“Il Bel Paese” dell’abate Stoppani

L’editore Einaudi ha ripubblicato “Il Bel Paese” dell’abate Antonio Stoppani (a cura di Walter Barberis, comprensiva di tavole illustrate e incisioni della prima edizione, 604 pp., 85 euro). Un libro del 1876 che ha avuto uno straordinario successo ed è bene venga riproposto.*

Che l’Italia sia – o, come sarebbe meglio dire, fosse – un “Bel Paese” lo sostenevano senza avere dubbi i nostri grandi antenati: Dante, nel canto di Ugolino, parla del “bel paese dove il sì suona”, Petrarca, nel rivolgere le sue lodi a Laura, si compiace che le sentano nel “bel Paese  Che Appennin parte e’l mar circonda e l’Alpe”.  E de “Il Bel Paese”, sottotitolato “Conversazioni sulle bellezze naturali. La Geologia e la Geografia fisica d’Italia”, scrive e nel 1876 pubblica l’abate Antonio Stoppani[1] con uno notevole successo editoriale che ne ha fatto “il terzo libro per numero di edizioni, del secolo XIX, dopo I Promessi Sposi ed il Cuore di De Amicis”.[2]

La dimostrazione di quanto a fine Ottocento il libro fosse popolare è testimoniato dalle innumerevoli edizioni e dal suo ingresso nel circuito scolastico. Nel panorama italiano di quegli anni in cui la cultura scientifica risultava decisamente limitata, Stoppani scrive uno dei pochi libri divulgativi che abbiano per oggetto “la cognizione fisica del nostro Paese“. E’ dalla natura, nella varietà e nella bellezza delle sue forme, che Stoppani attinge ispirazione per la scrittura. Come lui stesso spiega ai lettori – e tra di essi gli uditori privilegiati sono i maestri e le maestre dell’Italia unita – il piano del lavoro è semplice. Senza obbligarsi ad un traccia prestabilita l’autore si cala nelle vesti di uno zio naturalista che racconta ai nipoti le sue escursioni ed i suoi viaggi da un capo all’altro del “Bel Paese” descrivendo le bellezze naturali dei paesaggi italiani insieme alle loro peculiarità. Ogni giovedì sera – per XXIX Serate – i bambini ascoltano con i genitori radunati attorno al camino i racconti che affrontano in modo semplice, ma rigoroso nei dettagli e scientificamente documentato lo studio della geografia delle Alpi o la geologia degli Appennini e dei vulcani, la storia dei ghiacciai e la fosforescenza del mare o l’importanza dei giacimenti petroliferi italiani. Il tono colloquiale, familiare e autoironico, mai supponente o borioso, cela una conoscenza approfondita degli argomenti trattati da parte di un zio solo apparentemente semplice e bonario: in realtà si tratta dello Stoppani geologo, paleontologo, docente universitario, direttore di museo ed autore di studi di rilevanza internazionale nonché appassionato patriota dell’Italia unita. Ogni escursione è motivo per

approfondire un argomento scientifico con naturalezza e leggerezza così da suscitare la curiosità ed il diletto dei suoi giovani uditori (tra di essi anche la piccola Maria Montessori[3]).

Per gli alunni dell’Italia da poco unificata il libro di Stoppani presentava l’indubbio vantaggio di offrire un piacevole compendio degli aspetti naturalistici del nostro paese, dalle Alpi, alle Prealpi, agli Appennini, con la descrizione di cascate, laghi, fiumi, torrenti, sino a raggiungere il mare, soffermandosi nel contempo a spiegare alcuni fenomeni naturali come le eruzioni vulcaniche (illustrate attraverso la storia del Vesuvio nelle diverse fasi storiche e dell’Etna) e i più importanti eventi del regno animale, come il letargo e le migrazioni, o i caratteri zoologici e i costumi dei pipistrelli. La narrazione si sviluppa all’interno di una “cornice” che è occasione di racconto e di insegnamento, ma anche di riunione famigliare facendo coincidere una duplice concezione pedagogica e morale. L’intento è quello di parlare al più vasto pubblico degli allievi delle scuole italiane, quelle cittadine e, a maggior ragione, quelle rurali che, spesso, faticavano a sopravvivere. In un’Italia ancora sconosciuta alla maggior parte degli Italiani è alla scuola che Stoppani attribuisce il compito più importante. Attraverso l’insostituibile lavoro dei maestri l’autore si augura che le sue pagine abbiano fortuna e si diffondano in ogni parte del Paese affinché sia possibile insegnare: “agli abitanti di quelle contrade ad apprezzare un po’ meglio se stessi e le bellezze di cui la natura , ministra di Dio, non fu avara nelle diverse province d’Italia” (Agli Institutori)[4]. E non mancano da parte dello zio-abate, nel commentare i diversi episodi, gli insegnamenti e gli indirizzi di valore da tenere in maggior conto nella vita, come quando a proposito della felicità sostiene che: “La felicità non cresce dunque in proporzione all’avere. Il sapere e la virtù, non le ricchezze materiali, sono le vere fonti della felicità: e questa naturalmente tanto più aumenta, quanto quelle sgorgano più copiose”.

Nel 1906, morto ormai da anni lo Stoppani la sua immagine e il titolo del libro, per effetto della loro notorietà, furono utilizzati per dare il nome ad un formaggio. Ci pensò Egidio Galbani ad invadere i mercati con l’etichetta che sulla forma rotonda riproduceva in effigie il celebre abate e il suo titolo più famoso. Col tempo il formaggio, che tuttora esiste, più prosaicamente finì con l’eclissare il libro, uscito dalla lettura collettiva e quasi del tutto dimenticato nel secondo Novecento. L’opera trascurata ed entrata nell’oblio è stata di recente (2009) riproposta dall’Editore Nino Aragno come un ideale tassello della biblioteca degli italiani. L’editore ha integralmente riprodotto l’edizione datata 1876[5] che si presume sia stata la prima, mentre a presentazione dell’opera vi è una ricca e documentata introduzione di Luca Clerici. Dove, da una parte si propone un profilo biografico e scientifico dell’autore e dall’altra si ricostruisce la fortuna del Bel Paese”, capolavoro della divulgazione naturalistica italiana dell’Ottocento, soffermandosi sugli elementi contenutistici e formali. A emergere è il ritratto di un illuminato uomo di scienza e religione, capace di guadagnarsi dapprima la stima della comunità scientifica come pioniere della geologia regionale, per orientarsi in seguito nella direzione della divulgazione popolare. Infatti fu proprio con Il Bel Paese che l’abate Stoppani raccolse un vasto consenso di pubblico, specialmente tra i nuovi lettori, come donne e fanciulli alfabetizzati grazie alle leggi sulla scolarizzazione obbligatoria.

Nel racconto si può riscontrare una seconda coincidenza. Infatti la prospettiva ambientale si salda agli ideali risorgimentali. Non a caso il viaggio è anche un lungo racconto dell’Italia post unitaria. Il punto di vista dell’autore non è nostalgico, ma proiettato al futuro come dimostra la compiaciuta descrizione delle linee ferroviarie che percorrono e collegano la penisola consentendo la visione di scorci di rara bellezza. La conoscenza dell’Italia e delle caratteristiche del suo paesaggio come ideale civile di rispetto dei rapporti tra l’uomo e l’ambiente benché quest’ultimo sia il protagonista assoluto della narrazione. La riproposta di questo testo, doverosa dopo anni di disattenzione, è risultata, in occasione del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, ancora più opportuna, per ricordarci, come scrive Stoppani con orgoglio, che il nostro Bel Paese è forse il più ricco al mondo “di fenomeni e di naturali bellezze”. L’autore fu un precursore di quella sensibilità nei confronti della bellezza e della varietà dei paesaggi italiani che solo molti decenni dopo si sarebbe insinuata nella coscienza collettiva. Fu una sorta di ambientalista ante litteram, che probabilmente oggi inorridirebbe di fronte alle devastazioni ambientali, all’inurbamento selvaggio, alla progressiva distruzione della straordinaria ricchezza del paesaggio italiano. Ma comunque già attento a denunciare la scomparsa di un foltissimo bosco  che rivestiva una vasta porzione del fianco del monte Legnone: “caduto ora sotto la scure vandalica che rese ignude e deserte le montagne del Lario e della Valtellina” (Serata XII pag. 207) e a stigmatizzare chi tra i visitatori delle caverne di Vall’Imagna non sa rispettare le stalattiti. O a segnalare tra i ghiacciai delle Alpi la regressione e il danneggiamento di quello del Forno, una anticipazione dell’attuale generale fenomeno della riduzione o della scomparsa dei ghiacciai alpini dovuta al mutamento del clima e all’aumento delle temperature. Il Bel Paese che Stoppani percorre in lungo e in largo e descrive presenta grandi spazi e la campagna, dappertutto ben coltivata e irrigata nella pianura lombarda o solo in parte nel territorio di Napoli, quello di Catania e alcuni distretti delle Puglie per la sussistenza del latifondo, è comunque separata e distinta dalle città. Così in gran parte dell’Italia meridionale e anche centrale “i borghi e le rade città, cinti di una bella aureola di colti, mi apparvero sempre come oasi in seno del deserto”. Spazi che diventano zone impervie e poco battute quando si tratta di inerpicarsi sui monti, salire sui ghiacciai e ridiscendere a valle senza altro aiuto che le proprie forze.

Nell’introduzione del “Bel Paese” così l’autore si esprime in una sorta di comparazione-competizione  con le caratteristiche del territorio svizzero in allora più conosciuto e percorso dai viaggiatori: “ma il mondo fisico della Svizzera, si riduce, possiam dire, alle Alpi; mentre il nostro mondo è assai più vasto e infinitamente più ricco di fenomeni e di naturali bellezze. Alle bellezze ed alle ricchezze scientifiche delle Alpi, noi aggiungiamo quelle così diverse dell’Appennino; e quando avremmo descritto i nostri ghiacciai, le nostre rupi e le gole delle Alpi e delle Prealpi, troveremo altri nuovi mondi da descrivere: le emanazioni gassose, le fontane ardenti, le salse, i vulcani di fango, i veri vulcani o vivi o spenti, il Vesuvio, l”Etna, poi ancora il mare e le sue isole, i climi diversi, le diverse zone di vegetazione, dalla subtropicale alla glaciale e così via discorrendo, ché l’Italia è quasi (non balbetto nel dirlo) la sintesi del mondo fisico” .

Lo Stoppani fu anche un convinto estimatore dei geositi, quei luoghi che non determinano solo la forma peculiare del paese e la varietà dei nostri paesaggi, ma che costituiscono meraviglie della scienza e monumenti della natura di indiscutibile valore culturale. Analizzò a fondo la storia dei grandi ghiacciai e dei loro movimenti nel corso delle ere geologiche. Indagò anche sui massi erratici trasportati dai ghiacciai: fra questi descrisse il famoso e colossale Sasso di Preguda (Lecco), di ben 100 metri cubici di roccia. Il Bel Paese è dunque un viaggio nell’Italia di metà Ottocento, con le sue intatte bellezze naturali raccontate però da un geologo che sa spiegare bene i diversi fenomeni naturali ed è insieme ammirato e appassionato del suo Paese.

Naturalmente il Paese che percorre e racconta Stoppani è un paese preindustriale che lavora e vive nell’agricoltura, l’unica industria degna di nota è quella mineraria, la popolazione è meno della metà di quella attuale[6] e per viaggiare, nelle lunghe distanze si va con il vapore, in treno o con il piroscafo a ruota, in quelle intermedie si prende il calesse, si noleggia un prosastico baroccio, una capace vettura a due cavalli o ci si accontenta di un  carro e nelle situazioni più difficili, se si ha fortuna, si può trovare un ronzino o, più sovente, si usano le gambe. E’ stata soprattutto la ferrovia che, dopo l’unità, ha contribuito a collegare le differenti realtà dell’Italia. Su impulso di Cattaneo e Cavour si è in pochi anni per questa via vinta una sfida ardita per un paese pieno di montagne e già nel 1890 il grosso della rete era ultimato. Come racconta Paolo Rumiz – anch’egli un instancabile camminatore e scopritore del paesaggio italiano – il nostro sistema ferroviario raggiunse l’apice nel 1940: 42mila chilometri di rete, 330 milioni di passeggeri, 190 milioni di tonnellate di merci trasportate. Il fischio del treno raggiungeva ogni sperduto paese. Poi vennero il boom economico, la gomma e la dismissione delle linee.[7]

E l’abate di idee liberali che in gioventù è stato un attivo patriota utilizza il moto della ferrovia per descrivere le bellezze dell’italico paesaggio. Così la ferrovia dell’Italia meridionale da Ancona a Brindisi: “forse la più amena tra le ferrovie di Europa, costeggia l’Adriatico per ben 15 ore di furioso cammino. Ridenti colline, fantastiche rupi, castelli pittoreschi, storiche ruine, deliziose città, sfilano… sotto gli occhi del viaggiatore, che percorre, a tutta foga di vapore, uno dei grandi lati di questo incantevole giardino che si chiama Italia”. O partendo in treno dalla stazione di Milano diretto ad Arona col capo allo sportello e lo sguardo fisso a settentrione in direzione delle Prealpi si vedono passare in rassegna come un esercito di giganti: “primo il mio Resegone colle creste dentate; poi le due Grigne… poi l’acuto Bisbino, e dietro di lui il massiccio Generoso; poscia il gran dente del Poncione di Ganna, e in ultimo il Campo de’ Fiori, che digrada con una serie di colli sino alla sponda del lago Maggiore”. Ma il paesaggio costituito da l’immenso piano, i colli, le Prealpi e le Alpi si può gustare anche nella città, a Milano, salendo sul Duomo, sempre che il tempo sia sereno e… non nevichi. Perché allora una abbondante nevicata nella grande città di fine ottocento diviene un avvenimento che richiama eserciti di contadini i quali “vengono dalla campagna a spalare la neve cittadina, lieti che essa prepari loro una grassa giornata.” E lo spettacolo per i bambini ed i ragazzi che escono dalla scuola non manca certo in presenza dei “mucchi di neve allineati dagli scopatori sui due lati della via”  da scavalcare, mentre “i carri, i cavalli, sono coperti di neve; i condottieri biancheggiano, anzi tempo canuti, o per la neve che li ricopre, o per una bella fioritura di brina, che si va sviluppando sulle barbe, sui capelli, come una crittogama…”.

 

* Sintesi della recensione di Renzo Penna pubblicata dalla rivista “Anima e Terra: psicologia – ecologia – società” (n. 2, ottobre 2012, ed. Falsopiano).

 

[1] Antonio Stoppani fu un insigne studioso dell’Ottocento. Nacque il 15 agosto 1824 a Lecco e nel 1835 entrò nel Seminario di Castello per studiare grammatica. Ben presto sentì la vocazione per il sacerdozio e passò quindi al Seminario di Monza e successivamente a quello di Milano dove fu consacrato prete nel 1848. Nello stesso anno il giovane sacerdote di idee liberali partecipò attivamente all’insurrezione delle Cinque Giornate schierandosi dalla parte dei patrioti italiani, combattendo addirittura sulle barricate e fabbricando aerostati che furono utilizzati per le comunicazioni con la periferia e le vicine province lombarde. Prese parte anche ai successivi eventi bellici e solo dopo la battaglia di Novara fece ritorno in Seminario, come insegnante di grammatica. I suoi trascorsi patriottici e le sue idee politiche non passarono inosservati ai suoi superiori che ben presto lo espulsero dal Seminario e anche dal Collegio di cui era vicedirettore. La sua fama di insegnante era tuttavia ormai ben consolidata e non gli fu difficile trovare lavoro come precettore nella città di Como. Fu durante questo periodo che ebbe modo di appassionarsi agli studi di geologia e paleontologia, con particolare interesse alla Brianza e alle Alpi Retiche. Dopo la liberazione di Milano lo Stoppani fu riammesso alla precedenti cariche e nel 1861 fu nominato Straordinario di Geologia all’Università di Pavia. Nel 1874 fu nominato presidente della neonata Sezione di Milano del Club Alpino Italiano. Successivamente fu direttore del Museo Civico di Milano e presidente della Società Italiana di Scienze Naturali.  Morì a Milano il 2 gennaio 1891.

[2] Luca Clerici, introduzione a A. Stoppani “Il Bel Paese” (p. XI) – Nino Aragno Editore, 2009

[3] Pedagogista, filosofa, medico, scienziata, educatrice e volontaria è nota per il metodo educativo che ha preso il suo nome. Nata a Chiaravalle (Ancona) nel 1870 e morta nel 1952 a Noordwijk in Olanda.

[4] Le citazioni del libro si riferiscono all’edizione originale de “Il Bel Paese Conversazioni sulle bellezze naturali. La geologia e la Geografia fisica d’Italia” di Antonio Stoppani, edito a Milano nel 1876 dalla Tipografia e Libreria Editrice Ditta Giacomo Agnelli.

[5] Tipografia e Libreria Editrice Ditta Giacomo Agnelli – Milano

[6] Popolazione italiana nel 1861: 29.249.000 abitanti.

[7] Paolo Rumiz, “L’Italia in seconda classe”, 2009, Feltrinelli editore.

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