Anaao. Ciò che ci insegna la pandemia…

L’ANAAO ASSOMED è una associazione sindacale nata nel 1959 che inizialmente si chiamava solamente “Anaao”. L’acronimo – per chi non lo sapesse ancora – significa “Associazione Nazionale Aiuti e Assistenti Ospedalieri”. Dopo l’inserimento dei Medici tra i Dirigenti del SSN è stata aggiunta la sigla Assomed lasciando immutata la sigla iniziale per questioni perlopiù storiche. Per la verità gli iscritti all’Anaao Assomed non includono solo medici ospedalieri ma anche medici dei servizi territoriali e i biologi inizialmente appartenenti al sindacato Snabi.
L’ANAAO ASSOMED è il sindacato dei medici e della dirigenza sanitaria di gran lunga più rappresentativo a livello nazionale con oltre 21.000 iscritti.
In Piemonte gli iscritti all’ANAAO ASSOMED sono oltre 2.100 ed includono non solo medici e dirigenti sanitari del SSN ma anche medici di strutture private. Una fonte più che autorevole che interpelliamo su una serie di questioni delicate e di estrema attualità. Sullo sfondo, come si vedrà, di un quadro fosco, reso ancor più incerto dall’emergenza pandemica che stiamo vivendo.

Chi ci risponde è Giulio Fornero
Coordinatore commissione Organizzazione sanitaria Ordine dei medici di Torino

. Cominciamo dall’inizio. Cosa pensa della polemica in atto riguardante gli investimenti riguardanti la spesa sanitaria nazionale?                                                

In Italia, la spesa sanitaria pro-capite è del 15% inferiore alla media dei paesi OCSE e il tasso medio annuale di crescita della spesa sanitaria negli anni 2009-2016 è stato negativo (-0,3%), mentre, nella media dei paesi sviluppati, è stato positivo (+1,4%).
In particolare, il totale della spesa pubblica o a seguito di assicurazione obbligatoria per Assistenza a lungo termine (comprese entrambe le componenti di assistenza sanitaria e sociale) è intorno a 1,7% del PIL nei paesi OCSE, mentre in Italia nel 2017 risulta essere 0,6% del PIL.

. E in questo quadro quale è la situazione degli “impiegati” nel campo medico?       L’occupazione nell’assistenza sanitaria e sociale rappresenta una grande opportunità e una quota crescente della forza lavoro in molti paesi del mondo. In Italia, nel 2017, rispetto alla media dei paesi sviluppati, la quota sanitaria e sociale degli occupati era del 23% inferiore, il numero di medici generici del 14% superiore, ma con grave carenza di specialisti in molte discipline e con la percentuale più elevata tra tutti di medici con oltre 55 anni di età, e il numero di infermieri del 34% inferiore.

. Ne viene fuori una situazione in “chiaro scuro”. Secondo lei ciò che si è fatto e si sta facendo è sufficiente per la c.d. “salute pubblica”? 

Una analisi è stata condotta su 35 paesi da parte dell’OCSE per il periodo 1995-2015.
La consistenza della spesa sanitaria pubblica in sé e il modo in cui vengono utilizzate le risorse sono i principali determinanti dell’aumento dell’aspettativa di vita.
La spesa out of pocket particolarmente ingente in Italia (almeno 40 miliardi annui) non pare incidere significativamente sull’aspettativa di vita.
I risultati mostrano che un’istruzione migliore, redditi più alti, stili di vita più sani (quali la limitazione di fumo e alcool, alimentazione sana, esercizio fisico), il contrasto all’inquinamento atmosferico, agli infortuni sul lavoro e alle malattie professionali, agli incidenti stradali e domestici hanno tutti contribuito ad aumentare l’aspettativa di vita negli ultimi decenni.
One Health, riconosce la stretta correlazione tra la salute dell’uomo, degli animali e dell’ambiente.
Occorre gestire i rischi di epidemia e pandemia associati alle malattie infettive emergenti attraverso una cooperazione innovativa, intersettoriale, rafforzando la sicurezza sanitaria nazionale e globale.

. Più in dettaglio quali sono i settori di maggiore “impegno” sanitario?

Ricoveri ospedalieri
Il numero di posti-letto ospedalieri pro capite è diminuito nella maggior parte dei paesi OCSE, in media da 5,6 per 1 000 abitanti nel 2000 a 4,7 nel 2017. Questa riduzione fa parte di uno sforzo volontario nella maggior parte dei paesi, in parte guidato dai progressi nella tecnologia medica, che ha permesso il passaggio alla day surgery per una serie di procedure chirurgiche e una ridotta necessità di ricovero in ospedale. In Italia, però, nel 2017, il numero di posti-letto ospedalieri era del 32% inferiore alla media dei paesi sviluppati e ne è conseguito un aumento delle giornate d’attesa per ricovero per trattamenti appropriati di patologie gravi ed urgenti.
In Italia, secondo un Rapporto del Senato del 2013, il 35% degli ospedali è stato costruito prima del 1940; in Piemonte il 70% degli ospedali è stato costruito prima del 1940.

Invecchiamento e Long-Term Care (LTC)
In media nei paesi OCSE, nel 2017, c’erano 47,2 posti-letto LTC per 1 000 persone di età pari o superiore a 65 anni; in Italia, nel 2017, vi erano 19,2 posti-letto LTC per 1000 persone di età pari o superiore a 65 anni.
Nel 2016, poco più del 20% delle famiglie UE con persone bisognose di aiuto per problemi di salute a lungo termine utilizzava servizi di assistenza domiciliare professionale. L’Italia si fermava al 12 per cento.

. Pare di capire che il nostro Paese è stato più volte sollecitato ad una politica sanitaria diversa…Con quali risultati? 

OCSE ha ritenuto di inviare all’Italia un allarme:” Long term care for elderly should be more routinely available”.
Tra le conseguenze più rilevanti in Italia delle carenze indicate, vi è il sovraffollamento dei Dipartimenti di emergenza, un fenomeno diffuso in molti Paesi sviluppati, soprattutto nelle aree metropolitane. La ragione principale non è l’accesso inappropriato in Pronto Soccorso, ma il “blocco degli accessi” ai reparti per i pazienti da ricoverare in urgenza, blocco conseguente alla carente recettività degli ospedali e dell’intero sistema sanitario. Il sovraffollamento dei servizi di Pronto Soccorso e il ricovero ospedaliero in posti-letto di fortuna, non attrezzati, è dovuto in Italia alla riduzione dei posti-letto ospedalieri, non accompagnata dal sufficiente potenziamento delle cure domiciliari e residenziali in continuità assistenziale sanitaria e sociosanitaria per i pazienti cronici poli-patologici non autosufficienti.

.  In dettaglio quali potrebbero essere i punti su cui impegnarsi di più?

OCSE, ad aprile 2020, indica le evoluzioni del Sistema sanitario che hanno consentito di essere meglio preparati alla pandemia e che guardano al futuro della sanità e dell’economia:
• Coordinamento tra Stati per contenimento rapido della pandemia, rafforzamento e omogeneizzazione dei meccanismi di sorveglianza, delle infrastrutture di informazione sanitaria e delle modalità di condivisione di informazioni e di dati standardizzati
• Sistemi sanitari rapidamente adattabili (disponibilità adeguata di professionisti sanitari, di posti-letto di degenza e di terapia intensiva, di dispositivi di protezione personale, di sistemi di monitoraggio)
• Cure domiciliari per le persone, soprattutto per i più anziani, anche alla luce della grave crisi delle strutture di ricovero per gli anziani
• Cartelle cliniche e Fascicoli sanitari elettronici standardizzati a livello nazionale
• Tecnologie a distanza per rilevazione, monitoraggio, diagnosi e anche trattamento, come nuovo standard di cura
• Nuove terapie, vaccini e tecnologie biomediche: innovazioni a velocità crescente

. Ci sono state negli anni, e non solo per questa pandemia, molte dichiarazioni e raccomandazioni europee. Quali effetti hanno sortito?

Sono recenti la Dichiarazione sul sostegno alla crisi pandemica in data 8.5.2020 dell’Eurogruppo, la Raccomandazione sul programma nazionale di riforma 2020 dell’Italia, che formula un parere sul programma di stabilità 2020 dell’Italia del Consiglio dell’Unione Europea in data 20.5.2020 e la nuova emissione BTP Italia ideata per il finanziamento degli interventi relativi all’emergenza Covid-19 disposta dal Governo Italiano lunedì 18 maggio 2020, che sono tutte centrate sul rafforzamento del sistema sanitario: sono occasioni da non disperdere, nella generale necessità di provvedimenti per il rilancio dell’Italia, utilizzando invece tutte le risorse in modo specifico per la Sanità. Il MES dovrebbe essere auspicabilmente vincolato alle spese sanitarie.

. Già, un vincolo importante…

E vi è il rischio di un utilizzo marginale delle risorse per la sanità e di dispersione in distribuzioni parziali ed inefficaci senza potenziare effettivamente il servizio sanitario nazionale. Col rischio  di dover affrontare una probabile ripresa invernale della pandemia. Il SSN vero bene comune va rapidamente rinforzato anche per evitare ulteriori e catastrofali danni economici diffusi.

La sanità costa, ma non averla costa di più. E’ necessario evitare norme sempre più complesse e distanti dalle regole europee, evitare conflitti di competenze tra Istituzioni e promuovere una alleanza trasparente con i cittadini e con i professionisti sanitari.

E’ sempre l’Anaao a ricordarci che il “il 56% dei medici e infermieri piemontesi ha fatto il tampone perché privo delle protezioni adeguate; il 77% di loro ha atteso il risultato continuando a lavorare; nell’89% dei casi non è stato fatto il tampone ai famigliari dei positivi e il 39% dei casi ha dovuto dormire in stanze o case lontane dai propri cari”.

E questi sono  i risultati del sondaggio promosso da Anaao Assomed e Nursind Piemonte raccolti dal 27 aprile al 8 maggio 2020 con l’obiettivo di fotografare le difficoltà vissute nei primi mesi dell’emergenza Covid, cui hanno risposto 1930 operatori sanitari. Numeri che confermano quanto ripetutamente denunciato da Anaao Assomed in queste settimane: la carenza di DPI (dispositivi di protezione individuale), il ritardo nell’esecuzione dei tamponi, l’abolizione della quarantena preventiva tutti elementi che hanno trasformato gli ospedali da luoghi di cura in luoghi di contagio.

Il sondaggio conferma anche la carenza di DPI, insufficienti per il 67% dei responders, la scarsa informazione sul loro utilizzo, seppur fortemente raccomandata dall’ISS, adeguata solo nel 50% dei casi, e la difficoltà in molti ospedali nel distinguere i percorsi puliti e sporchi, non ben differenziati nel 58.7% dei casi. Rivela con dati chiari quel che Anaao Assomed ha sempre sostenuto: i lavoratori della sanità sono stati lasciati soli e privi di protezione ad affrontare l’emergenza epidemiologica più grave degli ultimi decenni. E in modo ancor più netto, quasi a corollario delle loro – giuste – segnalazioni: “NON accettiamo nel modo più assoluto che medici ed infermieri rischino la salute e la vita lavorando. Se loro diventeranno COVID positivi, chi curerà i pazienti? NON accettiamo che il personale esposto non venga sottoposto a tampone e continui a lavorare con il dubbio di essere positivo per due settimane. Vivendo, al rientro dal lavoro, per 15 giorni in isolamento famigliare, con l’incubo di essere infetto e trasmettere il Sars-COV-2 a genitori e figli” (1) . Non  lo accettano perché un Paese che si blinda, non può permettere che i suoi operatori si infettino e siano poi mandati in giro per le corsie, contribuendo alla diffusione della malattia. Se i DPI non sono sufficienti, che si acquistino con urgenza. Se i tamponi non sono sufficienti, che si trovino, si facciano e si analizzino in tempi rapidi. Se il personale non è sufficiente, che si assuma in modo serio e trasparente.  Richieste semplici e di buon senso che, se fossero state applicate fin dall’inizio dell’emergenza, avrebbero portato ad esiti meno pesanti per la collettività.

.1. Per chi volesse leggere in dettaglio la dichiarazione:  https://www.vconews.it/regione/2020/03/11/coronavirus-la-denuncia-di-anao-assomed-mancano-mascherine-e-dispositivi-di-protezione-in-molti-ospedali/114523/

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