Quando andavamo alle colonie estive

La memoria è necessaria per tutte le operazioni della ragione.
Blaise Pascal, Breviario, Bompiani, Milano 2002, Pensieri 97.

Diversi analisti e commentatori hanno sottolineato nelle ultime settimane la situazione di stress che colpisce le nuove generazioni, a partire dalle scuole elementari fino all’università. Lascio alla competenza sociologica la spiegazione del fenomeno, che si colloca, a buon titolo, nel contesto del declino demografico e culturale italiano, e mi limiterò ad alcune riflessioni e a qualche ricordo personale su quando, per molti ragazzi della mia generazione, le vacanze consistevano nel soggiorno presso le colonie estive. Riflessioni e ricordi che mi sono stati stimolati dalla lettura del libro dello storico Stefano Pivato “Andare per colonie estive”, nonché dall’intrigante recensione di Gian Antonio Stella, apparsa sul Corriere della Sera dell’8 aprile scorso.[1]

“Uno dei massimi storici del Novecento George L. Mosse – scrive Pivato –, divide i monumenti in «morti» e «viventi». Volendo parafrasare lo storico tedesco, le colonie sono monumenti «parlanti» che, sia pure in gran parte oggi in rovina o destinati ad altro uso, ci restituiscono i lacerti di una storia che affonda le proprie radici nel Novecento”. Corredato da una ricca documentazione fotografica, nei sette capitoli in cui si articola la ricostruzione storica delle colonie estive e della loro diffusione sul territorio nazionale, l’autore ripercorre, soffermandosi con dovizia di particolari “sull’eclettismo dell’architettura fascista”, che, “in omaggio alla classicità romana si esprime attraverso le forme, le dimensioni dell’architettura pubblica”, unitamente all’utilizzo dei materiali prediletti dagli architetti razionalisti. Tutto ciò, mantenendo viva nel contempo l’attenzione sull’«andar per colonie», che consente a Pivato di fare “un viaggio nella storia del costume, nelle consuetudini economiche e sociali delle famiglie per oltre mezzo secolo di storia italiana” (p. 9).

Il cambio di passo realizzato dai “promotori della nuova stagione postbellica” si concretizza sul fatto che “ai fini assistenziali – scrive ancora Pivato – non avevano giovato nel passato la grandiosità dei locali, lo splendore dei marmi decorativi e tutto ciò che aveva teso a dare l’idea di fasto piuttosto che di quella praticità e serietà ritenute una garanzia anche di buon gusto” (p. 30). Tant’è vero che, “A marcare le differenze fra l’architettura del Ventennio e quella del dopoguerra non sono solo le dimensioni esterne degli edifici, ma anche quelle dei locali interni che rispondono a un preciso disegno pedagogico” (p. 31).

Favorite dal boom economico del Secondo dopoguerra, saranno poi le grandi aziende manifatturiere piemontesi a realizzare le colonie estive per i figli dei dipendenti, a cominciare dalla Olivetti di Ivrea alla quale verrà intestato “un edificio di modeste dimensioni” nella località di Marinella di Sarzana, in provincia della Spezia (precedentemente intestato a Italo Balbo), e sarà la stessa Olivetti, “un’azienda all’avanguardia nell’elaborazione di un modello sociale di gestione della fabbrica” a realizzare, nella seconda metà degli anni Cinquanta, la colonia alpina di Brusson in Valle d’Aosta. Una colonia che, come scrive Stefano Pivato, è divenuta, “per la distribuzione degli spazi, l’utilizzo dei materiali, e l’applicazione di innovative teorie educative un modello di sperimentazione per la vita quotidiana: il soggiorno montano può agire da elemento di erosione e di contestazione nei confronti delle istituzioni educative tradizionali” (p. 116).[2]

In quegli stessi anni anche l’ENI di Enrico Mattei realizzerà a Borca di Cadore, nei pressi di Cortina, una colonia estiva, progettata dall’architetto Edoardo Gellner, divenuta “un modello di integrazione con il paesaggio ed uno dei primi esempi di architettura ecosostenibile”. Assieme alla colonia estiva di Brusson, le colonie della Olivetti e dell’ENI diverranno “alcuni dei più riusciti esperimenti di quel paternalismo aziendale che fin dall’origine estende la politica di fabbrica a benefici sociali e assistenziali rivolti agli operai” (p. 118).

Paradossalmente, e per ironia della sorte, dopo avere realizzato la “prima colonia allestita dalla casa automobilistica (…) a Finalmarina in provincia di Savona”; la “colonia elioterapica a Pomaretto, sulle prime colline torinesi”, e la colonia montana di Sauxe d’Oulx, ed essendo, peraltro, considerata “l’azienda che più di ogni altra aveva contribuito, fra gli anni Venti e Trenta, alla politica assistenziale dei figli dei dipendenti”, sarà proprio la FIAT di Torino che, ancorché “involontariamente, contribuirà a far declinare il mondo delle colonie” (p. 113). Infatti, nel 1955, con l’uscita dagli stabilimenti di Mirafiori della nuova FIAT Seicento, questa nuova auto asseconderà, scrive Stefano Pivato, “un modello di vacanza inedito per gli italiani” che contribuirà a far sì che il rito collettivo della vacanza in colonia inizi a perdere colpi, relegando progressivamente in soffitta il soggiorno estivo in colonia. Da allora, grazie “alle ferie pagate, gli operai e gli impiegati possono trascorrere con tutta la famiglia (bimbi piccoli compresi) la vacanza nelle pensioni familiari dell’Adriatico o del Tirreno” (p. 113).

È un vero peccato che l’autore di questo libro, per molti aspetti originale e interessante, ancorché arricchito da una vasta bibliografia, non abbia trovato alcun riferimento sulle colonie estive destinate ai figli dei dipendenti delle Ferrovie dello Stato: un’esperienza della quale conservo alcune preziose immagini e vividi ricordi.

Operaio in ferrovia, quando avevo da poco compiuto gli otto anni, mio padre mi invitò a trascorrere il mese di agosto nella colonia estiva di Roncobello, in Alta Valle Brembana (in Provincia di Bergamo), dal momento che durante quella esperienza mi avrebbero educato alle buone maniere. E in effetti le giornate e le ore erano scandite sempre dagli stessi impegni: rifare il letto la mattina, poi la passeggiata in montagna sotto l’attenta tutela della “signo” (chiamavamo così la nostra accompagnatrice, severa, ma al tempo stesso rassicurante), al ritorno il pranzo a mezzogiorno, il riposino pomeridiano e, in attesa dell’ora di cena, i giochi sui prati con i compagni della colonia, tra i quali mi piace ricordare il concittadino, caro amico e atleta, Franco Dossena.[3] Poi a nanna.

Inoltre, per i “figli dei ferrovieri” che non amavano la montagna (rinomato era il centro estivo di Nebbiù nel comune di Pieve di Cadore), era disponibile anche la colonia marina di Calambrone, sulla costa Tirrenica (fra Tirrenia e Livorno), in provincia di Pisa. Ma qui i ricordi sconfinano con quelli di altre persone che preferiscono rimanere nell’anonimato, ad una delle quali, in compagnia dei miei genitori, nei primi anni Sessanta sono andato a fare visita.

Altri amici della mia infanzia, figli dei lavoratori dell’ex-ILVA (Italsider dopo l’inaugurazione del nuovo stabilimento nel 1962), mi ricordano poi, che dopo essere partiti in pullman davanti al Circolo Ilva trascorrevano le vacanze, in turni di un mese (con ammessa visita dei parenti a metà mese), nelle colonie estive di Arenzano e in quelle montane di Prali, nell’alta valle Germanasca in Val Chisone, e in quella di Cesana Torinese.

Infine, grazie alla donazione di un’area situata sulla collina prospicente l’attuale Parco Castello, una donazione effettuata nel 1952 dalla famiglia De Benedetti al Comune di Novi Ligure con l’impegno di realizzare su di essa un’opera di interesse sociale, sorse la Colonia Solare Camillo De Benedetti, nella quale trascorrevano le vacanze estive i figli delle famiglie novesi che non avevano la possibilità e/o i mezzi per mandarli nelle colonie estive delle industrie locali. [4]

Concludo questa mia scorribanda “nell’andar per colonie solari” con una citazione, nella quale mi riconosco, tratta dal libro di Stefano Pivato, rinviando gli ignavi al Pensiero di Pascal riportato in epigrafe: “Le colonie sono straordinari contenitori di memorie. Negli archivi della scrittura popolare si affollano i ricordi degli adulti. Ma con la nascita dei social media, l’esperienza della colonia estiva diventa uno dei temi più frequenti nei ricordi degli amici che si ritrovano, negli episodi che si rammentano, nei racconti che riaffiorano in una serie di «c’era una volta» che riannodano i fili dell’Italia del dopoguerra” (p. 11).

Alessandria, 15 aprile 2023

di Bruno Soro

  1. S. Pivato, Andare per colonie estive, Il Mulino, Bologna 2023. G. A. Stella, “Andavamo in colonia. Dalla retorica fascista al girotondo. Le prime vacanze di massa per bambini”, Corriere della Sera, 8 aprile 2023, pp. 38 e 39.
  2. Ricordo di aver avuto la fortuna, negli anni nei quali frequentavo la scuola secondaria, di visitare in una gita scolastica la fabbrica della Olivetti di Ivrea. Abbiamo potuto così verificare già da allora quanto afferma oggi Stefano Pivato, per il quale “La filosofia aziendale di Adriano Olivetti si basa su un’attenta e sensibile gestione dei dipendenti, considerati come risorse innanzitutto umane, prima ancora che produttive” (p. 116).
  3. Leggo su L’inchiostro Fresco, La voce rondinaria e dell’Oltregiogo, che “All’European Masters Athletics Championships Non Stadia svoltosi dal 12 al 15 maggio 2022 a Grosseto, il portacolori della società sportiva “Atletica novese” di Novi Ligure (Al), Franco Dossena, classe 1945, è salito sul podio, nella categoria Master 75+, aggiudicandosi il prestigioso titolo di Campione Europeo Master, per aver fatto fermare il cronometro nel tempo record di 21’ 48” sui 5 mila metri!”.
  4. L’ex Colonia Solare, in seguito divenuta Scuola Materna “De Benedetti”, è stata recentemente trasformata in una Residenza Sanitaria Assistenziale (inaugurata il 16 dicembre del 2006), e l’anno successivo è entrata in funzione la nuova struttura socioassistenziale “in grado di ospitare venti pazienti a lunga degenza (…) integrata con un centro diurno per anziani dotato di altri venti posti”. Infine, il 10 maggio 2010, in quella stessa struttura è stato inaugurato “il centro diurno socioterapeutico riabilitativo per portatori di handicap”. Il nuovo presidio sociosanitario va a completare la “Cittadella dell’Assistenza”, la cui realizzazione è conforme all’impegno assunto dal Comune di Novi Ligure di realizzare un’opera di interesse sociale sull’area donatagli nel 1952 dalla famiglia De Benedetti. Sono grato a Lorenzo Robbiano per avermi fornito la documentazione dalla quale ho tratto le informazioni sopra riportate.

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