Il bicchiere mezzo v(u)oto: brevissime note sulle elezioni e l’astensionismo

Giorgio Abonante ha vinto le elezioni da una manciata di ore e già le prefiche del pessimismo e i professionisti della critica si sono scagliati nel tormentone dei distinguo e dei però.

La prima obiezione – umanamente comprensibile da parte degli sconfitti (non certamente da parte dei vincitori, rispetto ai quali sarebbe addirittura illogica), ma nondimeno inaccoglibile – riguarda il numero dei voti effettivamente conquistati e la vastità dell’astensione.

Ora, certamente le percentuali di votanti mostrano una preoccupante disaffezione dei cittadini nei confronti della politica, ma il numero dei consensi, per quanto possa essere esiguo, non è elemento sufficiente per delegittimare sia pur soltanto moralmente una elezione. L’esercizio del voto, infatti, secondo la nostra Costituzione si configura come dovere civico e come diritto ed è evidente che chi scelga liberamente di non esercitare il proprio diritto al voto e di disattendere, in tal modo, al proprio dovere civico, non ha poi alcun peso e alcuna valenza nei confronti del risultato elettorale, che raccoglie le opzioni di chi si è comportato come cittadino responsabile e partecipativo. In altri termini, a differenza di quanto accade nella democrazia diretta, in cui è fondativa e ineludibile la partecipazione di ogni singolo cittadino alla costituzione delle scelte del corpo politico, in una democrazia di tipo liberale la rappresentatività discende dai meccanismi costituzionali di trasferimento della volontà individuale ai rappresentanti eletti, che, proprio in quanto non sono delegati vincolati al mandato dell’assemblea di tutti i cittadini, sono sì attori-per-gli altri, ma hanno una certa libertà di deliberazione, che consente loro di interpretare il mandato conferito sulla base delle istanze poste dalla collettività e non dalla somma delle singole volontà individuali. Che tale mandato sia conferito, dunque, da una parte maggioritaria, o da una parte minoritaria non è fatto tale da ledere la rappresentatività dell’eletto, come invece accadrebbe in una democrazia diretta. Così fu, del resto, per il famoso 40% di voti ottenuti da Renzi, per quanto si trattasse nella realtà del consenso di appena il 17% degli elettori; così è oggi per Giorgio Abonante, che è a tutti gli effetti e incontrovertibilmente il vincitore di queste elezioni amministrative.

Altrettando indubitabilmente, però – e ha molta ragione Livorsi nel sottolinearlo -, la diserzione delle urne è un fatto fortemente preoccupante, che pone in grave pericolo la democrazia del nostro Paese, giacché anche nei regimi liberali non vi è democrazia autentica laddove non vi sia larga partecipazione. Ma occorre riflettere con lucidità sulle cause di tale disaffezione, senza gingillarsi in ipotesi di tipo volontaristico o moraleggiante. Tali cause non possono infatti essere individuate – come troppo spesso si fa – in un difetto di comunicazione da parte della politica e nemmeno in una incapacità organizzativa o in errori di impostazione nella campagna elettorale dei partiti. A mio giudizio, sia la crisi dei partiti, sia la disaffezione nei confronti delle tornate elettorali dipendono piuttosto da una ragione ben più ctonia e drammatica, che è costituita da tre fattori reciprocamente intrecciati: un fattore filosofico-etico, vale a dire la fine delle cosiddette grandi narrazioni, che rappresentavano l’orizzonte ideale dell’agire politico e lo dotavano di senso, soprattutto a sinistra; un fattore economico-politico, cioè la supremazia dell’economia sulla politica e l’egemonia in ambito economico del capitalismo globale finanziario e in ambito politico del neoliberismo; e, last but not least, un fattore socio-politico, ossia la condizione di progressiva proletarizzazione dei ceti medi, che, insieme al proletariato, non trovano più rappresentanza nei programmi di alcun partito politico, di destra, di centro o di sinistra che sia. E’ evidente che, finché la politica non potrà che sottostare ai diktat dell’economia e si limiterà a offrire qualche consolatorio diritto civile a minoranze, quelle sì esigue, della popolazione, svuotando o addirittura cancellando nel contempo i diritti del lavoro, il numero di votanti decrescerà in modo inarrestabile, giacché la vera rappresentatività di un partito non risiede nel meccanismo formale del rapporto eletto-elettori, bensì nella congruenza del suo programma con i bisogni della parte della società i cui diritti concreti intende tutelare.

Resta, comunque, il fatto che la vittoria di Abonante in Alessandria e più in generale del Pd in questa tornata di Amministrative è davvero un elemento di speranza, con un forte valore simbolico, sia per le ragioni che ben meglio di me Livorsi indica, sia perché nell’impegno civile e politico del nostro nuovo sindaco si rinnovano l’impegno e la militanza di suo padre, che fu uno dei protagonisti della FLM alessandrina e di quella straordinaria stagione di lotte e di conquiste che furono gli anni Settanta. Una sorta di staffetta generazionale, dunque, che rende ancora più bella, commovente e importante questa vittoria.

di Patrizia Nosengo

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