in zona e sono andate daə loro carə in altre città e queste persone non hanno dichiarato i loro nuovi domicili. Per questo penso che siano molto più di 2 milioni di persone che hanno lasciato l’area”.

Questo spostamento, soprattutto verso le città di Mersin, Antalya, Ankara e Diyarbakir ha scatenato una speculazione negli affitti. Secondo la redazione in lingua turca dell’agenzia DW in alcune città si tratta di un aumento pari al 50%. Invece secondo la giornalista Gulistan Alagoz del quotidiano Hurriyet gli affitti sono in aumento anche nelle città colpite dai terremoti ma in particolare nei quartieri che non hanno subito danni, in questo caso l’aumento sale addirittura al 56%.

Finora sono passati più di 30 giorni dal primo terremoto del 6 febbraio avvenuto in Turchia. Questo disastro che ha colpito milioni di persone sembra che abbia creato un enorme danno economico e sociale e le testimonianze riportano che ci sia ancora bisogno di alcuni interventi essenziali.

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