- INTRODUZIONE
Argomento di questo elaborato è il tema delle Disuguaglianze, delle dinamiche che stanno alla base dell’accumulo del capitale della sua distribuzione in un periodo storico che va dagli inizi del XX secolo sino ai nostri giorni;
Attraverso la lettura e una pur sommaria analisi del testo il “Capitale del XXI secolo” di Thomas Piketty cercare la comprensione delle ragioni, delle possibili soluzioni ai temi della concentrazione della ricchezza che caratterizza il ciclo e la storia economica attuale, quindi uno sguardo sulle politiche istituzionali in tema dell’uguaglianza, della crescita come elemento per ridurre le disuguaglianze, e di tutti gli altri fattori che in qualche modo contribuiscono ad allargare il divario sociale. La finalità, pur senza la pretesa di riassumere esaustivamente in poche pagine un’opera che per contenuti e dimensioni della trattazione, risulta piuttosto complessa, è quella di operare una riflessione sulle ragioni per cui, le disuguaglianze tra ricchi e poveri, tra una fascia minoritaria di privilegiati e una ben più consistente massa di popolazione delle nazioni occidentali caratterizzate da sistemi di Democrazia Avanzata, le Disuguaglianze, siano tornate ai livelli accertati nei primi decenni del 900, e su quali possono essere i possibili rimedi . Uno sguardo quindi, teso a cogliere gli elementi fondamentali che sul tema l’autore propone, e su come nella realtà questi riflettono le loro dinamiche.
I dati statistici indicati sono quelli esposti dall’autore a supporto delle sue tesi, tuttavia in particolare per quelli riferiti all’Italia, si è scelto , con lo scopo di una maggiore comprensione di esporre numeri e indicazioni anche più recenti rispetto a quelli della pubblicazione dell’opera, e questi in qualche modo confermano le tendenze e le conclusioni a cui è giunto Piketty.
L’AUTORE
THOMAS PIKETTY, economista francese e Docente Universitario di Economia presso l’École d’économie di Parigi, e dal 2000 direttore della École des hautes études en sciences sociales. Specializzato nello studio delle diseguaglianze economiche e della distribuzione della ricchezza, a questo tema ha dedicato vari saggi. “Opere documentate con statistiche e studi comparativi. Utilizzando dati fiscali ha rilevato come il sistema del libero mercato abbia una tendenza naturale all’incremento della concentrazione della ricchezza, e come nei Paesi sviluppati il tasso di rendimento del capitale sia stato costantemente più alto rispetto al tasso di crescita del prodotto interno lordo, ciò comportando nel lungo periodo un inasprimento delle ineguaglianze di reddito”. ( Treccani ).
STRUTTURA E CONTENUTI DEL LIBRO
Suddiviso in quattro parti e un’iniziale introduzione in cui l’autore indaga le dinamiche che determinano l’accumulo e la distribuzione del Capitale e con esse le diseguaglianze che ne derivano.
- INTRODUZIONE
- PARTE PRIMA-REDDITO E CAPITALE
- PARTE SECONDA- LA DINAMICA DEL RAPPORTO CAPITALE/REDDITO
- PARTE TERZA- LA STRUTTURA DELLE DISUGUAGLIANZE
- PARTE QUARTA- REGOLARE IL CAPITALE NEL XXI SECOLO
Piketty mostra come l’inadeguata redistribuzione crea disuguaglianza, per contro come la moderna crescita economica, la diffusione del sapere hanno permesso di limitarle su vasta scala, e tuttavia dice che non aver modificato le profonde strutture del Capitale e dell’ineguaglianza su cui si fonda, minaccia oggi di generare e produrre disuguaglianze tali da mettere in discussione i valori democratici.
Non si limita quindi alla semplice analisi ma avanza proposte di politica fiscale come soluzione, sostenendo che la disuguaglianza non è “naturale”, ma è frutto di scelte ideologiche, di scelte politiche che la società si da e che quindi si possono variare nel tempo, intervenendo sul sistema di proprietà, sul sistema fiscale e sull’istruzione, tre fattori che individua come le maggiori fonti della disuguaglianza. Fonda quindi le sue argomentazioni su un Data Base imponente, risaliente a molti anni indietro nel tempo, dati relativi al Reddito e ai Patrimoni utilizzando le fonti fiscali storiche degli archivi statali, operando il confronto con periodi molto distati fra di loro.
2.0 DISEGUAGLIANZA E POVERTA’
Che cosa significa Diseguaglianza?
La premessa è che la Diseguaglianza non è la povertà, questa si misura in due modi:
Povertà assoluta cioè quella oggi definita con reddito pari a 700 $ annui, pari a meno di 2 dollari/giorno e caratterizzata quindi dall’assoluta incapacità di far fronte ai bisogni necessari.
In Italia si trovano in questa condizione circa 5.600.000 persone, una percentuale intorno al 10% della popolazione.
Povertà Relativa è invece quella relativa a coloro che percepiscono un reddito inferiore ad una frazione del reddito medio, in genere l’incapacità di disporre di un reddito superiore al 50% di quello medio.
Tale condizione è stimata in Italia intorno ad una percentuale del 15/20% dell’intera popolazione, ma nel mondo sfiora in taluni paesi anche livelli del 50/60% e una media generalizzata di circa il 10%.
La Diseguaglianza ci dice invece che Otto persone al mondo, quelle in cima alla classifica di Forbes, detengono un Patrimonio pari a quello di 3,6 miliardi di persone, o che nel Rapporto OXFAM 2017 ( Confederazione Internazionale Organizzazioni No Profit, dedite alla riduzione della povertà nel mondo)si dice che l’ 1% della popolazione mondiale possiede un Patrimonio pari al residuo 99% della popolazione mondiale.
Altri più aggiornati dati ( La Stampa 18-01-2022) riportano che nel 2021 in Italia la quota di ricchezza detenuta dal Top 1% supera di cinquanta volte quella detenuta dal 20% più povero dei nostri connazionali, e questo mentre le persone cadute in povertà nel solo periodo tra Marzo 2020 e Marzo 2021, un periodo pandemico, ammontano a 1.000.000, un milione pari a circa 400.00 famiglie.
La pandemia ha quindi aggravato lo stato di disuguaglianza , che oltre ad essere di per se ingiusto genera ulteriori problemi, non solo a livello economico , ma anche a livello sociale e politico, genera infatti disaffezione alle istituzioni e un deficit di democrazia.
Tutto questo perché la disuguaglianza economico sociale si accompagna all’Immobilità Sociale ,cioè al blocco del cd Ascensore Sociale , quel fattore che consente alle nuove generazioni di migliorare le proprie condizioni rispetto alle precedenti generazioni.
Il grafico sottostante , la “Curva del Grande Gatsby” , in rapporto fra di loro, ci indica verso l’alto il coefficiente di Gini che quantifica la Mobilità tra generazioni e in Orizzontale la Disuguaglianza fra i Redditi.
CURVA DEL GRANDE GATSBY
Come si può notare c’è un rapporto diretto per cui ad una più alta “immobilità” sociale corrisponde una più alta Disuguaglianza nel reddito.
La mobilità sociale significa poter cambiare la propria situazione di partenza, e i sociologi la misurano andando a prendere i redditi dei figli mettendoli in relazione con quelli dei padri.
Dal grafico emerge chiaramente che in Italia c’è scarsissima mobilità sociale e altissima Disuguaglianza di reddito, come del resto nel Regno Unito e negli USA.
Quando questi dati risultano allineati significa che c’è Rigidità Intergenerazionale, ossia che si hanno scarsissime possibilità di cambiare la situazione di partenza, e che rispetto alle competenze che si detengono contano di più il luogo e la famiglia in cui si nasce.
Da questo origina un Deficit di Democrazia , perché se si è impossibilitati, interdetti al cambiamento della situazione di partenza subentrano disillusione, frustrazione, disaffezione verso le istituzioni , non si considera più la politica come strumento di cambiamento, di partecipazione alla formazione delle regole di comune convivenza.
E’ quello che vediamo oramai diffusamente in quasi tutti i paesi a Democrazia Avanzata, e in particolare in Italia, con i fenomeni di “sovranismo”, sfiducia nella Democrazia, la massiccia astensione dal voto oramai in costante aumento, tale da mettere in discussione la valenza stessa di tale diritto. Zagrebelski ci ricorda che “un diritto esiste se viene proclamato o se viene esercitato”
2.01 ALTRI FATTORI DI DISUGUAGLIANZA
Vi sono naturalmente molteplici fattori che generano disuguaglianza, tra questi la Guerra e Capitalismo. Le guerre sono il momento di massima diseguaglianza, Le grandi catastrofi, quali guerre e pandemie, tendono a influire su diseguaglianza e povertà. L’impatto redistributivo delle pandemie, che sino a un paio d’anni or sono appassionava solo gli specialisti, è stato brutalmente posto al centro dell’attenzione dal Covid-19. L’invasione russa dell’Ucraina dovrebbe farci riflettere su come anche le guerre possano influire sulle diseguaglianze.(G.Alfani La Repubblica 28Marzo 2022). L’Italia partecipa “indirettamente” al conflitto Ukraina/Russia contribuendo alla fornitura di armi, finanziando tali aiuti con fondi originariamente destinati a welfare e sanità , depotenziando quindi, in assoluto silenzio, quelle forme di redistribuzione necessarie per diminuire le disuguaglianze. In questo assolutamente in linea con le politiche intraprese dall’Unione Europea.
Il paradosso del nostro tempo è che sebbene siamo tutti in grado di percepire in modo chiaro l’aumento di diseguaglianza, questo poi nei fatti non si trasforma in istanza politica e naturalmente pone degli interrogativi.
Chiedersi il perché e semmai concludere come indica Piketty che le ragioni stanno nell’attuale sistema economico dominante, in quel paradigma neoliberista che tanto ha inciso a partire dagli anni 70. Nei primi trent’anni dopo la 2^guerra mondiale vi fu un’impronta keynesiana in economia, ma a partire dagli anni 70 Hysek e Freedman si impongono con il nuovo paradigma neoliberista tradotto in politica da Reagan e dalla Thatcher.
Con l’Economia e con l’Informazione, l’utilizzo dei media hanno creato un’egemonia culturale improntata al mercato, alla concorrenza e alla liberalizzazione, tagliando il welfare. Hanno nei fatti realizzato la gramsciana definizione di Egemonia per cui una classe dirigente diventa dominante quando riesce a far diventare dominanti ed accettati i propri valori.
2.01 IL CAPITALISMO GENERA DISEGUAGLIANZE O CONTRIBUISCE A SUPERARLE?
Piketty accede ad una poderosa raccolta di dati, una straordinaria fotografia delle storie di disuguaglianza, compresa quella del secolo passato e degli ultimi decenni di questo XXI secolo, si pone quindi una domanda riferendosi ad altri autori che prima di lui si erano confrontati con il problema della ricchezza e della distribuzione.
Aveva ragione Marx nell’800 quando diceva che il Capitalismo, ontologicamente, costitutivamente avrebbe creato un aumento di diseguaglianze o aveva ragione Simon Kuznets l’economista statunitense che a metà del 900 sostiene il contrario?
Seppur in modo diverso, nell’800 ci sono autori che riconoscono le contraddizioni del Capitalismo, tra questi Marx e Ricardo.
KARL MARX
Marx assistendo alla Rivoluzione Industriale , alla crescita travolgente dell’industria formula il “Principio di Accumulazione Infinita”, una dinamica che all’accelerazione industriale associa la Stagnazione Salariale. “l’Accumulazione Infinita” è una contraddizione connaturata al Capitalismo dice e da questo intuisce che quando il tasso di crescita della popolazione e della produttività è debole, i patrimoni accumulati tenderanno ad assumere un peso sempre più grande, potenzialmente destabilizzante per la società, per cui quella dinamica porterà ad una concentrazione sempre più forte della ricchezza in poche mani.
DAVID RICARDO
Secondo Ricardo il tasso di crescita della popolazione innesca dinamiche per cui la terra disponibile per le risorse della popolazione diventa sempre più, bene più raro e risorsa scarsa.
Questo fa si che il valore dei terreni aumenti e che i proprietari della terra realizzino un guadagno continuo e significativo sul reddito nazionale.
Anche per Ricardo questo rappresenta un fattore di destabilizzazione della società, per cui propone come rimedio un’imposta progressiva che renda più onerosa la rendita fondiaria.
SIMON KUZNETS
Kuznets contrariamente a Marx ritiene che le dinamiche del Capitalismo coevo, un insieme di equilibri che determinano la Crescita, la Concorrenza, il Progresso Tecnico ,in una fase avanzata del processo economico producono una riduzione spontanea delle disuguaglianze. Una sorta di Curva ad U per cui le Disuguaglianze, Crescenti nella prima fase dell’industrializzazione tendeno a diminuire nelle successive fasi e che una quota crescente riesce a goderne gli effetti.
Quindi Marx sostiene che la disuguaglianza è consustanziale al Capitalismo, che nel Capitalismo ci sono contraddizione come la “caduta del saggio di profitto”, crisi cicliche di produzione, la polarizzazione della società con il processo di proletarizzazione del ceto medio che decreteranno la fine del Capitalismo, scrive anzi che “Il Capitalismo è il becchino di se stesso”, mentre Kuznets con la sua cd “Curva di Kuznets” ritiene il Capitalismo capace di eliminare le disuguaglianze, seppur in una fase successiva al momento maggiore della sua espansione delle fasi produttive.
2.02 PIKETTY E IL CAPITALISMO PATRIMONIALE
Per la prima volta, a differenza di Marx o Ricardo, Kuznets opera su poderosi archivi di dati del Ministero delle Finanze USA, va a prendere i dati sui redditi dei contribuenti e nella curva che realizza scopre che nel 1913, prima della 1^ guerra mondiale, il decile più ricco, il 10%, guadagnava il 50% dei redditi prodotti; poi, dopo la 2^ guerra mondiale, nel 1948, questo 10% guadagna meno, guadagna tra il 30-35%.
Siamo in epoca di “guerra fredda” e questo studio diventa un’arma in mano degli apologeti del capitalismo per affermare che quel modello economico, non solo crea ricchezza, ma addirittura la distribuisce. Piketty assume il metodo di Kuznets e, nell’analisi che segue, arriva sino ai nostri giorni, confermando ciò che dice Kuznets cioè che nel 1913 il 10% più ricco guadagna il 50% e che, all’inizio anni 50, il 1948, guadagnava il 30-35%, e che questo livello di disuguaglianza si prolunga, restando tale per tutti gli anni 50-60-70, ma che poi inizia improvvisamente a salire e ad oggi il 10% guadagna il 50% dei redditi, esattamente come nel 1913. Piketty si pone allora alcune domande: aveva ragione Marx o Kuznets? Il capitalismo è buono o cattivo? E’ strumentalmente portato alla disuguaglianza oppure, ad un certo punto, distribuisce? Secondo Piketty, non è che ad un certo punto il capitalismo sia diventato buono, quindi prova ad argomentare la risposta attraverso tre forme di disuguaglianza, quella dei redditi, quella dei capitali, quella del rapporto tra capitali e redditi.
A-DISUGUAGLIANZA DI REDDITI
Piketty dice che nel tempo, circostanze ed azione delle Istituzioni contribuiscono alla formazione di disuguaglianze in modalità che possono portare a differenti risultati. Nel periodo precedente alla 1^ guerra mondiale questa disuguaglianza di redditi era superiore in Europa rispetto agli USA, ma poi, questa tendenza, si è invertita; il primo decile deteneva tra il 45 e il 50% dei redditi nei Paesi europei mentre negli USA deteneva il 40%. Un secolo dopo, ossia, ai nostri giorni, in Europa il primo decile detiene il 35% dei redditi totali contro il 50% del 1910, e il 30% negli anni 50-60 negli USA, le dinamiche si sono invertite.
Il primo decile USA era al 40%, quindi più basso che in Europa, poi al 30-35% negli anni 50-60 e infine al 50% negli anni 70-80. Il fatto che negli anni che vanno dal 1950/60 sino a circa il 1970 il livello di disuguaglianze risulti inferiore viene giustificato da Piketty in ragione delle politiche keynesiane redistributive poste in essere, e degli effetti della legislazione fiscale di tipo progressivo. Ci sono elementi convergenti come il sostegno ai redditi bassi che diminuiscono le disuguaglianze, c’era una scuola di tipo universale che riusciva nel suo compito di emancipazione universalistica, mentre oggi tende più ad essere esclusivista. Tra gli elementi di divergenza per cui oggi le disuguaglianze aumentano, oltre alla scuola, Piketty indica il rapporto redditi tra dirigenti e lavoratori, passato in meno di 30 anni da 20:1 a 354:1 con punte estreme, come nel caso di Marchionne, che raggiunse un 500:1.
B-DISUGUAGLINZA DI CAPITALE
Anche in questo caso la quota di capitale detenuta dal 10% dei consumatori presenta le stesse dinamiche delle disuguaglianze di reddito, nel senso che prima era più elevata in Europa rispetto gli USA, oggi la situazione è invertita. Negli USA, prima della 1^ guerra mondiale, il 10% della popolazione possedeva il 70/80% del capitale, il 60/70% tra il 1950/1980 ed è in fase di risalita verso un 70%. In Europa, prima della 1^ guerra mondiale, il 10% deteneva il 90% del capitale, scesa tra il 1914 e gli anni ’60 a meno del 60% per attestarsi oggi intorno al 65%.
C-DISUGUAGLIANZA DEL RAPPORTO CAPITALE/REDDITO
In ogni Paese c’è il Reddito Nazionale che è il reddito che si produce in un anno, è invece Patrimonio Nazionale ciò che è la somma di tutte le ricchezze che ci cono, la somma del Patrimonio Pubblico e del Patrimonio Privato, inteso come patrimonio immobiliare, cioè case, capannoni, edifici pubblici etc. e patrimonio mobiliare, cioè capitali liquidi, azioni, obbligazioni, titoli di Stato etc. il tutto espresso in annualità di reddito nazionale.
Piketty enuncia la “Prima legge fondamentale del capitalismo” con la formula:
a=rxB
Dove:
α = è la Quota dei Redditi da Capitale nel Reddito Nazionale
β = è il Rapporto tra Patrimonio e Reddito Nazionale espresso , ossia la quantità di annualità
di Reddito Nazionale con cui è composto il Patrimonio.
r = Tasso di Rendimento annuo medio del Capitale.
Conseguentemente la Quota dei Redditi α è ottenibile moltiplicando le annualità di cui è composto il Patrimonio β per il Tasso di Rendimento r , per cui :
se β = 600 e r = 5% avremo α 600 x 5% = 30%
Nel Grafico 1.2 si può vedere la Quota Capitale di Germania, Francia, UK dal 1870 al 2010.
Questo elemento, la Quota dei Redditi da Capitale ci aiuta poi a comprendere la successiva “Seconda Legge Fondamentale del Capitalismo”, infatti il Rapporto Capitale/Reddito unitamente alle Disuguaglianze da Capitale è il cuore pulsante dell’argomentazione di Piketty perché da la misura dell’importanza attribuita al Capitale nella società.
Per tutto il 1700/1800 questo rapporto è attestato intorno alle 6-7 annualità di Reddito Nazionale ed è piuttosto stabile, poi nel XX Secolo si abbassa sino a 2-3 annualità di Reddito Nazionale , per poi crescere sino alle 5-6 annualità, ovvero del tutto simili a quelle antecedenti alla 1^ Guerra Mondiale. Il Rapporto fra Capitale/Reddito è definito da Piketty con la
“Seconda Legge Fondamentale del Capitalismo”
Intendendo dire che un Paese che, nel lungo periodo, ha una Crescita Lenta g, e che risparmia molto s, accumula nel tempo un enorme stock di capitale. Questo significa che i Patrimoni diventano un fattore pesante di disuguaglianza. Piketty adotta la Disuguaglianza
come base della disuguaglianza dei redditi, per esemplificare:
dati un tasso di risparmio s = 15% e un tasso di crescita g = 5% , 15/3 = β 5 è il risultato, sarebbero le annualità che indicano il livello di accumulo di capitale, ma se la crescita g diventasse 1,5 il rapporto 15/1,5 = β 10 ci direbbe che l’accumulo di capitale sarebbe molto più alto e con esso molto più alto anche il livello di disuguaglianza.
Ora, dice Piketty, il crollo di questo indice alle 2/3 annualità del XX’ secolo, che diminuiscono il livello di disuguaglianze, è dovuto a diversi fattori.
In primis è dovuto alla guerra, ve ne sono state due mondiali nel corso del XX’ secolo, ed hanno portato alla distruzione del capitale dovuto a immobili, industrie, macchinari etc. alla mancanza di investimenti in quei periodi, la caduta del valore degli immobili stessi a causa delle crisi finanziarie, all’inflazione, che dice Piketty, colpisce per esempio la Francia con un tasso medio del 13% in trent’anni e la Germania del 17%. L’inflazione, di fatto, polverizza i patrimoni e lo stato di guerra riduce la propensione al risparmio.
Sono quindi queste eccezionali condizioni che creano le diminuzioni di disuguaglianze, perché in realtà, in altre condizioni il capitale cresce costantemente e questo anche in assenza di crescita economica e di stagnazione. Dice infatti Piketty che, prima del 1910, Francia, Inghilterra e Germania avevano un accumulo di capitale β 7 , cioè una ricchezza sette volte la capacità di produzione della ricchezza in un anno, con la 1^ guerra mondiale e l’abbattimento dei patrimoni si abbassa sino alla 2^ guerra mondiale e poi inizia a risalire. Al 2010 la Germania è a circa β 4, la Francia a β 5,5, Regno Unito β 5,1 e attenzione, i più ricchi sono Italia a β7 e Giappone a β6. solo i Paesi con un β più alto, sono i Paesi in cui vi è un patrimonio privato molto elevato e quello pubblico meno elevato, di fatto tante ricchezze private e Stati poveri. Come si evince dal sottostante grafico 5.4, in Italia il capitale privato tra il 1970 ed il 2010 è passato da β 240% al Β 680% del reddito nazionale, mentre il capitale pubblico è passato dal 20% a -70% ossia da positivo a negativo; sostanzialmente una grande ricchezza privata in uno Stato povero perché il -70% di patrimonio pubblico è la differenza tra gli attivi pubblici e il debito pubblico. Quello che emerge da queste riflessioni, secondo Piketty, è una Società caratterizzata da un “capitalismo patrimoniale”.
3.0 IL CAPITALISMO PATRIMONIALE
Il capitalismo patrimoniale, ossia una Società in cui un basso livello di crescita dell’economia
provoca il rialzo del rapporto β= s / g determinando così l’aumento della quota di reddito da capitale e della disuguaglianza. La Disuguaglianza s > g è per Piketty alla base di tutte le disuguaglianze nella Distribuzione , pertanto più quel rapporto cresce e maggiori sono le Disuguaglianze. Piketty definisce s > g come la “Legge Ferrea del Capitalismo”, cioè “quella dinamica che facendo crescere il capitale più dell’Economia fa si che il passato divori il futuro”. Essendo il tasso di rendimento superiore alla crescita produce disuguaglianze e diventa un freno al reddito di lavoro, che non può eguagliare quello da capitale.
Si realizza ciò che prediceva Marx, l’accentramento delle risorse e della ricchezza in poche mani. Va oltre Piketty, chiedendosi cos’altro determini il reddito da capitale e più in generale che cosa ha fatto aumentare i redditi e la loro disuguaglianza.
Sul primo quesito parte dicendo che è ovvio che vi sia più reddito da capitale in quei Paesi in cui c’è più capitale, e che quel capitale è composto dall’insieme di beni mobili ed immobili.
Piketty che ha raccolto molti dati dice che il denaro liquido che in realtà rappresenta solo il 3% di tutto il capitale, che il capitale azionario di lunga distanza rende il 7-8% e che complessivamente l’intero capitale rende fra il 3 e il 5%; di conseguenza se c’è tanto capitale questo rendimento crea l’aumento del capitale, e indica nel contempo altri fattori che in qualche modo incidono sul reddito da capitale.
3.01 LA TENDENZA DEMOGRAFICA
C’è un rapporto tra demografia e disuguaglianza, dice Piketty e insiste sul fatto che stiamo tornando in una Società nella quale l’eredità conta sempre di più, e a fronte di un tasso di infertilità del 2% per cui non è possibile un cambio generazionale risulta ovvio che nascere in una famiglia piuttosto che in un’altra cambia molto, conta di più nascere in una famiglia “giusta” che costruirsi una carriera. I bassi tassi di fertilità condizionano la disuguaglianza e la tendenza che vede Paesi come l’Italia all’1,3% di fertilità non danno ragioni per ipotizzare un’inversione di tendenza, quindi dove si fanno meno figli , l’eredità conta di più incidendo in maniera forte sull’uguaglianza. A supporto della sua tesi Piketty guarda ad alcuni modelli di disuguaglianza fra gli Stati.
1-Modello scandinavo dove il 10% guadagna il 25% dei redditi ed ha una disuguaglianza bassa
2-Modello europeo in cui il 10% guadagna il 35% dei redditi ed ha una disuguaglianza più alta
dei Paesi scandinavi.
3-Modello USA in cui il 10% guadagna il 50% dei redditi e in cui la disuguaglianza è molto
più alta dei Paesi scandinavi e dei Paesi europei.
Facciamo un confronto tra modello scandinavo e modello USA per comprendere cosa questo significhi.
Posto un reddito medio di 2000 euro:
nei Paesi scandinavi il 10% guadagna 4000 euro, negli USA il 10% guadagna 9000 euro e, soprattutto, la fascia che sta peggio guadagna mediamente:
nei Paesi scandinavi 1400 euro
negli USA 1000 euro
vi è una differenza del 40% che implica “modelli diversi di consumo” e quindi di vita.
Il problema dice Piketty è che se negli USA il Governo non interviene, nel 2030 il 10% porterà a casa il 60% dei redditi e chi sta peggio, in questo modello di distribuzione, porterà a casa solo 800 euro. La condizione USA è complicata, già Obama non era riuscito a toccare l’aliquota massima fiscale che era rimasta al 35%, con la crescita che al 58% è andata all’1% dei più ricchi. Questo, peraltro, lo spiegava Rampini, chi è fuori da quel 10% dei più ricchi vive grosse sofferenze perché negli USA dal 10 al 5% della popolazione guadagna dai 108000 ai 152000 ,
dal 5 all’1% guadagna dai 152000 ai 352000 euro.
Sembra poco l’1% ma non lo è.
Negli USA, pur nella differenza tra Stato e Stato, vi sono salari minimi di 7,25 dollari orari ossia 6 euro orari, e scrive Elisabetta Grandi su Micromega che la ricchezza dal 2008 al 2016 è passata da 55 all’86 trilioni, (un trilione è pari a 1000 miliardi) mentre ci sono, in contemporanea, 103 milioni di persone in povertà assoluta.
3.02 ESTREMISMO MERITOCRATICO
Il secondo fattore di disuguaglianza sui redditi per Piketty è un “fattore culturale”, ossia quello relativo al modello neoliberista e all’egemonia che esercita, la chiama “l’estremismo meritocratico”. Il termine meritocrazia è tratto da un romanzo di Michael Young “Ascesa della meritocrazia”, un romanzo distopico in cui il termine veniva usato in accezione dispregiativa dall’autore, e che indicava un mondo in cui solo pochi sono bravi a fare tutto e quindi governano. Meritocrazia deriva dall’antica Grecia, da Aristoi , cioè i migliori e quindi il potere che viene dato ai migliori, un principio incompatibile con la democrazia e il kratos del demos. Assomiglia terribilmente a quella che Monti chiamava “tecnocrazia” e che, a suo parere, aveva il compito di far sì che “i Governi educassero i Parlamenti”. Piketty dice attenzione, questo non ha nulla a che vedere con la democrazia, stiamo attenti perché questo diventa un dispositivo di potere se facciamo credere alla gente che chi ha i soldi è perché se lo merita, la gente finisce con l’accettare la disuguaglianza.
3.03 I SALARI DEI SUPERDIRIGENTI
Si sono autoriconosciuta una capacità di “produttività marginale” per premiare con alti salari se stessi; i super dirigenti sono gli stessi che siedono nei CdA per decidere. Piketty dice che “raccontano balle, altro che mano invisibile smithiana, questi sono mani in pasta, questi si fanno i salari da soli”. Quale produttività marginale? Questi salari dei super dirigenti sono enormemente lievitati e sono lievitati perché, tra altri fattori, è cambiata la tassazione; c’è una tassazione diversa per cui è possibile far crescere all’infinito i salari mentre prima non lo era, trattando il paragrafo della tassazione vedremo meglio come e perché.
Per limitare le disuguaglianze occorre tutelare i redditi bassi e qui, Piketty racconta una storia che riguarda De Gaulle nel maggio francese del 1968. De Gaulle, spaventato dal movimento degli studenti e degli operai alza i salari minimi del 20%, poi i salari tra il 1968 e il 1983 seguono una dinamica per cui aumentano mediamente del 50%, e quelli minimi di circa il 130%, di fatto i salari guadagnano sulla quota del PIL il 7%.
Arriva la Presidenza Mitterand e nel 1983 avvia il metodo dell’austerità, quindi per tutto il periodo tra il 1983-1990 non si indicizzano più i salari e quel 7% viene restituito alle rendite ed ai profitti. In Italia avviene grosso modo lo stesso, quando con Craxi nel 1984 si dismette la scala mobile, quel 7% viene perso. Più in generale, dal 1976 al 2006 nei Paesi OCSE in trent’anni i salari perdono circa il 10%, con l’Italia che addirittura passa dal 68% al 53%; significa che si è perso il 15% del PIL e che questo è andato alle rendite e ai profitti: Quel 15% oggi vale circa un punto di PIL che tradotto in cifre significa circa 240 miliardi di salari in meno, 240 miliardi in meno di potere d’acquisto.
4.0 DISTRIBUZIONE DEI PATRIMONI
Negli USA il 10% detiene il 70% dei patrimoni e qui, per cominciare a capire, Piketty dà questo spunto: in Società come quelle degli anni ’50-60-70 la conflittualità sindacale era molto forte, si facevano scioperi, si occupavano fabbriche e quindi le diseguaglianze, in qualche modo, trovavano maniera di incidere almeno su quella dei redditi; tuttavia la disuguaglianza nei patrimoni incide più della disuguaglianza dei redditi, tant’è che anche in Italia è alta, infatti il 10% detiene il 60% dei patrimoni. Certo, dice Piketty, non tutto è negativo, qualcosa è cambiato, si è passati da un mondo con aspettativa di vita a 40 anni ad un’aspettativa di vita di 89 anni, da un mondo di diffuso analfabetismo ad uno che permette a tutti un seppur minimo accesso ai contenuti culturali, quindi sul piano della distribuzione delle proprietà, qualcosa è cambiato. All’inizio dell’800 il 10% possedeva l’80% , adesso il 10% possiede il 60%, è nata quindi una classe media patrimoniale, una Società patrimoniale cioè una parte di Società che non c’era prima, quella che va dal 10% al 50% che oggi possiede mediamente un patrimonio di 170/180 mila euro. Una quota non enorme ma sicuramente importante, dice Piketty, che comunque mette in guardia perché il rimanente 50% della popolazione non aveva niente prima e continua a non avere niente adesso. Il problema è la prospettiva futura perché le dinamiche in atto portano ad una continua concentrazione dei patrimoni, in effetti già nel periodo Covid ha avuto una decisa conferma. I dati riportati dalla “Stampa del 18/01/2022 pag.15” dicono che il patrimonio dei 10 più ricchi del pianeta, in miliardi di dollari, era:
prima di marzo 2020, 700 miliardi
dopo novembre 2021, 1500 miliardi
con un aumento di 15 mila dollari al secondo o 1,3 miliardi al giorno.
In Italia la crescita del patrimonio dei super ricchi è stimata in 185 miliardi di euro, un più 56% e contemporaneamente nel mondo ci sono state 163 milioni di persone cadute in povertà di cui un milione in Italia. Tredici milioni di posti di lavoro femminile perso nel solo periodo tra il 2019 e il 2021 e una perdita di reddito femminile nel 2020 pari ad 800 miliardi di dollari.
Per contro Bezos ha guadagnato 85,5 miliardi di dollari nei primi 21 mesi del Covid ed Elon Musk ha raggiunto una quota patrimoniale di 294 miliardi di dollari, cifre inarrivabili anche per i bilanci di molti Stati sovrani. Questo, secondo Piketty, avviene perché vi sono due importanti fattori tendenziali, il rendimento dei capitali è proporzionale ai capitali e l’aumento dei flussi successori.
a-Rendimento dei capitali proporzionale ai capitali
Per dimostrare che più capitale c’è e più questo rende Piketty fa il confronto tra due grandi patrimoni, quello fra Billy Gates e Liliane Bettencourt, la famosa ereditiera di “L’Oreal”.
Prende i dati che vanno dal 1990 al 2010 e scopre che Billy Gates passa da un patrimonio di 4 a 50 miliardi e Liliane Bettencourt da 2 a 25 miliardi.
Questi patrimoni crescono del 13% all’anno e la tendenza è continua. Crescono quindi in vent’anni del 13% e Piketty si domanda perché?, Qual è il fenomeno del nostro tempo? La risposta che si dà è che dopo aver accumulato un certo patrimonio, gli imprenditori diventano “Rentier” ossia dei percettori di reddito da parte di un capitale che si autoalimenta. Per dimostrare questo, Piketty fa uno studio su 8.000 Università americane ricche. Quelle americane sono Università con patrimoni enormi, Harvard ha un patrimonio di 30 miliardi, Yale di 20, Princeton di 15,e vede che dal 1980 al 2010 questi patrimoni sono cresciuti mediamente del 6,6% in un contesto in cui i patrimoni inferiori a 100 milioni hanno avuto una crescita del 6%, quelli superiori al miliardo dell’8,8% e il patrimonio di queste Università del 10,6%. Perché, si domanda Piketty?
Perché Harvard investe 100 milioni all’anno, una cifra che rappresenta solo il 3% del suo patrimonio, nei servizi di consulenti finanziari per far rendere al meglio i propri capitali. Le grandi risorse consentono l’accesso alle grandi competenze e queste riescono in qualche modo a massimizzare le rendite ed i profitti derivanti dal patrimonio.
b-Aumento dei flussi successori,
Cosa sono i flussi successori? Vuol dire che la percentuale di eredità e donazioni, che sono eredità anticipate sul PIL, se all’inizio del ‘900 questa quota era del 20%, negli anni ’50-60 e 70 si era abbassata al 5-6% è oggi in Francia tornata al 15%. Sono dati relativi alla Francia, ma, dice Piketty che la situazione italiana è grosso modo la stessa. All’inizio del ‘900 il patrimonio risultava così composto:
80% dovuto ad eredità
20% frutto del lavoro.
Le risultanti erano Società “stabili”, poco compatibili con la democrazia, perché sappiamo che senza mobilità sociale non c’è democrazia, lo diceva già Tocqueville tornando dal suo viaggio in America, sostenendo che là vi era democrazia perché c’era mobilità sociale, in Francia non, perché in Francia la mobilità sociale al tempo non esisteva.
Nei “gloriosi trent’anni” successivi alla 2^ guerra mondiale, per la prima volta il lavoro vince sulle eredità, sui patrimoni.
60% dal lavoro
40% dalle eredità
Sono gli anni dell’ottimismo, in cui tutto sembrava possibile, comprare casa, trovare un lavoro, migliorare la propria condizione. Oggi l’inversione è netta e si è tornati alla prevalenza delle eredità.
67% data dalle eredità, quindi i 2/3
33% dato dal lavoro, quindi 1/3.
Significa che il passato sta divorando il futuro, che non vi è ascensore sociale per le future generazioni e che conta tanto dove si nasce e molto meno cosa in realtà si riesce a fare.
Ma cosa fa aumentare il flusso successorio, si chiede Piketty? Un β elevato, ossia un patrimonio alto, e il tasso di mortalità secondo Piketty.
Il tasso di mortalità scende nel ‘900, scende perché aumenta l’aspettativa di vita ma si continua comunque con la crescita demografica, almeno sino ad un certo punto. Oggi la natalità è bassissima e quindi il tasso di mortalità aumenta rispetto alla popolazione, sia nel 2021 che nel 2022 in Italia si è persa una città di circa 400.000 abitanti. Tutto questo incide sul flusso successorio ossia sul rapporto tra il patrimonio dei vivi e il patrimonio dei morti, ha una relazione con la mobilità sociale. In fatto di mobilità sociale, Paesi come la Svezia hanno un dato di 0,2, Francia e Germania di 0,4, USA e Italia 0,6, l’indice è quello di Gini per cui più si è vicini allo zero più si è mobili, più si è vicino ad uno più si è rigidi.
5.0 TASSAZIONE
Piketty dice che va rivista l’idea di un Paese come gli USA liberista, contrapposta a quella di un Europa socialdemocratica, ossia cattivi i primi e buona la seconda perché in ognuno di questi Paesi ci sono dinamiche che contribuiscono a creare disuguaglianze. La tassazione negli USA è di tipo progressivo, a scaglioni, e negli anni per gli interventi della politica ha subito variazioni piuttosto singolari. Per la tassazione massima ha visto una successione di aliquote
1929 al 25%
1933 al 67%
1944 al 94%
1950/70 al 90%
1980 al 28%
Nel 1929 con Hoover è al 25%, poi Roosvelt la porta prima al 67% e poi nel 1944 al 90%.
Resta invariata per molti anni tra l’80 e il 90% tra gli anni ’60 e ’70, poi si afferma Reagan che porta l’aliquota al 28% e successivamente Clinton la rialza al 40%, Bush al 35% e infine Obama che lascia il 35%.
Quindi, quando si tratta di tasse non si può ragionare in termini tecnici, la questione è eminentemente politica, e qui si era capito che la tassazione fortemente progressiva fosse l’unico modo per tenere insieme libertà e giustizia sociale; lo scriveva il liberale Rawls in tema di giustizia, e lo stesso Bertrand Russel riteneva che “se si vuole democratizzare la Società occorre democratizzare l’economia”.
USA e Regno Unito hanno una situazione simile in determinati momenti, tasse al 90% di aliquota massima, un livello quasi espropriativo, se vogliamo, che nasce dall’idea che sopra un certo reddito, quel reddito diventa inutile economicamente e socialmente dannoso; una riflessione che nasce in Paesi liberali, le Patrie del capitalismo.
In Italia il sistema fiscale è progressivo, con aliquote a scaglioni che vanno rispettivamente da un minimo ad un massimo:
1972 dal 10% al 72%
Oggi dal 23% al 43%
Quindi nel 1972 dal 10% al 72% c’erano 32 scaglioni, a partire dal 2022 dal 23% al 43% ed oggi è in vigore una flat-tax che riduce al 15% l’aliquota del lavoro autonomo e porta al 24% quella minima.
Si tratta di una dinamica che vede nel tempo una sistematica riduzione dell’imposta massima per i redditi maggiori e un aumento sui redditi più bassi concernente l’aliquota minore. Tutto questo mentre uno studio di Banca d’Italia ci dice che nel 2008 in Italia i 10 più ricchi avevano un patrimonio di 50 miliardi e i 20 milioni più poveri un patrimonio di 114 miliardi, con la crisi i più poveri hanno perso patrimonio ed i più ricchi lo hanno aumentato; nel 2015, quindi, i 10 più ricchi superano i 100 miliardi arrivando in soli 10 anni di crisi ad avere un patrimonio superiore di 20 milioni della popolazione. Abbiamo già visto gli stipendi dei super dirigenti ,che sono lievitati smisuratamente mentre prima questo non accadeva perché non c’è convenienza ad alzare lo stipendio oltre un certo livello se viene tassato oltre l’80% ,quindi si ricorre ad altre forme di retribuzione soggette a diverse e più vantaggiose forme di tassazione. (partecipazioni, stok option etc).
Con Piketty, vedremo, si tratta di tassare in un certo modo i redditi oltre i 100 mila euro, quindi si tratta di redditi medio alti, vale lo stesso per patrimoni e tasse di successione massime che negli USA e in Inghilterra arrivano all’80% per quote di eredità molto elevate.
McGovern candidato alla Presidenza degli USA nel 1972 arrivò a proporre, oltre una certa soglia, una tassazione del 100%!
Democratico e liberale, il politico americano intendeva applicare quel principio “liberale” per cui se ti sei guadagnato quei capitali si tassano in un certo modo, se li erediti o ti cadono addosso in qualche modo, lo Stato se li prende. Va in ogni caso detto che nei vari Stati le aliquote sono diverse ed anche più normali. In Francia l’aliquota massima di successione è al 30%, negli USA al 40%, in Inghilterra c’è un’aliquota del 40% sul patrimonio eccedente le 325 mila sterline.
In Italia era stata abolita la tassa di successione (Governo Berlusconi e successivamente reintrodotta dal Governo Prodi) è oggi al 4% sul patrimonio eccedente il milione di euro.
Se per esempio avessimo due fratelli eredi di un milione a testa, nei diversi Paesi si pagherebbe secondo le modalità seguenti:
Inghilterra 250.000 a testa
Francia 200.000 o poco meno
Germania 75.000
Italia 0,000
5.01 LE PROPOSTE DI PIKETTY:
1-Innalzare le tasse sui redditi alti
2-Tassare in maniera adeguata la successione
3-Tassare i patrimoni con l’1% quelli sopra il 1.000.000 di euro, il 2% sopra i 5.000.000 di euro
E il 5% quelli sopra i 500.000.000
L’idea di Piketty è che siccome i patrimoni si autoalimentano e rendono molto, occorre tassarli, è consapevole che data la globalità dei flussi, la misura non è fattibile in un solo Paese, per evitare fughe di capitali dice che se venisse fatto anche solo in un Continente come quello europeo, dotato di un certo peso economico, potrebbe assumere un’importante funzione e si genererebbero vari aspetti positivi, in concreto:
-Si potrebbe creare un inventario delle ricchezze e quindi rendere efficace la lotta ai paradisi
Fiscali
-Si procurerebbe un’entrata fiscale annua pari al 3/4% del PIL.
Aspetti tutt’altro che trascurabili perché un’entrata del 3/4% significherebbe poter finanziare ricerca, welfare e altre forme di interventi sociali.
In Italia significherebbe un’entrata annua di circa 57/76 miliardi di euro che potrebbero da soli rappresentare il mezzo per eliminare il debito pubblico in un medio termine, sgravando il bilancio dagli onerosi costi degli interessi sul debito e liberando così una massa di risorse per le politiche sociali.
Si tratterebbe di un’entrata che ridurrebbe la disuguaglianza e che consentirebbe la mappatura di quei patrimoni che oggi al 10% alberga nei paradisi fiscali. Piketty cita nuovamente la Bettancourt, erede della “L’Oreal”, ricordando che con un patrimonio di 30 miliardi ha denunciato un reddito di 5 milioni. Dice “prendiamo i 30 miliardi, tassiamoli non secondo il 13% che effettivamente rendono, ma anche solo al 5%, l’imposta sarebbe di 1,5 miliardi”.
Quindi la tassazione dei capitali, del patrimonio diventa un tema importante.
In Italia, un po’ come in tutta Europa, i capitali sono formati per il 50% da capitali liquidi e per l’altro 50% da immobili e valori strumentali, in ogni caso quando il capitale si stima si può trovare il modo per organizzarne la tassazione a livello mondiale, dice Piketty e su questo la globalizzazione incide, diventa un modo di usare questo dispositivo come una “forma di potere”, un modo per impedire politiche fiscali non gradite.
In Francia vige una forma di piccola patrimoniale a livello fiscale e Macron prevedeva nell’assoluto silenzio di dimezzare quella patrimoniale per i grandi ricchi cioè il 50% di aliquota massima con un costo di circa 8 miliardi di euro; silenzio che invece è stato rotto decisamente quando si è trattato di alzare di 100 euro i redditi più bassi, allora si sono alzate altissime le voci contro l’aumento del deficit.
L’equazione che si ripropone è che non c’è alternativa nel diminuire le tasse ai ricchi, perché se c’è la libertà di circolazione c’è concorrenza, occorre necessariamente creare le condizioni per attirare i capitali nei singoli Paesi diminuendo le tasse ai ricchi o alle Imprese e nel contempo diminuire il welfare.
La tatcheriana idea , “non ci sono alternative”, per cui non si può cambiare, del resto sostiene certa politica, che nel mondo le diseguaglianze sono diminuite. Anche questo, dice Piketty, è relativo perché abbiamo due modi di misurare la disuguaglianza:
-“Tra gli Stati” between, ed è chiaro che Cina, India ed altri Paesi sono cresciuti diminuendo le disuguaglianze rispetto ad altri Paesi.
-“Dentro gli Stati” within, ossia nei singoli Paesi, vediamo che questa diseguaglianza è aumentata un po’ ovunque e del resto appare evidente che un po’ dappertutto la classe media è in difficoltà e tende ad impoverirsi.
5.02 BREVE SOMMARIO
Riassumendo quello sinora esposto possiamo dire che la diseguaglianza è aumentata tantissimo e questo genera problemi, infatti è alla radice di crisi economiche perché, dice uno studio dell’OCSE-1960 che ogni volta che l’indice Gini, quel parametro da zero a uno, che misura le disuguaglianze, cresce del 3%, può esserci una ricaduta negativa sul PIL dello 0,35% ossia se aumenta la diseguaglianza si riduce il PIL.
Ha problemi di democrazia perché genera la disaffezione della partecipazione al voto, rende fragili le democrazie e le espone ai rischi di guerre.
Si riflette sulla scuola, la riduzione delle risorse mina alla base l’efficienza del sistema, quel sistema che distribuisce in maniera più possibile universalisticamente le competenze e dà accesso all’istruzione; in questo l’Italia è tra quelle che spende di meno, 3,9% a fronte del 4,7% della media dell’Unione Europea (dati ISTAT 2022); questo rappresenta un elemento di grave disuguaglianza se pensiamo che la scuola è uno strumento che facilita la distribuzione.
Abbiamo visto che la distribuzione dei patrimoni, dove ne esistono tanti, sono distribuiti male,
l’ultimo rapporto OCSE riporta che il 10% detiene il 55% dei patrimoni ed il fatto che ci sia una tassa risibile non aiuta, inoltre il basso livello di natalità dà molto più valore all’eredità.
La Denatalità, in una Società in cui non ci sono più nascite aumenta il flusso successorio a vantaggio di pochi e influisce sulle politiche di invecchiamento con tutti i problemi di carattere sociale e assistenziali, di sostenibilità economica che questo implica.
Sono problemi che unitamente ad altre dinamiche originano, o comunque sono influenzate sul piano globale e che pertanto difficilmente possono trovare soluzione nell’ambito dei singoli paesi, e Piketty richiama quindi al ruolo della Globalizzazione nella creazione di Disuguaglianze.
LA GLOBALIZZAZIONE
In tutte le dinamiche descritte, il processo di globalizzazione ha un suo importante ruolo, soprattutto in quelle della circolazione del capitale, dell’evasione e dei paradisi fiscali.
Sino al 1971 il sistema economico finanziario era regolato dagli accordi di Bretton Woods, così come li aveva teorizzati John Maynard Keynes, accordi che prevedevano “cambi fissi” delle valute, variabili a determinate condizioni ma senza possibilità di libera circolazione dei capitali. Alla fine degli anni 80 in piena “Era Neoliberista” liberalizzare la circolazione dei capitali diventa un imperativo, e questo limita di fatto il potere decisionale degli stati in economia, stati che perdono potenza e Piketty lo ricorda continuamente, sostenendo che non esiste un determinismo economico, ma esistono precise scelte politiche che a loro volta determinano le dinamiche economiche. Cosa fare allora?
Intanto se si vuole un’Europa efficiente e più giusta occorre pensare ad un’uniformità di tassazione, diversamente assistiamo ad una diversa e scorretta competizione che vede l’azione di ben quatto paradisi fiscali nel cuore della U.E. , Olanda, Irlanda, Cipro e Lussemburgo. Esiste in questi paesi il fenomeno degli “accordi privati” per cui aziende multinazionali come AIRBN ha pagato l’annualità di 40.000 euro in tasse, Facebook 240.000, ed APPLE in Irlanda non pagava addirittura nulla. La legislazione Europea degli ultimi anni è intervenuta con soluzioni che rimangono del tutto insufficienti sul piano dell’equità e della giustizia.
Questo meccanismo della libera circolazione favorisce inoltre l’azione delle “Lobby” e del cd fenomeno delle “porte girevoli”, ossia politici e figure istituzionali che operano influenzati da interessi privati, che sfruttano le competenze acquisite durante il loro mandato pubblico per favorire gruppi economici privati. In Italia clamoroso caso è stato quello del Ministro dell’Economia Vittorio Grilli nel Governo Monti, che già da dirigente del tesoro aveva firmato un “Derivato” con J.P. Morgan, un complesso prodotto finanziario che nel periodo in cui Grilli svolse la sua azione di ministro costò all’Italia 3.1 miliardi di euro. Finito il mandato da ministro Grilli passò alle dipendenze di J.P. Morgan, e non fu il solo, si pensi a Monti, Prodi, Barroso, tutti ex dirigenti della U.E. che hanno lavorato per Goldman Sax o altri istituti finanziari multinazionali.
Il problema è molto serio, a Bruxelles ci sono migliaia di Lobbysti e buona parte dei Deputati e anche Commissari Europei lo diventano a loro volta, si parla di un comportamento che coinvolge circa il 70% del personale politico ed amministrativo, e le indagini della magistratura belga, con gli arresti eseguiti recentemente parrebbero confermare oltre all’azione lobbystica anche un’inquietante degenerazione in corruttela, si avvantaggiano favorendo scelte, o cedendo conoscenze e competenze acquisite nelle istituzioni per arricchirsi a scapito del pubblico interesse.
6.0 CONCLUSIONI
“La storia dei redditi e dei patrimoni è sempre una storia profondamente politica, quindi caotica ed imprevedibile” conclude Piketty. La sua idea è che la distribuzione delle ricchezze non sia altro che il risultato del modo in cui Istituzioni e politica concepiscono il mondo, e delle azioni messe in campo per realizzare quella visione; diventa conseguentemente difficile prevedere lo sviluppo delle disuguaglianze ma occorrerebbe fare tesoro delle esperienze pregresse e del passato. Quella delle disuguaglianze, determinata dalla distribuzione, è prettamente storia politica, ci sono fattori che hanno diminuito le disuguaglianze per un certo periodo, ma sono fattori estranei, imprevedibili a queste dinamiche dice Piketty, o per lo meno lo pensa del fattore guerra che per ben due volte ha inciso nel corso del ‘900 o anche dell’influenza dei “30 gloriosi anni”, questi ultimi caratterizzati da una forte crescita in buona parte determinati dalla ricostruzione post bellica. Vi è poi l’elemento della crescita, un fattore che in queste conclusioni vedremo di definire meglio.
Piketty dice inoltre che distribuzione e disuguaglianza sono influenzate da quelle che lui chiama fattori di convergenza o fattori di divergenza.
Per ridurre le disuguaglianze, fattore di convergenza sono sicuramente la tassazione progressiva dei redditi e l’impiego di risorse nell’istruzione, anche se, dice Piketty, da sole possono risultare insufficienti quindi vanno coniugati con altri importanti fattori cioè con un processo di diffusione delle conoscenze e di investimento sulla formazione, la mobilità del capitale e del lavoro, la crescita del “capitale umano” e una certa regolamentazione del paradigma domanda-offerta che una forte capacità di incidere.
Relativamente ai fattori di divergenza indica elementi che abbiamo già trattato quindi:
-la mancanza di formazione dovuta alla scarsità di investimenti, che penalizza gruppi sociali meno abbienti e li relega tra coloro che sono incapaci di beneficiare della crescita.
Il crescente e ingiustificato divario nelle retribuzioni che rappresenta un elemento di disuguaglianza sociale e che genera profonda ingiustizia.
-l’accumulazione dei capitali che in un’economia a basso tasso di crescita (tipico quello italiano che si attesta mediamente tra 1 e 1,5% negli ultimi trent’anni) crea squilibri favorendo rendimenti del capitale e accade che il tasso di rendimento del capitale è costantemente superiore alla crescita. Conseguentemente i patrimoni ereditati si ricapitalizzano molto più velocemente e con costanza rispetto al reddito da lavoro. Esprime questo fattore con la formula
Sulla crescita, Piketty si discosta dall’idea di molto suoi colleghi economisti che la ritengono decisiva per limitare le disuguaglianze, non nega la sua utilità ma dice che può essere contemporaneamente sia fattore di convergenza che di divergenza.
Tornando alla formula r > g osserva che il meccanismo di accumulo di capitale si realizza ampio in presenza di forte crescita, ma che persiste efficacemente anche in periodi di bassa o nulla crescita in virtù dei “rendimenti cumulati”, ossia le rendite che il patrimonio comunque realizza e che anche in assenza di crescita sono un fattore di disuguaglianza. Questo sia nel medio che nel lungo periodo, mentre una buona crescita, in qualche modo, fa perdere peso al patrimonio ereditato, diminuendolo.
Non esclude tuttavia che anche in presenza di bassa crescita, il fattore patrimoniale possa essere meno incidente, questo in ragione del fatto che, pur non arrestando la sua crescita, in termini generali il patrimonio varrebbe comunque meno.
La crescita, conclude, da sola, non è in grado di risolvere i problemi, non può essere la soluzione. Posto che la struttura delle disuguaglianze può variare da Paese a Paese e che qualunque azione non può prescindere da questa particolarità, Piketty dice che è essenziale e determinante l’azione politica per ridurre le disuguaglianze e, volendo indicare concretamente delle soluzioni, afferma che l’azione politica dovrebbe orientarsi verso provvedimenti che in maniera esemplificativa così sintetizza :
- Istruzione quale fattore decisivo per combattere le disuguaglianze, emancipare i cittadini ponendoli in grado di acquisire competenze e mettendoli in condizioni di pari opportunità
- Investimenti pubblici ed infrastrutturali che diano slancio alla domanda, curino ciò che penalizza i lavoratori e che produce disuguaglianza cioè disoccupazione, salari deboli, riduzione del welfare e dei servizi.
- Tassazione progressiva e una patrimoniale, abbiamo visto le proposte numericamente concrete di Piketty, si tratta di una metodologia attraverso la quale gli investimenti pubblici vengono finanziati con “redditi da capitale” in modo da redistribuire evitando che l’accumulo di ricchezza abbia un ritmo superiore alla crescita globale, creando così ulteriori disparità e disuguaglianza. L’idea è quella di eliminare le “tassazioni favorevoli”, delle plusvalenze da capitale e questo per non favorire i soli ricchi, non alterare la crescita. Intervenire quindi sul capitale accumulato introducendo tasse di successione sui patrimoni ereditati come già indicato nel paragrafo proposte di Piketty.
- Regole del gioco, intervenire sulle regole del gioco per prevenire la discriminazione del reddito di mercato e realizzare una redistribuzione con carattere di parità di accesso ai beni ritenuti fondamentali.
Sono tutti provvedimenti che un altro economista, Joseph Stiglitz condivide, in “Invertire la rotta, disuguaglianza e crescita economica” tratta questi temi con puntuale similitudine. Si tratta di proposte la cui realizzazione è piuttosto problematica, quasi utopistica data la complessità di un’azione che risulta necessariamente globale, di questo Piketty è ben cosciente, intitola infatti la sua opera “Il Capitale del XXI secolo” con l’idea che i dati e le riflessioni in essa contenuti possano rappresentare uno stimolo, un divenire che ampli la discussione e la ricerca delle soluzioni alle disuguaglianze, perché conclude “La questione della distribuzione, che è tema fondamentale per la tenuta dei sistemi democratici, è troppo importante per essere lasciata ai soli economisti, sociologi, storici e filosofi, è tema che interessa tutti ed è meglio che così sia”.
Giuseppe Ciardullo
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