C’era una volta

Sì, c’era una volta la Scuola.

Ai tempi dell’Unità d’Italia, quando ero piccola, i laureati erano una percentuale limitata, non molte erano le famiglie che potevano permettersi i figli all’Università e il diploma era già una conquista.

I Ragionieri trovavano il posto in banca, magari con una piccola raccomandazione, e i migliori si laureavano in corso d’opera facendo carriera. I loro figli avevano l’opportunità d’un impiego per diritto ereditario ed anche le vedove se ne avevano i requisiti. I Geometri avevano diverse prospettive aperte e i Maestri la sicurezza del ruolo grazie ai concorsi biennali. Chi usciva dalle scuole professionali trovava facilmente un’occupazione.

Ricordo “Il Professore”, ospite di riguardo in uno dei salotti dove si riceveva per il tè del venerdì, come gli Inglesi, le signore con i guanti e la veletta, strette nella guepière per dare risalto alla linea dei tailleur. Il Francese si sprecava nel linguaggio della moda anche per denominare i tessuti.

Il Professore insegnava Matematica e Fisica al Liceo e a lui spettava la poltrona d’onore a forma di trono per la sua autorevolezza. In occasione delle udienze immagino venisse predisposto un inginocchiatoio per i genitori.

Non si discostava di molto la deferenza verso la Maestra… una professione ambita dalle donne che virtù dell’orario e delle vacanze estive prolungate, consentiva di dedicarsi alla famiglia. A nessun genitore sarebbe venuto in mente di contestarne il metodo.

Poi arrivò il 68’, e sappiamo bene quante malefatte siano seguite, a partire dalla riforma Berlinguer che evocando un errata interpretazione del concetto di democrazia introdusse il genitorame nella scuola: fu come dare le brioches al popolo che in cambio prese la Bastiglia, decapitò il Re e gli Insegnanti che pensarono fosse cosa buona e giusta.

Di contro, fu abolita la democrazia del grembiule, l’unica a garantire l’uguaglianza almeno una volta nella vita ad alunni e insegnanti.

I Sindacati proclamavano continui scioperi con “piattaforme” logorroiche che a leggerle tutte ti veniva un prolasso mentale fino a quando, introdotta la trattenuta sullo stipendio, la foga terminò di colpo. Restò “l’Autonomia” a produrre riunioni interminabili dove i più sapienti con ego sviluppato si confrontavano per ore su ideali improduttivi ascoltando se stessi, che tanto l’indomani tutti tornavano a fare due più due, salvo proporre inutili quanto sfibranti corsi d’aggiornamento fai da te. Un mare i soldi sprecati. Pochi di noi mantenevano spirito critico ed una salutare ironia.

Ricordo che in una di queste assemblee del sabato dove veniva proposta qualsiasi cosa volta a farsi danno, una collega dall’indomita intelligenza, stremata dall’inutile chiacchiericcio, salì all’improvviso su una sedia intonando con voce vibrante “Venite adoremus”.

Quando il silenzio cadde come una mannaia sulla platea, riprese con “vedete come sempre è forte il richiamo della Chiesa?!!”. Tutti colsero l’attimo per prendere la via della porta.

Fuggii per rifugiarmi in una scuola di collina dove, con una classe di otto alunni, feci diventare intelligenti anche i banchi, insegnando la grammatica, la composizione, il riassunto scritto e orale, la matematica e il dettato ogni mattina come una preghiera, caduti in disuso altrove quali “strumento antidemocratico e repressivo “. Risultato: una generazione di asini con particolare riferimento all’abuso del così detto “voto politico” all’Università.

Intravedo ora una pericolosa tendenza già alimentata dall’uso eccessivo dei social: il genitorame si costituisce in gruppi di consultazione e proposizione, una vera e propria invasione di campo consentita, più che tollerata, dagli insegnanti smarriti che, non ritrovando più se stessi, si confondono come un tempo in un malinteso concetto di democrazia.

Ora temo che il contagio non risieda solo nel Covid-19, ma nell’elaborazione di strumenti metodologici suggeriti dalla didattica per via telematica, facendo di necessità una virtù spacciata come nuova frontiera dell’insegnamento.

La Preside di Liceo si dichiarava entusiasta della possibilità di sostituire i libri i con la lettura on line ispirata dalla “sorprendente” circostanza che la scuola sta vivendo. Rabbrividisco al pensiero di privare i ragazzi dell’emozione di sfogliare i libri di testo all’inizio del nuovo anno, della curiosità che essi originavano, di un rapporto fisico con la lettura di cui è impossibile privarsi e che permane come un’impronta nel percorso della vita.

Difficile non temere un’altra generazione di asini.

Pochi giorni fa qualche detrattore aveva gridato allo scandalo per la sospensione delle lezioni durante le vacanze pasquali: niente riposo per gli sherpa impegnati a preparare e divulgare i contenuti del programma con un metodo non facile sia per il diverso approccio con la didattica sia per il mezzo non da tutti padroneggiato cui ci si deve adeguare. Il motivo? E come facciamo con i figli in casa senza la benedizione dei compiti e dei collegamenti quotidiani?

Rulli, rulli… chi l’ha fatti li trastulli”.

Antico proverbio toscano.

Marina Elettra Maranetto

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