Chi uccide chi?

In una conferenza di poco tempo fa fa per Oasis (un’intuizione profetica del cardinale Scola, che riprende la triplice preghiera di Abramo: per i circoncisi, per Isacco e per Ismaele; una preghiera fondata sulla conoscenza, una sistematica lotta al pregiudizio ) Massimo Cacciari pone una domanda a noi tutti: Possiamo tornare a tradurci ? Siamo ancora capaci di tradurci?

Abbiamo ancora in noi la volontà di conoscenza dell’altro, il desiderio di incontrarlo, di interpretarlo traducendolo nella propria lingua?

Gli studiosi islamici indicano proprio nella perdita della capacità di traduzione nell’Islam la sua stessa crisi.

Dunque l’invito è oramai per noi tutti, pena la distruzione di tutti.

Vogliamo davvero conoscere il linguaggio dell’altro e interpretarlo all’interno del nostro e viceversa? Con tutti i rischi e i pericoli della traduzione, che vuol dire anche tradimento.

E’ solo nel dialogo che la giustizia può fare il suo mestiere, la guerra, ogni guerra non ha nulla a che fare con la giustizia. Non esiste guerra giusta!

Dobbiamo tornare a volerci incontrare, conoscere, ospitare, capaci di accogliere tutte le contraddizioni e a soppesare gli opposti che ci abitano.

La parola hostis, straniero, nemico, è etimologicamente connessa con la parola hospes, ospite.

Confucio già suggeriva, affinché il regno del sud potesse rifiorire, di tornare al valore primigenio della parola. Farci toccare dal verbo che arriva dal silenzio.

E’ solo dal silenzio che potremo tornare ad essere umani.

Per inoltrarci in questo cammino vorrei riprendere un tema che sento strettamente connesso a questo, ed è il tema che anni fa, precisamente nel 2009 Luigi Zoja, psicanalista junghiano e sociologo, trattò in un piccolo prezioso libro che titolava: la morte del prossimo.

“La lontananza dagli altri – scrive Zoja- causa una privazione che è un vero danno psichico. L’uomo solo incontra la depressione e, a circolo vizioso, l’uomo depresso è un uomo cui mancano la forza e la spinta per andare incontro al prossimo. In natura, all’interno di piccoli gruppi , guardare gli altri è la sua principale fonte di apprendimento. Konrad Lorenz e l’etologia umana hanno osservato che gli istinti sociali sopravvivono senza difficoltà in zone poco popolate: alle persone nuove si riservano curiosità e ospitalità. Ma nelle grandi città quegli istinti sono permanentemente sconvolti.”

Il sistema in cui viviamo, soprattutto in questi ultimi caotici anni, ha ulteriormente e disumanamente propagandato, con il tema della bio-sicurezza, la distanza sociale, dove sottilmente viene indicato che evitare gli altri è condizione per sopravvivere.

Instillare la paura è il modo più efficace per far uscire dall’umano i suoi peggiori istinti, offrendogli un salvatore, a patto di un’obbedienza cieca e l’uccisione di un pensiero lucido e critico.

“Quando nel 1949 George Orwell pubblico 1984: dagli schermi del Grande Fratello – l’autorità onnipresente – entrava nelle vite private.

Nel 1953 Fahrenheit 451, di Ray Bradbury, descrisse una società in cui i libri erano vietati, le persone vivevano circondate da schermi e li chiamavano “ la mia famiglia “.

In entrambi i racconti, il cittadino non notava più quando il potere eliminava i vicini: vicino era ormai solo lo schermo.”

Una, tra le numerose forze in atto per renderci sempre più isolati e controllabili, pensate ai treni, hanno abolito gli scompartimenti nei quali si formava complicità. Ora ci offrono schermi individuali, che rinchiudono ognuno nel proprio posto, un altro modo per evitare il contatto degli sguardi. E non è uno sguardo l’innamoramento?

Invece di innamorarci, di sognare insieme, abbiamo creato il culto delle persone famose.

“L’uomo viene trasfigurato, c’è sempre bisogno di adorare qualcuno, al posto di Dio c’è ora l’uomo, ma non è più un uomo vicino, una vista: è una visione.

Da quando l’uomo è salito sul podio si è trasformato in modello . E un modello deve essere ammirato, non entrare in relazione.

“E’ un amante intransitivo – scrive ancora Zoja – ci si aspetta che ami se stesso , ma in modo diverso da come descriveva il comandamento.

La vergogna del narcisismo- che accomunava gran parte delle culture tradizionali- si è sbriciolata sotto le spallate del mercato, che vende il superfluo solleticando autocompiacimento. Così il pronome IO ( in inglese I ) si è trasformato in prefisso di prodotti di successo: iPod, iBook.

La parola egoista che era un’offesa, è ora un profumo Egoist, mentre un altro profumo si chiama Envy me, invidiami, perché l’invidia è diventata una qualità.”

“Alla fine dell’ottocento, quando l’isolamento già avanzava – non a caso nasce la psicanalisi – le persone più sensibili erano lacerate da una sofferenza cui si assegnava il nome di nevrosi.

Attraverso la psicanalisi ricostruiranno un rapporto umano, ma non con un prossimo, ma con un professionista.”.

Via via il bisogno di vicinanza è sceso nell’inconscio, oggi l’autosufficienza pare la forma più evoluta di vita.

Ma oggi, con Dio, è morto anche il prossimo, e il prossimo chi è se non noi, noi che ci dovremmo fare prossimo all’altro ?

Qui l’interconnessione di tutto e tutti si fa evidente, a volerla vedere.

Ama il prossimo tuo perché te stesso, diceva uno non facile a dire trombonate.

E una domanda mi si presenta: oggi che quotidianamente vediamo gente che esce di casa e uccide: chi con auto in corsa folle, chi con bombe, chi con genocidi, chi con coltelli da cucina: chi davvero vogliamo ammazzare ?

L’altro da noi o la nostra parte ormai divenuta a noi stessi insopportabile ?

Ma affondo ancora di più il coltello nella ferita: non esiste un O-O, ma solo un E-E.

Dunque stiamo forse eliminandoci da soli ?

di Patrizia Gioia

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