Buon 25 Aprile

Pubblichiamo l'intervento di Renzo Penna ad Arquata Scrivia il 25 aprile 2023

Buongiorno e Buon 25 Aprile a tutte a tutti!

Il 25 Aprile è la data nella quale tutti i cittadini e le cittadine ricordano la Liberazione e la Resistenza che ha cambiato la storia d’Italia con la sconfitta del nazifascismo. E con la Costituzione repubblicana e antifascista si è sancita la conquista della democrazia e di libere Istituzioni.

Ringrazio il Sindaco per il suo intervento e gli amici e i compagni dell’Anpi di Arquata per l’invito (Gian Luigi Pallavicini, Carlo Repetto, Claudio Balostro e mi fa piacere ricordare, che quando sono stato qui nel 2011, era presente il partigiano “cinque” Rinaldo Dellepiane, papà dell’amico Fabrizio).

Il ruolo e l’importanza politica dell’ANPI, dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, in questi anni è cresciuto per diverse ragioni, non tutte positive o volute – come il ridotto peso e influenza dei partiti – e questo sta facendo si che l’Anpi sia sovente sottoposta a una poco benevola attenzione da parte di coloro che mal sopportano l’antifascismo militante, la difesa intransigente dei principi e dei valori della Costituzione repubblicana, la valorizzazione della lotta partigiana e della Liberazione dalla dittatura.

E’ capitato lo scorso anno sul tema della guerra in Ucraina quando si è cercato di colpevolizzare l’impegno dell’Anpi per la Pace, il cessato il fuoco, la tregua e un maggiore impegno del nostro Paese e dell’Europa nel favorire il dialogo – un impegno condiviso da molte associazioni come Libera e sindacati come la CGIL e in coerenza con l’articolo 11 della Costituzione – cercando di far passare tale aspirazione per una sorta di equidistanza tra aggredito e aggressore.

In questa guerra l’Anpi è sempre stata con nettezza dalla parte degli aggrediti e contro gli aggressori. Quando un paese viene invaso e la popolazione si difende e resiste questa deve essere aiutata come ha di recente ricordato il presidente della Repubblica. Ma occorre che l’obiettivo degli aiuti, i più generosi e disinteressati possibili, sia rivolto e risulti capace di far cessare le armi. Per l’Anpi, a più di un anno dall’aggressione russa all’Ucraina, vi è la necessità e l’urgenza di spingere il governo italiano e l’Unione Europea a dare vita a una iniziativa diplomatica che sappia aprire uno spiraglio di trattativa, per creare le condizioni di una pace giusta e duratura.

Anche perché le conseguenze maggiori in questa – come in tutte le guerre – le pagano i civili e le persone più fragili: gli anziani, i malati, i poveri, i bambini. Un conflitto nel centro dell’Europa con una delle nazioni dotate di armi nucleari rende poi questa guerra diversa e molto più rischiosa per l’umanità intera che dei numerosi conflitti che negli anni si sono susseguiti o sono ancora in corso (Siria, Yemen, Iraq, Afganistan, Sudan, Etiopia, Palestina).

Persino le condanne dello sviluppo abnorme degli armamenti e degli interessi che questi alimentano e i ripetuti richiami del Papa per la pace e il disarmo sono stati da diverse parti, compreso importanti mezzi di informazione o ignorati, o registrati con fastidio. La stessa spinta a un riarmo generalizzato da parte delle singole nazioni dell’unione – 100 miliardi di investimenti da parte della Germania – richiama fosche similitudini con ciò che è avvenuto prima della ultime due guerre mondiali.

Non bisogna mai dimenticarlo.

Ma ad un anno di distanza, con decine di migliaia di morti da una parte e dall’altra e con la maggioranza dell’opinione pubblica italiana preoccupata per una possibile escalation, e contraria al continuo invio di armi, quelle critiche si sono dimostrate per quelle che erano: strumentalizzazioni.

Al contempo, oggi, non possiamo non essere preoccupati e anche un po’ indignati per le dichiarazioni e i comportamenti di rappresentanti delle istituzioni, della politica e del governo – persone che hanno giurato fedeltà alla Costituzione – che risultano del tutto inadeguate rispetto ai loro incarichi. E tendono, da un lato, a ridurre e a sminuire il ruolo avuto dalla Resistenza nella Liberazione del Paese e dall’altro ad attenuare le responsabilità del Fascismo che, si sostiene, avrebbe anche “fatto cose buone”. Posizioni entrambe sbagliate, contrarie alla verità storica, da contrastare con forza, ma che non vanno da alcuno e in nessun caso sottovalutate.

Nella tesi sul “Fascismo eterno” Umberto Eco ha avuto ragione nel non circoscrivere il fascismo a un periodo storico determinato e concluso, e nell’individuare una tendenza universale che coinvolge tempi e luoghi anche molto diversi. Il fascismo è sopravvissuto alla sua fragorosa caduta. In Italia parti considerevoli della struttura e soprattutto della mentalità del regime hanno retto al nuovo corso costituzionale, repubblicano e democratico, e hanno più volte tentato di ostacolarlo, inquinarlo, distorcerlo.

Solo di recente e per l’instancabile impegno della società civile e dell’associazione delle vittime è venuto alla luce il Coinvolgimento diretto di Licio Gelli e della loggia P2 nella strage fascista alla stazione di Bologna del 1980.

Non si può e non si deve dimenticare che il fascismo fu un regime totalitario che tolse la libertà agli italiani, perseguitò gli oppositori, collaborò al genocidio degli ebrei, commise crimini atroci nei Paesi occupati dalle sue guerre imperialiste e trascinò l’Italia in un conflitto lungo, tragico, devastante e insensato.

Un passato infausto e scellerato con cui non si sono fatti i conti fino in fondo, con il risultato che in molti non vi è piena contezza della dimensione criminale di questo fenomeno politico. Ripercorrere e ricordare, a distanza di decenni, quanto accadde in Europa a metà degli anni quaranta del Novecento, diventa allora non soltanto un dovere nei confronti della verità, ma un vero e proprio obbligo morale. Come ha fatto il presidente Mattarella nei giorni scorsi intervenendo nel campo di concentramento di Auschwitz in Polonia, quando ai ragazzi che hanno partecipato alla “Marcia dei vivi” insieme alle sorelle Bucci sopravvissute agli orrori di Birkenau, ha ricordato che: “I regimi fascisti aiutarono lo sterminio”. Per avere una verifica di queste parole noi, di questa provincia, medaglia d’oro per la resistenza, non abbiamo bisogno di andare molto lontano.  

Il 25 Aprile, che pose fine alla tragedia della guerra, fu preceduto da un ventennio di lotte antifasciste, durante il quale decine di migliaia di italiani furono perseguitati, arrestati, confinati, deportati e uccisi (Matteotti, Gobetti, i fratelli Rosselli, Gramsci, Amendola, Don Minzoni) perché contrari al regime di Mussolini.

Sulla base di quei sacrifici è sorta la Resistenza e si è creata una reale unità di popolo alla quale hanno dato il loro contributo militari, cittadini, uomini, donne, ragazzi, religiosi, persone di ogni condizione e di ogni età, per raggiungere la libertà, il progresso e la giustizia sociale.

Ricordiamo gli scioperi del marzo ’43 quando gli operai delle fabbriche sfidarono la repressione fascista per rivendicare pane, pace e salari più giusti e gli scioperi più politici del ’44 contro la dittatura e per la democrazia e la libertà, quando sfidarono le SS nonostante i pericoli della deportazione nei lager nazisti dai quali a migliaia non tornarono. Un aspetto sottostimato quello degli scioperi della classe operaia delle industrie del nord, sia per la dimensione che è stata di massa – circa mezzo milione di scioperanti – che per il ruolo avuto contro la dittatura. Un ruolo che invece è stato riconosciuto a livello di alleati e in sede di Assemblea costituente, quando all’articolo 1 si è deciso di fondare sul lavoro la Repubblica democratica italiana. Rappresentando in questo una caratteristica unica tra le Costituzioni moderne.

Ricordiamo le unità militari che risposero ai nazisti dopo l’armistizio dell’8 settembre ’43, l’attività in città dei Gap e dei Sap, le fucilazioni di massa, i 9.000 morti della Divisione Acqui a Cefalonia e a Corfù, delle divisioni Regina e Cuneo nell’Egeo. Ricordiamo l’eroismo di tanti carabinieri insieme ai 54.000 partigiani caduti, ai 45.000 morti del Corpo Italiano di Liberazione Nazionale, alle decine di migliaia di morti nei campi di concentramento a Buchenwald, a Dachau, ad Auschwitz, a Mauthausen e negli altri lager ove si esercitò la inumana bestialità nazista.

Abbiamo ricordato pochi giorni fa la strage della Benedicta e la fucilazione ad opera di militari italiani di quei giovani che erano saliti a Capanne per non essere arruolati nella repubblica di Salò, ricordiamo i fucilati a Fossoli ed alle Ardeatine, gli impiccati, i massacrati in centinaia di piazze d’Italia, le stragi di Marzabotto, Sant’anna di Stazzena, i torturati, i 70.000 deportati. Questo è il tragico bilancio della lotta condotta per affermare il diritto alla libertà, alla democrazia, per riconquistare il rispetto del mondo intero, per avviarsi su una strada di progresso e di giustizia.

In questa parte del territorio, lungo il corso del Borbera si sono svolti alcuni dei fatti più importanti della vicenda resistenziale della provincia di Alessandria. Hanno riguardato la divisione Pinan Cichero e i suoi caduti, il comandante Aurelio Ferrando “Scrivia”, la battaglia di Pertuso (22-27 agosto 1944), la battaglia di Cantalupo e la morte del partigiano russo Fedor Poletaev. Ad Arquata ha operato la brigata “Oreste”, nel sacrario del cimitero ci sono le spoglie del partigiano Federico Avio (fucilato a Castelceriolo), i giovani catturati e uccisi alla Benedicta: Giacomo Ponta, Natale Barisone, Gianni Robello, e ancora Vittorio Pesce, Dario Debenedetti e Aurelio Dellepiane, morto a Mauthausen.

La Resistenza italiana, un grande fatto unitario al quale hanno partecipato uomini di diverso convincimento, ha saputo superare ogni particolarismo per divenire un momento di profonda solidarietà umana. Con il 25 aprile abbiamo imparato che la pace e la libertà sono beni indivisibili.

Naturalmente tutto questo non sminuisce o riduce in alcun modo il decisivo ruolo che gli alleati hanno avuto nello sconfiggere il nazismo e il fascismo e il doveroso tributo che dobbiamo riconoscere alle migliaia di giovani, non solo inglesi ed americani, ma canadesi, polacchi, neozelandesi, sudafricani, indiani, pakistani, brasiliani che sono morti nel nostro paese per ridare a noi libertà e democrazia.

Sergio Cofferati nel suo intervento di pochi giorni fa alla Benedicta ha ricordato che i frutti migliori che la Resistenza e la lotta di Liberazione ci hanno consegnato sono stati la Libertà e la Democrazia. Tra loro intrecciati e indissolubili.

A 78 anni da allora è giusto riflettere sulle condizioni di quei valori, di come siamo stati in grado di preservarli, difenderli, aggiornarli ed è corretto avanzare qualche preoccupazione. Il fatto che oltre il 50 percento dei cittadini si sia disaffezionato dal voto e non partecipi più alle elezioni, siano queste politiche o amministrative, dovrebbe suscitare un maggiore allarme. Quando si ritiene che la partecipazione democratica, il proprio voto non serva a modificare e a migliorare la propria condizione, ad essere utile alla propria comunità al proprio paese, i rischi per il prevalere della delega, per il considerare le procedure democratiche degli inutili orpelli diventano reali. E se non si interviene sulle cause sono destinati ad aumentare, ed allora si può magari ritenere che sia meglio semplificare e affidarsi all’uomo o alla donna forte che sa decidere meglio e per tutti.

Un’esperienza tragica che il nostro Paese ha già fatto ed è bene non ripeta.

Per comprendere le ragioni di tale disaffezione è quindi giusto, anche in questa giornata, prestare attenzione alla difficile situazione economica e sociale in cui versa una parte significativa dei cittadini a causa degli effetti di tante crisi che si sono sovrapposte e intrecciate. E denunciare le conseguenze delle diseguaglianze crescenti, della concentrazione di ricchezza in poche mani, dell’aumento delle povertà, del venir meno di servizi sociali universali fruibili e utilizzabili da tutti.

Dopo gli anni della pandemia sarebbe stato necessario riflettere maggiormente su ciò che era accaduto e, in ogni caso, la stessa tragedia della guerra nel cuore dell’Europa non ci può far ignorare i problemi interni.

La globalizzazione con i dogmi del mercato capace di autoregolarsi, le teorie liberiste finalizzate esclusivamente al profitto e il mito della concorrenza che ha innescato una corsa verso le aree del mondo con il costo del lavoro più basso, i salari più poveri e il lavoro senza diritti, ha dimostrato tutti i suoi limiti, le sue storture. Ci siamo trovati per primi a combattere il virus senza mascherine, senza attrezzature ospedaliere idonee per affrontare i casi più gravi.

Dentro la crisi pandemica si è riscoperto il ruolo fondamentale del pubblico, nella sanità, come nella scuola o nei trasporti e ci si è accorti delle conseguenze dei tagli effettuati dai diversi governi negli ultimi decenni ai servizi sociali, ai dipartimenti di prevenzione, alle carenze della medicina sul territorio, al ridotto numero di infermieri e medici e, più in generale, allo stato sociale.

Ma tutto questo sembra non sia servito se chi governa invece di tornare in primo luogo ad investire nel campo della scuola, della sanità, secondo i principi e i valori della Riforma del SSN del 1978 – l’ultima delle vere e grandi riforne – pensa e programma la ripresa delle spese per gli armamenti.

Se l’epidemia ha accresciuto le povertà (5,6 milioni di poveri assoluti e altrettanti di relativi) le conseguenze della guerra hanno causato un forte aumento dell’inflazione che sta colpendo i salari e le pensioni in una realtà nella quale le retribuzioni sono cresciute, negli ultimi trent’anni, molto meno che negli altri paesi europei. Un’inflazione spinta anche dalla speculazione e dai profitti delle aziende europee. A dirlo è una fonte difficilmente contestabile come la presidente della Bce. Mentre per la diffusa precarizzazione dei contratti anche una parte delle persone che lavorano risultano poveri. Siamo nei comportamenti e nelle decisioni portate avanti da decenni dai governi e dalla politica nazionale ed europea esattamente all’opposto degli indirizzi che la Costituzione affida agli articoli 1 e 3.

E se ne parla poco, ma nelle grandi città è già in atto un’emergenza che riguarda la casa, sono 450 mila i nuclei famigliari che hanno già uno sfratto esecutivo o lo riceveranno nel corso dell’anno e sono un milione le famiglie che rischiano di non riuscire ad onorare le rate del mutuo. Invece di combattere le cause di tali ingiustizie, di combattere un’evasione fiscale vergognosa, si tagliano i sussidi legati al reddito di cittadinanza, al sostegno per gli affitti e il fondo per la “morosità incolpevole”, Mentre stiamo assistendo, come già nel ventennio, ad una sorta di colpevolizzazione dei poveri, incentivando i conflitti sociali tra i penultimi e gli ultimi.

Care cittadine, cari cittadini,

Per l’insieme di queste ragioni e preoccupazioni nel 75° della sua entrata in vigore come Anpi riaffermiamo lo spirito e la lettera della Costituzione, una carta che disegna una Repubblica parlamentare, antifascista, una e indivisibile, dando forma alle speranze e ai sogni di futuro di quanti combatterono e diedero la vita.
Noi pensiamo che i valori dell’antifascismo e della Resistenza, incarnati nella Costituzione, non siano mai stati così attuali come oggi: è bene che libertà e liberazione, piena democrazia ed eguaglianza sociale, lavoro, pace, solidarietà orientino le Istituzioni della Repubblica e la vita quotidiana dei cittadini.
Per questi obiettivi e su questi valori fondativi chiamiamo cittadine e cittadini, affinché il 25 Aprile di quest’anno sia una grande festa unitaria, pacifica, antifascista e popolare a sostegno della democrazia e a difesa della Costituzione della Repubblica.

E’ necessario, ora più che mai, dare nuova forza e nuovo slancio ai valori fondanti della nostra comunità, nata dalla Resistenza antifascista, dalla lotta partigiana, dalla sete di libertà, che – per citare Calamandrei – «è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare».

«La guerra partigiana scoppiò – scrisse sempre Calamandrei nel decennale della Liberazione – come una miracolosa esplosione. Lo storico che fra 100 anni studierà a distanza le vicende di questo periodo, narrerà la guerra di liberazione come una guerra che durò 25 anni e ricorderà che la sfida lanciata dagli squadristi nel 1920 fu raccolta e definitivamente stroncata dai partigiani nel 1945. E il 25 aprile finalmente i vecchi conti con il fascismo furono saldati».

Difesa della Libertà e della democrazia rappresentano un compito che non finisce mai.

Che sia questo il nostro motto: Non lo dimenticate!

Buona festa di Liberazione.

A tutte e a tutti Buon 25 Aprile!

Arquata Scrivia, 25 aprile 2023

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