Alessandria in cammino (“si verum est”)

La guerra in Ucraina continua. È una grande tragedia, che ormai ha implicazioni che concernono il genere umano. È un orrore senza fine, di cui il governo russo dovrà rispondere di fronte alla storia e ai popoli. Ma è pure un conflitto da chiudere al più presto, tramite realistiche trattative di pace. Il riarmo ormai illimitato dell’Ucraina, voluto soprattutto dagli angloamericani, non interrompe, ma perpetua la strage degli innocenti ucraini. E accresce ogni giorno i rischi di terza guerra mondiale. Bisogna sì aiutare anche militarmente l’Ucraina a difendersi, ma operando per una pace “realistica” quanto più possibile rapida, contro i propositi angloamericani di guerra sino alla disfatta dello Stato russo di Putin, naturalmente da ottenere col sangue degli ucraini. Come non vedere che si scherza col fuoco di una possibile terza guerra mondiale, che poi diverrebbe fatalmente nucleare, con una faciloneria da matti scatenati?

In un contesto del genere persino la campagna elettorale amministrativa di Alessandria sembra lontana. Del resto con quello che bolle nel pentolone del mondo non c’è da stupirsene più che tanto.

Guardo comunque, sui manifesti, il viso di coloro che in Alessandria si candidano a diventare sindaco o a rappresentare la Città. Mi sento un poco “inattuale”, e non mi dispiace, e non me ne dolgo. Da tanti anni mi piace riflettere, con fermo orientamento progressista, ma in totale indipendenza, su dove vada la vita, la storia, l’Italia, la mia città e il mondo, senza null’altro desiderare: sin dove riesca ad andare la mia cultura e la mia capacità di comprensione del mondo collettivo, e persino del mondo interiore. Senza nulla desiderare per me o altri. A mio parere un tale riflettere appassionato e disinteressato, che solo su Città Futura in vent’anni mi ha portato a scrivere oltre cinquecento articoli, è servito e serve molto di più del vano agitarsi spesso insensato per questo e per quello. Su quel versante “abbiamo già dato”. A ottant’anni uno può pure sentirsi il postero di sé stesso, anche se non è obbligatorio. Può provare a mettere quel che ha appreso a poco a poco nei decenni, nel mio caso in oltre sessant’anni continui di studi e riflessioni, articoli saggi e libri, e dai libri e dalla vita anche politica: “per tutti e per nessuno”. Non mi sento uomo per tutte le stagioni.

Del resto il candidato sindaco che voto e che farò votare in Alessandria, Giorgio Abonante, è nato nell’anno in cui, quarantasette anni fa, nel 1975, io diventai assessore alla cultura e teatro. Ormai quel tempo remoto, dal 1975 al 1985, appartiene alla Storia, sia pur essa solo cittadina. Ma sempre Storia è. Fui assessore alla cultura e poi, per cinque anni, dal 1980 al 1985, capogruppo di un gruppo comunista che comprendeva allora diciannove consiglieri su cinquanta. Allora si fecero, bene o male, tante cose, a partire dalla municipalizzazione dei servizi pubblici essenziali ad opera del sindaco Felice Borgoglio e in particolare del vicesindaco Alfio Brina, comunista concreto e determinato.

Si fecero pure le cose di cui mi occupai particolarmente io. Allora, infatti, completammo, fondammo e avviammo la direzione del Teatro. Fondammo, con tanto di Statuto, Presidente e Comitato scientifico, non venuti dalla luna, quello che oggi si chiama ISRAL (Istituto per la storia della Resistenza e della società contemporanea in provincia di Alessandria). Facemmo diversi convegni nazionalmente significativi. E avviammo il decentramento di tre Facoltà che sono quelle storiche sino ad oggi – Scienze Politiche, Giurisprudenza e Scienze Matematiche Fisiche e Naturali – inventandoci pure la triniversità, che altrimenti “qui” non sarebbe mai arrivata; lo facemmo grazie al fervido dialogo con una Regione Piemonte allora “rossa”. Ciò consentì alla città di essere sede universitaria a pieno titolo. Su quella base poi arrivò appunto la seconda Università del Piemonte, strenuamente voluta dai parlamentari del Piemonte sud, tra cui c’era pure, attivamente, l’attuale Presidente di Città Futura, l’amico Renzo Penna, in quella fase deputato del PDS.

In tempi come quelli in cui viviamo, il rafforzare la vocazione di Alessandria ad essere città di servizi culturali e sociali avanzati dovrebbe essere in cima ai pensieri di una classe politica responsabile. Ma è così?

Leggo che ci sono nuove possibilità finanziarie per riaprire il Teatro, con gara indetta su progetti da quest’Amministrazione di centrodestra. Portate pazienza. Prima dovrà vincere un progetto. Poi dovrà essere trasformato in progetto esecutivo finanziato. Poi si dovrà decidere chi lo realizzerà. Non sono fatti, anche se le idee sono sempre decisive. La Giunta precedente diretta da Rita Rossa aveva almeno bonificato il Teatro dall’amianto, sparso dappertutto in seguito a scelte dissennate fatte da gente di centrodestra; e aveva riaperto almeno la Sala Ferrero, da trecento posti. Poi è stata di nuovo serrata. O no?

Io avrei preferito che si seguitasse a tenere aperta la sala Ferrero aperta da Rita Rossa e che si cominciassero a comperare le ottocento poltroncine nuove al posto di quelle messe fuori uso dall’amianto, cominciando col riaprire tutto. Accordarsi su ciò con l’ente preposto sarebbe stato facile. E valido perché comunque quelle poltroncine della sala grande in platea ci vorranno (è matematicamente certo). La politica del “progettare di progettare” è sterile. Prima facciamo quello che si può fare quanto prima, e poi, o anche in parallelo, i progetti dell’avvenire. Altrimenti non è riformismo audace, ma massimalismo sterile, e pure onanistico. C’è anche un massimalismo vacuo della destra, con ogni evidenza.

Ma comunque aspettiamo, speranzosi, in dubitante attesa. Il Teatro è importante, e vedere tutto quel grande complesso chiuso arrivando dalla stazione, stringe il cuore: sembra il biglietto da visita di una città in decadenza.

Osservo la campagna elettorale in Alessandria.

Il sindaco di centrodestra uscente si affida all’usato sicuro, che sarebbe lui, Gianfranco Cuttica di Revigliasco. Sembra che il suo maggior merito sia quello di essere un uomo mite e gentile, e soprattutto di non aver fatto niente di rilevante nei cinque anni di governo. “Non ha rotto”. Ha uno slogan sui manifesti che ricorda molto quelli democristiani del “progresso senza avventure”. Solo che “qui” manca il progresso, oltre a mancare le avventure. Abbiamo un declino di Alessandria senza avventure. Nessuno lo riconosce, ma tutti lo sanno. Non dico che sia colpa solo di chi ora governa questa Città, ma certo non ha minimamente invertito il declino. Del superamento del declino mancano persino gli indizi.

Sono un ottuagenario, ma è troppo anche per me. Vorrei più movimento, più iniziative, più decisionismo, più volontà di realizzare (persino sbagliando). Ma può darsi che in un mondo stanco molti siano grati a Cuttica di Revigliasco proprio perché a quanto pare non ha fatto un accidente. “Quieta non movere”, “Lasciateci dormire”, “State cheti”, “Non siate esagerati”.

Ma le strade seguitano ad essere piene di buche come al tempo del dissesto economico del Comune: un dissesto che sin dall’inizio, pur senza poterlo né volerlo gridare dai tetti per non danneggiare la sinistra, io al posto dei governanti non avrei mai deciso. Semmai me lo sarei fatto imporre dal prefetto. Sono sicuro che il mio antico amico Angiolino Rossa non l’avrebbe deciso neanche sotto tortura. Senza quel dissesto la brava Rita Rossa sarebbe ancora il sindaco (o “sindaca”), popolare, di questa città. Lo so che è la storia dei se e dei ma; talora però anche quella può insegnare qualcosa. Il fatto però è che il dissesto è passato, circolano persino molti soldi, ma le strade, dopo cinque anni di governo di centrodestra, restano piene di buchi. C’è stata solo assuefazione da parte di molti cittadini. Saranno contenti i venditori della batteria delle auto.

I sobborghi ora sono poco o nulla curati. I collegamenti ferroviari con Milano e pure con Savona non incentivano lo sviluppo, ma lo deprimono.

Impressione di una città di vecchi, che dopo aver raggiunto i centomila abitanti nel 1970 si è fermata. Allora il sindaco Piero Magrassi si vantò del risultato, e io, nello spirito sessantottesco di quel tempo lontano, sul “Filorosso” del PSIUP alessandrino scrissi che avevamo di certo sottovalutato “la fecondità del sindaco di Alessandria”. Dopo oltre cinquant’anni siamo novantamila. Meno male che ci sono i nuovi cittadini venuti dall’estero, che portano un po’ di giovani e nuovi bambini. Con buona pace dei leghisti.

La cosa più viva resta l’Università. La faccenda è andata molto avanti. Oggi ci sono corsi di laurea di Chimica (c’era dall’inizio, in Scienze matematiche fisiche naturali), Economia aziendale (quasi dall’inizio), Giurisprudenza (dall’inizio), , Fisioterapia (da poco gemmata), Infermieristica (da poco gemmata), Informatica (gemmata), Lettere (gemmata), Scienze biologiche (c’era dall’inizio), Scienze politiche economiche sociali e dell’amministrazione DIGSPES (c’era dall’inizio, con ovvie modifiche). Ho parlato di gemmazione, ma ora ha il senso positivo del trasferimento di corsi di laurea dentro la stessa Università: il che va molto bene, se si aggiungono agli esistenti, come accade.

Tutti questi corsi sono sostanzialmente quelli che c’erano sin dalla fine degli anni Novanta. Questi corsi in seguito alla cosiddetta riforma Berlinguer dopo il 2002 sono diventati triennali, seguiti da corsi specialistici biennali (ora magistrali), per i quali le Facoltà alessandrine predisposero un’ampia offerta che mi dicono essere stata molto gradita alla popolazione: offerta che poi la riforma Gelmini e le difficoltà logistiche alessandrine avrebbero poi forzatamente ridimensionato.

I vecchi amministratori, cioè quelli in carica del centrodestra, sembrano lontano anni luce dal capire le esigenze di sviluppo dell’Università in questa città. Non c’è neanche: 1) Una foresteria e mensa per studenti e professori residenti; 2) una politica per far espandere non solo il polo scientifico, ma anche quello sociale economico e giuridico ora a Palazzo Borsalino, e che è bene che resti lì, perché è in centro, vicino alle due piazze principali della città e alla Stazione, e tale da far percepire agli alessandrini l’Università come bene comune. L’Università deve essere sentita come bene comune e deve percepire Alessandria come la sua città. Se fosse così la triniversità, l’attuale UPO (Università del Piemonte Orientale), potrebbe duplicarsi in un’Università di Alessandria e una di Novara-Vercelli, tanto più che di Università bine o trine in Italia c’è solo la nostra. Va bene così, ma anche guardare al futuro, purché si pongano tutte le premesse per realizzarlo, non sarebbe male.

Ai miei tempi gli alessandrini erano specializzati nel lamento contro l’imperialismo, anche universitario, di Torino. Ora sono passati al lamento per l’imperialismo di Novara, dove però a quanto pare gli amministratori cittadini si sono sempre dati molto più da fare. Qui sembra che faccia difetto sia la fantasia che la determinazione. Ma come nella storia ogni spazio lasciato vuoto, viene riempito da altri. Stupirsene è infantile. Per fare espandere l’Università in modo autorevole ci vuole almeno una casa dello studente, con mense adeguate e foresteria per studenti e professori; ci vogliono buoni servizi ferroviari, rapidi ed efficienti, a quanto pare sia verso Milano che verso Savona (anche per incentivare lo stretto contatto con aree di sviluppo); ci vogliono grandi biblioteche, dell’Università e non, mentre pure la Civica, nonostante la bellissima sede e anche la gentilezza e disponibilità della Direzione e del personale, seguita ad avere orari inadeguati per un servizio pubblico decisivo. Cresce bene, ben diretta e gestita, la Biblioteca dell’ISRAL.

La cosa paradossale a mio parere è che tutti sembrano concentrati sull’idea del rifare da zero invece di prendere in mano e riadattare per bene quello che si ha già. In via Cavour davanti a Palazzo Borsalino c’era e c’è una ex caserma dei carabinieri in cui espandere la Biblioteca universitaria di Palazzo Borsalino sarebbe facile. Pare che il Rettore non abbia trovato quel complesso adeguato o adeguabile. Non si capisce perché. Il Rettore dica così, ma il Comune ha approfondito? E i Dipartimenti di via Cavour hanno approfondito? Domanda di “Pierino”: qualche ufficio competente ha mai fatto una relazione tecnica vera in proposito? Oppure si decidono cose del genere – come direbbero a Torino – “trûck e branca”, a pari o dispari?

C’è poi la Caserma Valfré, e la si lascia “andar giù”.

Se uno va in Piazza Santa Maria di Castello vedrà il bellissimo ex Istituto dei sordomuti. Possibile che non interessi a nessuno, neanche dell’Università?

Taccio sulla Cittadella, che dicono sia la fortificazione-monumento di tipo militare più importante d’Europa. Mi dicono che per quanto gradevole per passeggiarvi vada in rovina. Nel decennio a Palazzo Rosso di cui ho detto, ricordo tante nostre visite istituzionali il 25 aprile e forse il 2 giugno. Possibile che non si possa riadattare almeno la parte in cui stavano i militari? Possibile che a suo tempo il ministro Franceschini abbia procurato una somma non piccola per l’area e tutti insieme – Comune, Provincia e Regione – non abbiano ancora deciso niente? Dov’è la proposta?

Sono ormai un po’ lontano da queste cose. Però guardo con curiosità e apprensione il ritratto dei candidati a sindaco, anche al di là di quello “uscente”. A parte Cuttica di Revigliasco, vedo molto presente il candidato di “Azione”, Barosini, molto fotografato e molto attivo. Rappresenta un partito come quello di Carlo Calenda in Alessandria: un Calenda che secondo me è tra le figure più interessanti nel panorama politico nazionale. Calenda dirige un “partito” che si dice “azionista”, con pretesa di emulare l’azionismo liberalsocialista dei Norberto Bobbio, Piero Calamandrei, Ferruccio Parri, Vittorio Foa e altri del 1944-1947. Probabilmente questo Barosini, fotografato ovunque, spera di fare in Alessandria quel che Calenda ha fatto nelle elezioni del Campidoglio un anno fa. Faccia pure, perché tutti hanno il diritto di sognare, ad occhi aperti e chiusi. Certo inquieta un poco un azionismo incarnato da uno che sino a pochi mesi fa era assessore del centrodestra. E per quattro anni consecutivi. Non è che tra il primo e il secondo turno assisteremo a mercanteggiamenti mandrogni che l’ottimo Calenda non può neanche immaginare? Vedremo. Temo che in questo “piccolo mondo antico” valga il famoso detto “Parigi val bene una messa”: anche se – lo riconosco – paragonare Palazzo Rosso a Parigi è come scambiare la chiesetta che Cuttica voleva salvare con la Basilica di San Pietro.

Io ormai mi sento e sono fuori da tutti i giochi (grazie a Dio, e mi piace moltissimo così). Però ho occhi e testa. E perciò una cosa la voglio dire. Al confronto di questi altri sindaci, Giorgio Abonante mi sembra una brezza di primavera. È in Comune dal 2007, e quindi ha una solida esperienza amministrativa (e, oltre a tutto, “bilancista”), raffinata da un master e da un lavoro consimile in Provincia. Per questi tempi è relativamente giovane. È preparato. Ed è sicuramente una persona molto per bene. Fa una campagna molto meno dispendiosa e popolare-populista di altri (il che è un po’ rischioso). Speriamo che gli alessandrini, troppo scettici – specie a proprio danno – e troppo distratti – quando non si tratti dei loro interessi diretti – lo scoprano quanto e quando serve, e lo eleggano sindaco. Io sono da tanti anni lontano dalla quotidianità alessandrina, ma una cosa mi sento di dire con certezza: tra i candidati in campo Abonante è quello che dà più speranze in termini di volontà di fare, onestà e disinteresse, competenza … e anche età, ancora aperta all’innovazione.

Ho anche letto i punti del suo programma e li condivido pressoché tutti. Ci sono anche le istanze di cui ho detto. Il mio solo dubbio, che però esternerei di fronte alla volontà espressa da tutti e tre i candidati in campo al ruolo di sindaco, concerne il nuovo Ospedale. Tutti sono convinti che ce ne voglia uno nuovo. Siamo in Italia. Se voi chiedete a un politico di professione se vuole un nuovo ospedale, quello risponderà che ne vuole due. Potrebbe essere giusto, ma io ho i miei dubbi. Soprattutto non vorrei che nei dieci anni che ci vorranno per fare il nuovo Ospedale, si lasci andare giù il vecchio. So come vanno queste cose, E poi mi chiedo se la localizzazione sia stata meditata. E se occorra un nuovo ospedale o nuovi padiglioni. Che cosa dicono i primari? E i medici che vi operano? Che cosa gli stessi sindacati della sanità? E soprattutto che cosa dice, nel merito, da un lato il Rettore dell’Università, che è un medico e legato certo ai corsi decentrati di Medicina, e soprattutto i docenti che qui tengono i corsi di Medicina? Un buon modo di lavorare sarebbe quello di coinvolgerli nella valutazione e in parte nella progettazione. Ma magari i miei saranno pensieri di un inattuale d’altri tempi. “Portate pazienza”.

Fate come volete, e intanto, se volete aprire una finestra verso un’Alessandria rinascente, un’Alessandria in cammino, un’Alessandria protesa all’innovazione e diversa da quella dell’ultimo quinquennio, date chances a questo Giorgio Abonante. Per ora è veramente il meglio che si possa fare.

di Franco Livorsi

1 Commento

  1. Nel Piano commerciale 2022 RFI vanta la centralità delle stazioni ferroviarie
    “Dalle stazioni è inoltre possibile raggiungere i grandi poli dell’istruzione e della salute: l’85% degli atenei e dei dipartimenti universitari e oltre la metà delle sedi ospedaliere è a meno di 3 km da una stazione.”
    Forse i decisori politici dovrebbero, come ben sottolinei, rifettere su questi dati prima di fare le scelte.
    Nicola Parodi

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