Alessandria e lo spionaggio nella Grande Guerra

La lettura di “Le grandi spie”, pubblicato da H. R. Berndorff nel 1930, mi ha fatto “riesumare” un vecchio articolo pubblicato trenta anni fa e nato dallo studio di un faldone presente nell’archivio di stato di Alessandria, il 77 della serie III della Prefettura.

Torniamo agli ultimi due anni del primo conflitto mondiale. Non pensiamo però a cose straordinarie: la lotta contro la quinta colonna si attua attraverso il controllo del territorio e della popolazione.

La nostra città, durante la Grande Guerra, oltre ad essere un importante centro militare è anche uno scalo ferroviario strategico, fondamentale dopo la disfatta di Caporetto e il conseguente transito di truppe franco-inglesi provenienti dalla Francia e dirette sul Piave.

Tutta la provincia, nonostante la lontananza dal fronte, sente il pesante respiro della guerra, reso ancora più greve dalla penuria e dal razionamento dei generi di prima necessità.

E’ logico quindi che lo Stato Maggiore dell’esercito non si preoccupi solo di reprimere spionaggio e sabotaggio ma anche di controllare il morale dei soldati e delle popolazioni, specie dopo tre anni di guerra e lo scoppio della rivoluzione dei Soviet.

L’Alto Comando invia a quello di corpo d’armata territoriale e alla Prefettura di Alessandria circolari e fogli informativi dai quali traspare il timore per lo spionaggio austro-tedesco e per la propaganda pacifista, condotta soprattutto dai socialisti, che ha forte presa in una popolazione stremata dalla guerra.

A volte si dà corpo a paure soltanto per atteggiamenti ambigui: un’automobile con targa straniera che viaggia a velocità sostenuta oppure persone sospette nei pressi di una fabbrica. Però poi giungono informazioni da fonti sicure e allora il tono dei dispacci diventa allarmante: “Risulta a questo Servizio che gli Austro – Tedeschi stanno reclutando agenti disfattisti fra la popolazione italiana delle terre invase, fra gli internati civili e anche fra i prigionieri di guerra.

Detti connazionali sarebbero provvisti di larghi mezzi e passerebbero a piedi la frontiera austro- svizzera e austro- italiana, facendo credere di essere riusciti a fuggire.

In parte la propaganda disfattista si svolgerebbe in Isvizzera, ma la maggior parte degli agenti sono destinati per la propaganda pacifista fra la popolazione italiana in Italia ed anche fra le file dell’esercito italiano.”

“Da fonte attendibile viene segnalato a questo Riparto che il servizio nemico si servirebbe di sudditi serbi e montenegrini per esercitare lo spionaggio in Italia.

Detti individui farebbero da intermediari fra la legazione di Austria a Berna e gli agenti fissi stabiliti nel regno e anche da informatori passando dall’Italia in Svizzera attraverso la Francia e viceversa e servendosi di un linguaggio convenzionale redatto con termini riguardanti apparentemente la scienza medica.”

“Nuovamente da parecchie fonti perviene notizia che comando nemico progetti inizio nuova vigorosa offensiva su tutta nostra fronte per giorno 4 gennaio nel qual giorno non si esclude anche un attentato contro Genova (…) intensificare al massimo grado la vigilanza esterna ed interna sugli stabilimenti ausiliari e di industrie belliche, nonché sulle stazioni e linee ferroviarie.” A queste comunicazioni della fine del 1917 e inizio 1918, lo Stato Maggiore italiano allega le immagini di minestre pronte di produzione svedese nelle cui confezioni i sabotatori nascondono gli ordigni esplosivi usati per gli attentati.

Le autorità militari della nostra provincia non segnalano comunque nulla di sospetto, l’unico su cui si concentra l’attenzione del controspionaggio è un tal Paolo Rinaudo, conte De Ville, di professione avvocato.

Egli è solito presentarsi presso gli uffici pubblici per chiedere contributi a favore di una società che si avvale dell’opera di mutilati italiani e che opera con lo scopo di far conoscere le industrie nazionali in patria e all’estero.

Apparentemente nulla di sospetto, ma sull’avvocato grava il sospetto, corroborato dai frequenti viaggi in Svizzera, di contrabbando a favore degli Imperi Centrali. Si teme quindi che la sua attività pubblicitaria sia solo la copertura di ben altro.

Il prefetto di Alessandria non prende però nessun provvedimento perché il conte De Ville opera saltuariamente nella nostra città, impegnato com’è nella più importante Milano.

Maggiori sono invece le preoccupazioni verso la propaganda pacifista, condotta da socialisti e anarchici.

Essa ha facile presa su una popolazione stanca di privazioni, razionamenti ma soprattutto dell’ecatombe di giovani vite al fronte.

Alessandria è un capoluogo amministrato dai socialisti che comunque hanno un largo seguito in tutta la provincia.

“La sezione R del servizio informazioni del Comando Supremo informa che da persone attendibili viene riferito che il noto Costantino Lazzari starebbe distribuendo dei manifesti agli operai degli Stabilimenti ausiliari per invitarli allo sciopero immediato che dovrebbe preludere la rivoluzione.”

A questa allarmante comunicazione, datata 15 gennaio 1918, si aggiunge il timore che per il 24 maggio 1918, ricorrenza dell’entrata in guerra dell’Italia, i socialisti diano vita a manifestazioni antibelliche inneggianti a Lenin e alla rivoluzione sovietica.

Le risposte che giungono al prefetto e allo Stato maggiore da parte della questura e delle sottoprefetture sono tranquillizzanti: tutto appare sotto controllo e di manifesti socialisti per ora non c’è traccia.

L’unico a richiedere rinforzi anche solo temporanei di un paio di guardie in borghese è il sottoprefetto di Tortona (12 febbraio 1918).

Qui l’esistenza di molti stabilimenti industriali, e quindi di operai, e di “donnette e Cocottes”, convergenti in città per la presenza di numerosi soldati e ufficiali inglesi addetti all’Ufficio di Intendenza generale, richiede un’intensificazione della sorveglianza sia per motivi di ordine pubblico, si avvicina il primo maggio, sia di buon costume, anche se più di un fatto di spionaggio si è verificato in un’alcova a pagamento.

Dopo Caporetto e la Rivoluzione russa lo Stato Maggiore ordina la consegna della maggior parte dei militari nelle caserme della provincia e l’aumento della vigilanza sugli esercizi pubblici e delle ronde militari proprio con lo scopo di ridurre i contatti con la popolazione e soprattutto con i propagandisti del disfattismo. A Tortona le autorità sono molto efficienti tanto che in data 29 dicembre 1917 viene inviato alla prefettura di Alessandria il seguente telegramma:” (…) Si è intensificata vigilanza sulle persone sospette e sui loro viaggi, sia mezzo funzionari PS, che arma dei CCRR sia pure mezzo qualche confidente.

Si intensificò altresì vigilanza sugli esercizi pubblici specie quelli dove convengono militari.”

A Casale Monferrato, nel dicembre del ’17, cade nella rete il soldato Muzio Giovanni, che viene deferito al tribunale militare per aver imprecato contro gli alleati in favore della pace, ma reo soprattutto di non sopportare il vino e una situazione che si trascina ormai da troppi anni.

I confidenti (detti fiduciari) avvicinano i soldati in licenza, all’osteria, nei caffè e addirittura in piazza, con lo scopo di farli parlare e carpirne lo stato d’animo.

Da febbraio del 1918, dopo che si è stabilizzata la situazione sul Piave, i dispacci dei sottoprefetti parlano di una truppa dal morale alto e desiderosa di una conclusione rapida e vittoriosa della guerra.

Questo sicuramente grazie al miglioramento delle condizioni dei combattenti al fronte (rancio, turni e licenze) dovuto alla sostituzione del cinico Cadorna con il più attento e “umano” Diaz.

Si distingue però dal coro il sottoprefetto di Novi Ligure che parla di militari in licenza stanchi e scoraggiati per il protrarsi della guerra.

Una nuova preoccupazione delle autorità di Pubblica Sicurezza è il contrabbando fra civili e militari francesi in transito da Alessandria verso il fronte. Sono scambiati viveri, vestiario e armi, queste sommamente pericolose in un momento in cui tanto si inneggia alla rivoluzione.

Egidio Lapenta

 

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