Casale e i Gonzaga

Nel dicembre del 1995 ebbi occasione di visitare a Palazzo Te, a Mantova, la mostra “I Gonzaga, Monete, Arte, Storia”, imperniata sull’esposizione di centinaia fra le più belle monete battute dalle zecche gonzaghesche e su tutti gli altri aspetti ad esse collegati: pesi, misure, finanza, legislazione tributaria, tecniche di coniazione e soggetti incisi.

Fra questi ultimi erano predominanti due in particolare, “Il monte Olimpo” e “il Sole raggiante”, simbolo della fedeltà dei duchi di Mantova all’impero e ai patti stipulati con i propri alleati.

Un altro soggetto, caro soprattutto a Vincenzo II (1597-1627) furono i cani. Grandi appassionati delle razze canine fecero immortalare alcuni loro levrieri su monete di grosso modulo(diametro).

Uno spazio specifico della mostra fu dedicato poi alle tecniche di battitura adottate dalle zecche secoli XIII- XVII. Una serie di documenti permetteva al visitatore di seguirne l’evoluzione, passando dall’impiego di martello e punzone all’uso della pressa a bilanciere, che consentiva di coniare monete non più irregolari, ma di una certa perfezione.

Grande attenzione venne dedicata all’incisione dei soggetti, volti di principi e immagini in generale, in epoca rinascimentale e barocca, nelle zecche italiane operarono dei veri e propri artisti, che trasformarono le monete in vere e proprie opere d’arte, oltre ad essere già i primi prodotti industriali in serie e i primi mass media della storia.

Un certo spazio fu riservato poi a Gasparo Scaruffi(1515-1585), uno dei primi economisti dell’età moderna.

Lo studioso, per quanto concentrato sulla natura e la funzione della moneta, era troppo influenzato da idee e pregiudizi di un’epoca in cui i principi economici si intrecciavano con miti come quello della “pietra filosofale” che trasformava tutto in oro, aumentando la ricchezza del principe e sgravando i sudditi dalle tasse.

Scaruffi affermava che, mentre le misure di peso, lunghezza, capacità ecc. erano fisse, quella monetaria si rivelava mobile, perché i veri valori (le monete d’oro e d’argento) erano misurati da quelle di bassa lega o di rame, la moneta del popolo, che, deprezzandosi di continuo, causavano una costante rivalutazione dei pezzi aurei e d’argento e costanti aumenti dei prezzi.

Ciò dava ai bassi ceti, possessori di moneta vile, la possibilità di influenzare il mercato dei valori e quello che avrebbe dovuto essere un metro invariabile diventava variabile, con conseguente disordine, frodi e falsificazioni.

La soluzione era quella di legare il valore delle monete a quello del metallo nobile contenuto in quella grossa, consentendo una maggiore stabilità della circolazione e maggiori entrate al principe.

Scaruffi però non teneva conto di alcune variabili, come ad esempio la svalutazione dell’argento in seguito al grande flusso di questo metallo dalle ricche miniere americane in Spagna e da qui in tutta Europa, che innalzò i prezzi per tutto il secolo XVII.

Continuando la visita, il pubblico non poteva non incontrare il Monferrato. Acquisito da Federico II (1500-1540), marito di Margherita Paleologo, ultima erede della dinastia marchionale, questo dominio diede ai Gonzaga maggiore ricchezza e prestigio, grazie alla maggiore estensione e alla presenza di più realtà urbane, anche se più piccole (Casale, Acqui, Alba, Moncalvo) rispetto al mantovano, caratterizzato da una grande capitale circondata però da un vasto territorio agrario.

Gli ambasciatori veneziani, uomini di intelligence oltre che diplomatici della Serenissima, stimarono che le entrate del Monferrato rendessero 15.000 ducati annui al tempo di Federico, 20.000 durante la reggenza di Margherita e 120.000 al tempo di Guglielmo Gonzaga “in dazi e la maggior parte in vini dei quali abbonda il paese grandemente e son tutti delicatissimi ed hanno esito per tutte le parti.”

Nel decennio 1577-1587 entrarono nel camerino ferrato 2.618.078 lire provenienti da Casale, pari al 50% di tutte le entrate ducali.

Ciò ha fatto sì che si paragonasse il Monferrato alle “Indie” dei Gonzaga, come lo furono per la Spagna e il Portogallo i domini americani e le Molucche.

Un vero e proprio sfruttamento delle nostre terre fu alla base dello splendore del ducato di Mantova, reso ancora più ricco dalla saggia politica finanziaria di Guglielmo.

Tutto però cominciò ad incrinarsi con il suo successore Vincenzo I, passato alla storia come campione di dissipazione. Anche se questo fu figlio del suo tempo.

Le spese di mantenimento di una corte di 700 persone, quelle di equipaggiamento del contingente militare impegnato contro i turchi in Ungheria, la costruzione della cittadella di Casale, la passione per i doni e il gioco appartenevano al costume dell’ostentazione e della magnificenza, comune a molti principi di quell’epoca.

La passione per il gioco di Vincenzo I era quasi aneddotica: nel 1592, durante il suo viaggio a Ferrara, durato una ventina di giorni, il duca spese 8666 lire per saldare debiti di gioco e 3460 in mance e doni vari.

Per portare avanti la costruzione della cittadella ci casale spese in pochi anni un milione e mezzo di lire, volendo trasformare la città nella più formidabile fortezza europea, considerata da re e generali la “chiave d’Italia”, con la quale poter controllare la penisola e in particolare Milano.

Con Vincenzo inizia anche il declino non privo di splendore ma sempre più caratterizzato da scarsità di risorse tanto da costringere gli ultimi Gonzaga a vendere le collezioni di quadri e monete antiche.

Un declino che avrà il suo momento più drammatico nella guerra di successione del 1628- 1631.

Egidio Lapenta

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