Anna Maria Ronchi e il suo “Per donna ch’io sij”. Un tuffo nel Seicento moncalvese.

Non è semplice ricreare un’epoca, situazioni lontane da noi, angoli, momenti sovrapponibili quasi come in una elaborazione raffinata, sovrapponendo i drammi, i fatti, le felicità di un tempo al tran tran di un paesino della landa astigiana, sonnacchioso d’inverno e da cartolina in estate. Pur con tutto il rispetto di chi ci vive, ci lavora, ci passa poco o molto tempo libero. Luoghi oggi tranquilli e ridenti, un tempo toccati da guerre, pestilenze, fatiche, difficoltà. No, non è assolutamente semplice trasformare sequenze di parole difficili, piene di riferimenti legati alla storia secentesca, zeppe di latinismi, barbarismi di ogni genere in un’opera gradevole, documentata e giustamente lodata. E’ quel che, però, è riuscita a fare la professoressa Anna Maria Ronchi (1) nel suo testo edito dalle  Edizioni dell’Orso  “Per donna ch’io sij. Orsola maddalena Caccia e la comunità di Moncalvo nel Seicento”. Libro denso di informazioni ma non pesante, sempre ben equilibrato fra commenti ai testi e pubblicazione in originale dei medesimi. Giustamente spezzato in diversi capitoli che riguardano tutto il mondo del centro di Moncalvo, quasi un microcosmo a se stante, con una vita segnata dai rintocchi delle campane e dall’alternarsi delle stagioni. La collega è riuscita talmente bene nelle sue descrizioni che a qualcuno, non a tutti, è dato vedersi materializzare  persone vestite di tutto punto con le loro livree, le cappe, i cappelli, gli stivali lucidi oppure con ampi gonnelloni a ruota.  Con dietro, un pochino più scarmigliati,  le camicie logore, i calzoni sdruciti, decine e decine di persone abbruttite dal lavoro o dalla fame, alla perpetua ricerca di un modo per sbarcare il lunario. E, in mezzo, molte figure “ufficiali”. Dai vari “soprintendenti” e rappresentanti dell’autorità ducale, ai religiosi e alle religiose di ogni congregazione, fino ai bottai, ai macellai, ai prestinai e agli onnipresenti operatori agricoli. Il libro riesce a suggerire queste suggestioni e merita un approccio promozionale adeguato.  Ci proviamo.

Le presentazioni

Nel marzo 2021 presso la sede “Soroptimist” – virtuale, per i noti motivi – così come alcuni mesi or sono a Moncalvo (20 febbraio 2021 – (3)) , è stata presentata “Per donna ch’io sij” di Anna Maria Ronchi, un’opera incentrata su Orsola Maddalena Caccia e sulla Moncalvo del Seicento.

Christian Orecchia, Sindaco di Moncalvo (AT) è stato molto chiaro nella sua prolusione: “Noi come amministrazione della città di Moncalvo abbiamo il dovere di favorire la ricerca perchè ha delle ricadute sull’identità, sulle radici storiche, perchè dobbiamo sapere chi siamo per sapere dove vogliamo andare con un approccio più maturo, per dare concretezza a questo indirizzo abbiamo deciso di sostenere Anna Maria Ronchi e la sua casa editrice acquistando una serie di copie della sua opera, spesa già messa in bilancio 2021” . Bello il riferimento al “vogliamo sapere chi siamo”, la nostra storia più autentica, la nostra origine per scegliere al meglio dove andare. Un territorio, come moltissimi altri nella landa sconfinata fra Casale, Asti, Alessandria, Acqui e Alba che, insieme a ridenti colline, fiumi ora poco ripuliti, produzioni di eccellenza, è alle prese con una progressiva diminuzione degli abitanti a vantaggio dei centri maggiori con il conseguente popolamento di cittadini di età elevata o, in alternativa, di famiglie perennemente in movimento tra la casa dormitorio in collina e le attività prevalentemente nei centri urbani limitrofi. Bene. Il riprendere a discutere delle proprie origini, di come rivalutare  quella facciata vista tante volte ma non considerata per il vero valore storico, o quel particolare angolo, è proprio uno degli obiettivi, pensiamo noi, del lavoro in questione. Aiuterà sicuramente a crearsi/ricrearsi una identità non tanto per aggrapparsi al passato, quanto per farne una piattaforma di promozione per il futuro.

 

“Un secolo di fatiche e drammi, il Seicento, un luogo periferico, Moncalvo, travolto dalle ragioni della grande storia, una donna che fu pittrice e suora, intorno alla quale crebbe un monastero che sopravvisse alle tragedie del tempo: le voci di questo libro. È il Seicento tormentato dalle guerre di successione del Monferrato, dalla grande peste del 1630, il secolo della lunga vita di Theodora Caccia, nata nel 1596 a Moncalvo. Suora con il nome di Orsola Maddalena, vi morì nel 1676, nella stessa casa in cui vide la luce, trasformata in convento per lei e per le sorelle. Fu pittrice fedele ai modelli paterni, ma non solo. Fu badessa alla guida del monastero in cui tutte le sue sorelle presero i voti. Suora e pittrice, figlia e sorella, donna nel Seicento. Della pittrice sono stati studiati numerosi aspetti, della donna sono rimasti in ombra molti tratti. Il racconto della sua vicenda umana, attraverso l’analisi di documenti d’archivio, ha permesso di ricostruire storie e intrecci corali dell’ambiente e del territorio circostanti a lei contemporanei” così viene presentato il libro dall’autrice e a tale descrizione ci atteniamo.

Le possibilità di fruizione

Un libro viene letto, sottolineato, tenuto come un bambino in fasce o trattato con rudezza in viaggi e movimenti, a seconda della persona che lo possiede. Si presta sicuramente ad una lettura lieve, in ambiente adatto, possibilmente un giardino con il giusto equilibrio fra sole e ombra, con una bevanda (calda o fredda secondo i gusti) a tenerci compagni. Il libro di Anna Ronchi è l’ideale per questo tipo di fruizione. Noi invece ne proponiamo un utilizzo più prosaico e scolastico, trasformandolo in schede di lavoro e approfondimento, avendo a disposizione grandi paragoni letterari come “La Colonna Infame” e gli stessi “Promessi Sposi” di Manzoni, così come moltissime opere del Seicento o riguardanti quel particolare secolo. Non c’è che l’imbarazzo della scelta. Possiamo proporre solo qualche “idea” per colleghi docenti e curiosi della materia, operando alcune scelte nel mare magnum della documentazione originale riportata nel libro, ma l’occasione è delle più propizie e a tale impulso rispondiamo volentieri. Nelle sottosezioni indicate ci atteniamo alle partizioni operate dallì’autrice nel suo libro. Cominciamo con “Gli statuti e le comunità”…

Gli statuti e la comunità

Con il testo proposto ci si immerge immediatamente in quella che era la realtà giornaliera delle  Istituzioni del tempo. Ci troviamo Consigli Comunali difficili da mettere insieme, notai, gride e ordinanze, impegni più o meno solenni “persone di specchiata virtù” a cui affidare compiti difficili. A volte anche rinunce, in nome di una cautella che ben conosciamo dalle pagine manzoniane su Don Abbondio. Rivedere e rileggere qui nei nostri territori situazioni simili fa…un certo effetto.

(pag. 24) “Son ricercato da Persona di gran merito, et a cui desidero in ultimo compiacere, … accioche sopra il rotolo da farsi del lor Podestà nelle vigenti Feste di Natale si contentino di mettervi ancho il Signor Dottor Carlo Cavallo di San Salvatore,  che per le informationi havute stimo che lo meriti et facendolo mi porranno in obligo di testimoniar loro in tutte l’occasioni il piacere che ne sentirò” . Ed il dottor Carlo Cavallo fu inserito nella terna: “L’anno di milleseicento ventisette giorno di venerdì il Consiglio del Comune d’esso luogo di Moncalvo… Nel qual Consiglio…espongono li Consoli come è prossimo  il fine del biennio del Puodestà medesimo e che conformemente alli Statuti della Comunità debbasi far l’ellettione de tre Signori dottori afinchè uno d’essi sia admesso da S.A. per il prossimo biennio: perciò li sudetti Signori Consoli e Consiglieri unanimi hanno ordinato di venir alle nomine delli sudetti di quali hanno nominato et elletto li Signori Dottori con supplica di S.A. in …(ragione) della dispositione delli Statuti di questo luogo à concederne uno, e che perciò che io infrascritto nodaro formi il rotolo conforme al solito…” (Archivio Storico Comune di Moncalvo (ASM), Sottoserie Podestà, coll. Un . 3828, Convocato 31 dicembre 1627)

“Problemi inerenti le nomine”  sarebbe bello capirne meglio il perché, anche se lo si intuisce, come si vedrà in modo lampante nelle seguenti trascrizioni. Così come ci racconta molto di quel tempo l’affermazione: idonea nei costumi e molto giudiziosaet libera dal asse millitare et come tale accetto il luoco de consigliero, e giuro di servire la Comunità come si conviene e fanno tutti li altri Consiglieri”,

(p. 27) “Né i consiglieri eletti, né i consoli potevano rifiutare l’incarico et si quis iurare recusaverit cogatur per dominum potestatem omnibus iuris remediis opportuniis etiam per arestationem personalem…”  (A. ALLEMANO, A. BARBATO, A. SOLIGO, 2005, Gli Statuti di Moncalvo (1565) con il Diploma di concessione del titolo di Città (1705) e le patenti di conferma (1774),  Moncalvo, 2005, p. 39

(p. 27) “Se si arrivò a minacciare tanto, è perchè il problema esisteva” (…) “Si cercava di rinunciare soprattutto alla carica di console, che si sovrapponeva a quella di consigliere, ritenuta probabilmente troppo impegnativa: “Nelle feste di Natale prossime passato fu fatta la mutatione delli consiglieri di Moncalvo fra quali fu nominato per consigliero messer Vasino Polla come persona assai idonea de costumi et facolta et molto giudiciosa et libera dal asse millitare et come tale accetto il luoco de consigliero, e giuro di servire la Comunità come si conviene e fanno tutti li altri Consiglieri, et essendo d’indi a sei mesi cascato la sorte del Consolato sopra di lui ha liberamente recusato d’esser console per non servir nelli negotij di S.A. et della Comunita sudetta contro la forma delli statuti del luoco….. Tuttavia il detto Polla indotto a ostinatione dice che avanti che obedir alli statutti et ordine del Consiglio che vol pagar ogni sorte di pena”  dicendo che è stato soldato “massime nel fastidio di Verrolengo” ed ancora sostiene di essere malato. “

Anche la ricerca (ed il successivo incarico) di un maestro poteva riservare problemi.. Come era da attendersi, massima attenzione alle competenze e al “timor di Dio”  e alla continuità didattica. Segno di preoccupazione per il livello culturale della propria prole e, quindi, di aspettative di qualità per il futuro. Una conferma positiva per una comunità altrimenti abbastanza isolata.

(pag. 29) “Più complicato era il mantenimento nella comunità di un maestro di scuola, sia per la difficoltà nel trovarne di valore, sia perché la spesa veniva ripartita tra i cittadini che, in larga parte, non mandavano i figli a scuola e dunque si astenevano dal pagare le tasse.  Se il maestro era gradito alla comunità non si esitava a riconfermarlo. Nella sua relazione del 1609 il console Focho  “fa intendere che essendo righiesto da persone principali di questo loco et che hanno figlioli da schola, che proponghi al Consiglio esser bene che si confermi per un’altra locatione…. Gio. Domenico Coccio hora maestro di schola in questo loco et atesa la buona educatione et solicitudine sua in deta sua schola verso li figlioli non solo nelle letere ma anco nella divotione et timore d’Idio, con  che come religioso esercita li detti suoi scolari come tutti pono sapere, li parebbe bene che si confermasse, poi che essendo la Comunità per il passato trattata da alcuni maestri non troppo bene per detti servitij non li recorri farsi peggio per l’avenire non havendo certa pratica di chi si sia si pigliasse come dice questo che si prova oltra il mutar alli scolari così spesso stile nel insegnare con la diversità de Maestri li ritardi assai dal corso del imprendere presto et per tanto potrà risolvere il consiglio al utile del publico

Mercati e mercanti

A testimonianza della centralità della Moncalvo seicentesca c’è la frequenza con cui vi si svolgevano fiere e mercati. Praticamente una occasione di commercio/scambio ogni mese, con quattro mercati più importanti piazzati in collegamento con festività dio rilievo nell’intero corso dell’anno. A segnalare la nutrita presenza di “foresti”, i continui e vorticosi passaggi di denaro in compravendite basate sulla parola più che sugli scritti. Con la conseguenza che si aprirono molti contenziosi per crediti non restituiti o debiti di cui si chiedevano continue proroghe. Una vita dura, confermata dalla lettura dei testi originali.

(pag. 57) “Quattro erano le fiere “quolibet anno, quarum nundinarum prime fiant in festo Ascensionis Domini Nostri Iesu Christi, secunde in festo Corporis Domini Nostri Iesu Christi, tertie in festo Assumptionis Virginis Marie Domine Nostre” , a cui si aggiunse la fiera d’Ognissanti istituita nel 1614 dal cardinale Federico Gonzaga. Ciò  significa che, a partire dalla primavera, a distanza di poco più di un mese tra una fiera e l’altra, sino al 1° novembre, Moncalvo accoglieva mercanti forestieri o i loro agenti (…). Si intrecciavano così rapporti che si rinnovavano anche fuori Moncalvo, nelle fiere di altre città, le cui date fissavano i termini di pagamento delle polizze.  

Qui avvenivano anche passaggi di denaro consistenti con conseguenti questioni che si potevano protrarre per anni. “Il mercante Capollero contrasse debiti per ducati 5088 e più con Gio. Pietro Morando della Chiambra di Savona nel 1612 per prezzo di bestiami “ (…) “havuti…nella fiera di Susa…a conto di qual somma hebbe…detto signor Morando scuti settecentotrentatre’…nel logo di Bozzolengo altri scuti settecentosesanta, et…scuti  centoquarantasei fiorini sei e più sotto li vinti di ottobre dell’anno mille seicento tredici nel logo di Villa San Secondo…”.  Et ancora altre somme date in Montechiaro. Inoltre Gio.Battista Capollero, fratello di Giovanni,  il 20 settembre 1612 sempre per bestiami si costituì debitore di Pietro Varotto “di Termignano ossia Moriana di Tarantasa per scuti 530” e ancora si potrebbe continuare a seguirlo nei suoi spostamenti. Con  i loro fornitori i fratelli Capollero interruppero i contatti “per degne cause patite e massime per la guerra patita da che fu impedito il negozio” dopo la “nova mossa d’armi fra li serenissimi duchi di Savoia e Mantova”, ma “desiderosi novamente negotiar insieme in questo Stato come in quello di Savoia, et in ogni altro di schivar lite” hanno deliberato di venire ad un accordo e di pagare le restanti somme in moneta contante “alla fera di Susa prossima che viene”.

Conflitti e riconciliazioni

Della effervescenza e particolare vivacità del territorio moncalvese a fronte di una placida landa di collina, con tempi dilatati e discreta agiatezza, titpi della condizione attuale, ne sono testimonianza i testi che seguono. Conflitti, diatribe, contese a volte per futili motivi o per un malinteso senso dell’onore, necessità di gendarmi e tutori dell’ordine pubblico in presenza di molte ifrazioni. Una, importante, riguardò un fatto grave avvnuto durante le feste del Carnevale del 1624 a Casale Monferrato, con conseguente irrigidimento delle norme di divieto di balli pubblici e di porto d’armi non autorizzato. Un mondo tutto speciale che facciamo fatica a credere si sia potuto concretizzare proprio nelle nostre zone monferrine.

(pag. 61) “Come nel racconto manzoniano, gli uomini del Seicento reagivano, se cavalieri o nobili, sguainando la spada, spinti da una passione alimentata da un senso dell’onore e della rispettabilità tale che si ritenevano perduti per una parola, un gesto, uno sguardo, e che solo la forza poteva riaffermare. L’autorità ducale interveniva per stabilire le forme che sancivano le distanze e le autorità, dunque l’ordine sociale, ma interveniva anche per regolamentare l’abuso delle armi.

Ancorchè con ordini de’ Serenissini Nostri Antecessori, sia stato provisto che niuno ardisse far balli publici, né portar archibuggi sì da ruota, come da fuoco, per le terre, luoghi e nelle Chiese di questo nostro Ducato. Ad ogni modo essendosi per le guerre passate posti quelli in oblivione con non puoco danno de’ nostri sudditi, poiché non tanto coll’occasione di santificare sollennemente la festa del Santo che ciascuna terra ha in divotione, ma in altre occorrenze vi concorre in gran numero e diverse sorti di persone, che venendo soventi, et anco a bello studio, a rissa ne seguno homicidi et assassinamenti….ordiniamo et expressamente commandiamo a qualunque Vassallo, Capitano, Ufficiale,  Soldati et ad ogn’altra persona di che grado, stato et conditione si sia, che non ardisca senza Nostra licenza o del Nostro Consiglio riservato far o far fare feste publiche, né in cassa propria, né meno portare arcobugi come sopra per le terre, luoghi et in Chiesa, sotto quelle pene contenute nelle gride et ordini sopra ciò fatti e publicati, d’esser applicati per due terzi alla Camera nostra, et il restante all’Accusatore. Volendo però che per transito, o quando si dasse martello alla campana o all’arma, o fossero in atto di servitio nostro sia ad ognuno lecito adoperare quelle armi che sono già concesse per gl’ordini Nostri…In Casale, li 12 d’Agosto 1632”.

La grida ci rimanda ad una aggressività che le guerre, in ogni tempo, alimentano, ma anche alle occasioni in cui, per concorso di numerose persone, tale aggressività ha modo di manifestarsi: le feste in genere, sia religiose che laiche. Quanto accadde durante il Carnevale del 1624 a Casale ci consente di penetrare nelle sensibilità degli uomini del tempo. La narrazione…..ma lasciamo ai lettori il piacere di riprendere l’argomento (si trova alle pagg. 62 e 63 del libro), quasi una risposta alle reprimende di quel tempo con una bella festa in maschera organizzata in grande ma con svolgimento ed epilogo degno di un “giallo” moderno.

La guerra

Altro tratto caratteristico del periodo in questione l’abitudine alla guerra, alla sua condizione di perenne precarietà sia per chi l’ha vissuta in prima persona, sia per chi l’ha dovuta subire. Innumerevoli i provvedimenti coercitivi per gli abitanti residenti finalizzati ad “ospitare” truppe in transito e in sosta. All’ordine del giorno problemi di solvibilità dei soldati sfociati  in minacce e violenze. Conseguenti fughe verso territori o luoghi “più sicuri” e, tra questi, i centri religiosi.

(pag. 95) “Anno 1691: Nel doppo pranzo primo giorno di Genaro…vnsero in Moncalvo dal Piemonte quattro milla Allemani d’infanteria e cavalleria col treno d’artiglieria e due cannoni, sotto il commando del Prencipe Signor Eugenio di Savoia… e si presero l’alloggio a luoro mala discretione nella Terra e recinto solo sino al giorno seguente due Genaro, nel qual giorno furono mandate parte di dette truppe ad alloggiare ne luoghi circonvicini del Monferrato, restando nella terra di Moncalvo detto Signor Prencipe Eugenio, con altri capi et uffitiaij primarij e subalterni con tutte loro corti, cavalli, muli e altro con li due pezzi di cannone e suo treno e due reggimenti d’Infanteria cioè Saxcoborgo e Lorena, tutti ivi allogiati a luoro discretione… et senza riparto della Comunità, qual alloggio ha durato continuamente sino alli 14 maggio…durante quel tempo li particolari che havevano li ufficiali sono stati costretti à mantenerli del proprio… Oltre di che nel predetto secondo giorno di Genaro detto Signor Principe Eugenio…fece intendere e comandare alli Consoli… di dovere provedere e pagare doppie trenta cadun giorno durante tutto il quartier d’inverno per la provisione e mantenimento della sua tavola, corte, cavalli e muli, qual somma ascendeva a doppie 4500; overo provedere et accomprare  tutto quello vi voleva per detto mantenimento, cioè pane, vino, carne di vittello, e di manzo, montone, agnello, caponi, galine e pichi, lardo, butiro, speciarie, farina, salvatici, pesci, tartuffole, formaggio, ortaglia, fruta, et molte altre cose cibarie, trenta e più candele al giorno parte di cera e parte di legna, oglio. Utensilij, lingerie, tavole, secchie, cebari, con due o tre homini che servissero alla cucina, una lira di Savoia al giorno per cadun pallafarniere in numero di ventisei, che importavano per detto quartier d’inverno lire 3500; et di più oto sachi biada cadun giorno per ottantaquatro cavalli… e questo sotto pena di prigionia alli consoli et consiglieri et altri principali della Terra e di saccheggio de Conventi e Chiese…”    .   Richieste impossibili da essere soddisfatte e, nonostante le ripetute suppliche al “Signor Prencipe Eugenio” e a tutte le autorità militari, si giunse ad un punto di rottura:

(pag. 96) “doppo  qual giorno…non potendo esso Rafferi più trovare dannari, né altro per dette provisioni, haveva risolto fuggire et ritirarsi fuori di Moncalvo per scansare li continui affronti e strapazzi e comminata priggionia, ma non potè sortire, perché alle porte fu dato ordine da detto Prencipe di non lasciarlo sortire, come per due volte seguì… alli due di Marzo non lasciandosi più vedere esso Rafferi per la Terra, stando sempre ritirato in casa, accade che alla mattina avanti li spontar il sole del detto giorno 2 Marzo entrarono in casa sua all’improvviso, et tutti armati il Conturlore di detto Prencipe con un Sergente e sei Moscatieri      Alemanni quali usando indicibili strapazzi al detto console Rafferi e suoi di casa e finalmente doppo havere essi soldati mangiato e bevuto à più non posso, fu preso detto Rafferi in mezzo à detti Moscatieri e condotto priggione nel corpo di guardia maggiore della piazza et indi à puoco furono ivi condotti parimente priggioni il Signor Gio. Pietro Testa, Signor Alfiere Paolo Benedetti Viazzi e signor Tomaso Cruivelli, per il che tutti gl’altri principali della Terra fuggirono nelle Chiese e conventi, a segno tale che niuno vi era procurasse farli liberare”. Si giunse ad una soluzione (forzata) solo tramite una tassazione aggiuntiva “à discretione da pagarsi da chi ne haveva il commodo, con animo di far poi una taglia d’egualianza”.

Distruzione di raccolti, di case, di materiali. Furti in continuazione. Senza regole, i soldati dissiparono “una brenta di vino per lavar li piedi à cavalli” o furono brutali con gli animali da traino: Messer Bernardino Gallia di Tonco testimoniò che gli Alemanni lo forzarono a portare con due bovi attacchi a una barozza”  da Moncalvo ad Asti gli ammalati e dato che non potevano “marchiare forte furono battuti dai soldati “che erano di scorta con bolloni di moscheto è bastonate…è lasciati …che non potevano più tirare…né andare…”  . Ai due buoi lasciati morire nel prato di un’antica Guernica si unì il lamento di Bernardino Didone che denunciò “ in oltre l’ucisione d’un suo cognato senza causa mentre zapava le viti”

Pag. 97 “ (testo dell’autrice) Iniziò così l’ultimo decennio del secolo, con l’esercito imperiale guidato da Eugenio di Savoia, giunto per aiutare il cugino Vittorio Amedeo che aveva rotto l’alleanza con la Francia. Il Piemonte e il Monferrato non ancora ceduto ai Savoia furono il teatro di scontri sanguinosi, mentre gli ultimi Gonzaga trascinavano il loro languente potere su Casale e Moncalvo.  “ Essendo stati acquartierati in questa terra per mesi quatro e mezzo….hanno portato eccessivi danni e spese oltre la rovina di molte cose…”La definizione della propria casa “disfatta”, “distrutta”, “resa inhabitata”, “desolata”, rivela il dramma delle violenze subite, dipanate a poco a poco nei lunghi elenchi di ciò che andò distrutto o rubato: porte, telai da finestra, credenze, tavoli, arche da fare il pane, letti, sedie bruciati per cucinare o per puro diletto; botti prima svuotate poi bruciate; bruciati mobili di valore e telai “per far tela con suoi ordigni”; una culla; trafugati olio di noce, olio d’oliva, “un torchio da far miele…un ferro di lottone (sic) per far amandorle di pasta”, tagliate “piante tre di noci di grossezza di una secchia; sottratti a Pietro Francesco Foco “speciarie…medicinali…un mortaio di marmo da speciaro…le stadere della botega, diversi vetri da speciaro…cordiali”. Nella sua casa vennero portati via “8 quadri di pitura de Santi, et frutere” , in quella di Antonio Francesco Manacorda “due pezzi di pittura di valore d’una doppia caduna” ; Gio. Domenico Manacorda aveva alloggiato il Marchese Lunati maggiore del reggimento di Lorena con quattro servitori che s’impossessarono di “sei piture di quadri di valore di doppie nove”; in casa di Giovanni Stefano Quarteri, la servitù di Eugenio di Savoia, qui alloggiato,  ha “guastate con coltelli”  diverse pitture. Forse così iniziarono un lungo percorso verso i mercati antiquari quelle tele ancora da scoprire uscite dalle botteghe di Moncalvo.

Senza regole, i soldati dissiparono “una brenta di vino per lavar li piedi à cavalli” o furono brutali con gli animali da traino: Messer Bernardino Gallia di Tonco testimoniò che gli Alemanni lo forzarono a portare “con due bovi attacchi a una barozza”  da Moncalvo ad Asti gli ammalati e dato che non potevano “marchiare forte”  furono battuti dai soldati “che erano di scorta con bolloni di moscheto è bastonate…è lasciati …che non potevano più tirare…né andare…”  . Ai due buoi lasciati morire nel prato di un’antica Guernica si unì il lamento di Bernardino Didone che denunciò “ in oltre l’ucisione d’un suo cognato senza causa mentre zapava le viti” . Tutto ciò suor Orsla Maddalena Caccia, morta da 15 anni, non lo vide. No vide gli Alemanni, non si preoccupò delle minacce di Eugenio di Savoia, ma gran parte della sua vita trascorse “in temporibus bellicis”  . “cum periculo ingressus in … Monasterio per milites hospitatos in domibus”. Solo la sua infanzia godette di un periodo di pace.

La peste

Non poteva mancare la peste, quella stessa raccontata dal Manzoni che si manifestò in tutto il nord Italia intorno al 1630. Morti, distruzioni, untori, pericoli di vario genere causati dalla scarsezza di igiene, superstizioni e ricorso spasmodico all’unico ente salvifico a disposizione: la Chiesa.

(pag. 122-124 ) Viene descritto con ogni dettaglio possibile il ripetersi di suppliche. Soprattutto alla Vergine Maria, in modo che sia scacciato il “morbo”. La stessa pestilenza degli anni Trenta del secolo Sedicesimo che abbiamo avuto modo di conoscere tramite le pagine di Alessandro Manzoni e di decine di storiografi dell’epoca. Un susseguirsi di rappresentazioni disperate, con corpi abbandonati a se stessi, famiglie distrutte, povertà e distruzione ovunque. I molti “voti” di impegno indirizzati alla Vergine confermano, d’altra parte, l’importanza delle preghiere contro la peste, così come auspicava Mattia Moroni, accanto a San Rocco e a San Sebastiano, sempre presenti nella pietà popolare. Numerose comunità del Monferrato fecero voto, nel 1630, di osservare solennemente le feste della Vergine, di San Rocco e di San Sebastiano, o di restaurare le loro chiese, o di edificarne nuove in loro onore. Fin dal 1600 la comunità di Moncalvo aveva fatto costruire una piccola chiesa campestre dedicata a San Rocco, il protettore degli appestati: “Una Cappella con ….affresco del Moncalvo rappresentante San Rocco si trova poco distante dalla porta che va ad Asti. Per voto fatto, tutti gli anni la popolazione di Moncalvo va processionalmente il dì del Santo a questa cappella”.  Lo stesso San Carlo Borromeo, santo della peste di metà ‘500, dai dipinti di Guglielmo Caccia e di sua figlia suor Orsola Maddalena ammaestrava il popolo di Moncalvo a rivolgere gli occhi e il cuore alla pietà divina, ma – lo stesso protomedico Moroni l’aveva cautamente suggerito –  quegli stessi occhi guardavano la realtà umana circostante e con inquietudine vedevano segni considerati dall’umanità ammalata e impaurita le conseguenze di una consapevole malvagità: “Il colonello Galeotto Mazzetti dei signori di Frinco e Saluggia, comandante in Moncalvo essendosi agravati li Signori dottor Sebastiano Damiano e Gio. Domenico Sacho de conservatori di questo luogo et il sig. Carlo Antonio Sacho e molti altri che publicamente si vocifera per questo luogo che li monati dispensano una polvere per le strade e case quale portano maleficio e mortalità alle creature, ha ordinato a me Gio. Bartolomeo Rivetta V. Podestà… e nodaro di prendere informationi sopra tal vociferatione”. Il 3 agosto, il notaio Rivetta iniziò a raccogliere le deposizioni sul comportamento dei monatti. La prima fu Isabella, figlia del fu Gio. Pietro Rovere, che non conosceva la sua età ed era “sotto quarantena per essere infetta”, tanto che “si è tralasciato di farle fare alcun segno” . Isabella raccontò: “l’altro hieri, che fu dominica la sera verso le hore vinti una si trovava lei alla finestra della sua casa”  sentì lo strepito di una “barozza”  ((*) biroc con il –c- dolce finale, tipico carretto contadino a due ruote da lavoro e da diporto) , e le pareva quella dei monatti, infatti vide che veniva per la strada della cascina del Berruto e nel calare al molino, “vide che era la barozza dei monati guidata da tre monati, due erano avanti e uno dietro et un altro montò sopra essa et gionta al’incontro d’esso molino poco più a basso sentì che uno d’essi monati disse ‘dobiamo mettere in questo cortile un puoco di polvere’ e l’altro d’essi rispose sì e così, il detto pose mano nelle calze e tirò fuori una pezza legata che faceva un vilupo grosso come un pugno con un filo” ma “per l’incontro della barozza” non vide cosa facesse.

Un testo agile, nonostante le 230 pagine di contenuto, leggero per modalità di lettura e capacità di coinvolgimento. Ben strutturato e da leggere tutto d’un fiato. Qui avete qualche esempio di quel che potrebbe capitarvi entrando in contatto diretto con il libro della professoressa Anna Maria Ronchi….Attenti a non farvi prendere troppo e ritrovarvi nel bel mezzo del mercato di Ascensione, in piena e vigorosa primavera.

La “Natura” della Home Page è della stessa Orsola Maddalena Caccia.

.1. Anna Maria Ronchi ha svolto la sua attività professionale come insegnante di lettere nei licei alessandrini. Laureata in Lettere presso l’Università di Torino, non ha mai cessato di fare ricerca archivistica sul territorio, occupandosi in particolare di storia di genere e di storia sociale. Ha pubblicato: Apparati trinesi nelle visite pastorali, in Inventario trinese. Fonti e documenti figurativi, 1980; in collaborazione, Demografia differenziale di un villaggio alessandrino, in “Quaderni storici”, aprile 1981; Reggenti e separati: percorsi di ricerca, in La memoria nel labirinto. L’archivio storico di Castelnuovo Scrivia, 1988. Attualmente si sta occupando della circolazione dei libri e delle idee nelle aree casalese ed alessandrina in Età Moderna.

.2. https://www.soroptimist.it/club/alessandria/attivita/web-per-donna-ch-io-sij-36387/

.3. https://www.lastampa.it/asti/2021/02/26/news/presentato-il-nuovo-libro-sulla-moncalvo-della-pittrice-orsola-caccia-1.39954026

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