“Azzurro”

Decisi di frequentare l’oratorio quando ero già studente universitario, nel 1977, desideroso di un ambiente nuovo, impegnato nel sociale. E così mi allontanai da quelli con i quali avevo condiviso tanti momenti della mia adolescenza e del liceo.

Conobbi altri ragazzi, bravi ragazzi, ma li sentivo lontani da me per modo di pensare e di vivere.

Alcuni di loro già lavoravano ed erano forniti di automobile, magari di seconda mano, ma sempre un’auto.

Io avevo solo la bicicletta e non ero neppure munito di patente di guida. Mi sentivo diverso, anche se, con il senno di poi, lo ero molto meno di ciò che pensassi.

Il mio limite era quello di non rivendicare la mia autonomia nei confronti dei miei genitori, all’antica e quindi convinti di dirigere i propri figli anche da adulti.

All’inizio comunque tutto andò bene.  Quello che mi colpì subito fu il numero limitato dei componenti del gruppo parrocchiale.

Non era sempre stato così, ma poco prima del mio arrivo la comunità si era sfaldata. I più avevano preso altre strade, alla ricerca di nuove esperienze, mentre i pochi rimasti avevano deciso di portare avanti le attività parrocchiali.

La parrocchia era di nuova formazione, collocata in un’area più industriale che residenziale. La chiesa era in costruzione, perciò le messe venivano celebrate nella cappella del confinante istituto “Don Orione”. I locali a nostra disposizione quindi erano veramente pochi e ancor meno la gente pronta a darci fiducia.

Il nostro punto d’incontro era il parlatorio dell’istituto, di fronte all’ufficio del parroco e vicino alla cappella.

Era una stanza non molto ampia, spoglia, con un tavolo e poche sedie. Ricordo alcune foto appese alla parete, immortalavano la posa della prima pietra del nuovo edificio nell’anno 1939, alla presenza di don Orione in persona, ormai sul finire della propria esistenza terrena, e del podestà di Alessandria, generale della Milizia, Camillo Rosso.

Fuori da quel locale e dall’ufficio del parroco diventavamo un po’ un “fastidio” per i pochi e quasi tutti anziani orionini addetti alla gestione dell’istituto. Eppure alcuni di loro erano stati validi missionari in altri continenti, ma ormai erano stanchi.

Il nostro gruppo riusciva comunque ad organizzare le attività di Natale e Pasqua. Era bello incontrarsi il pomeriggio o la sera, dopo cena, d’inverno, per allestire il presepe o preparare i rami di ulivo in occasione delle Palme.

Mentre si lavorava si parlava, si facevano progetti o si scherzava. Terminato l’impegno ci si salutava e ognuno prendeva la strada di casa propria, magari avvolto dalla fitta nebbia alessandrina di quegli anni.

In estate, concluse le attività, il piccolo gruppo scompariva, niente vacanze insieme e rari i momenti comunitari. Niente. La domenica pomeriggio era il momento più malinconico della settimana.

In quei momenti di solitudine rimpiangevo la vecchia compagnia, sempre alla ricerca di nuove esperienze. Però, piuttosto che uscire con i miei genitori, che dimenticavano spesso che non avevo più 12 anni, inventavo fantomatici appuntamenti all’oratorio.

Quindi nelle prime ore dei pomeriggi domenicali, sfidando la calura estiva, mi incamminavo verso l’oratorio, certo di non trovare nessuno con cui chiacchierare, salvo don Francesco, intento a suonare l’organo in chiesa, o don Giovanni, impegnato nell’orto.

Camminavo lentamente nel tentativo di prolungare un tempo dopo il quale ci sarebbe stata solo una vana attesa.

Percorrevo via Pellico, nella vecchia zona industriale, tanto rumorosa nei giorni lavorativi quanto silenziosa e triste in quelli festivi.

Camminavo guardandomi intorno, alla ricerca di qualcuno ma poche erano le abitazioni e tanti gli stabilimenti, quindi vedevo solo portoni e cancelli chiusi e muri imbrattati da scritte ormai fin troppo note.

Quando mi capitava di incontrare un conoscente, mi fermavo, a volte cercando di dilungarmi fino ai limiti del noioso. Il più delle volte però era una camminata solitaria, durante la quale non potevo non pensare ai vecchi amici e al mio carattere di “m…”.

Allora cominciava a ronzarmi nella mente “Azzurro”, cantata da Celentano, in particolare la strofa che si riferiva alle solitarie domeniche estive trascorse all’oratorio a passeggiare, senza neanche un prete con cui parlare.

Giunto all’oratorio non c’era nessuno ad attendermi. Chiuso l’ufficio del parroco, deserto il parlatorio e così pure l’ampio cortile circondato da un lungo colonnato.

Allora cominciavo a passeggiare all’ombra del porticato, guardando verso l’orto, con la speranza di vedere don Giovanni e scambiare con lui qualche parola sulla sua esperienza in Brasile, ma non c’era nessuno. Era ancora troppo presto.

Continuavo a passeggiare e nella mente mi ronzavano le parole di “Azzurro”:

Sembra quand’ro all’ oratorio

Con tanto sole, tanti anni fa

Quelle domeniche da solo

In un cortile a passeggiar

Ora mi annoio più di allora

Neanche un prete per chiacchierar

Azzurro…”

….

 

L’immagine è di Vassily Kandisky: “Pensiero”.

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