1)Piccola premessa
Prima di entrare pienamente nel merito dei problemi connessi agli scenari di guerra e pace che ci stanno più a cuore – su cui proverò a dire, più avanti, la mia opinione – vorrei seguitare nelle mie meditazioni su guerra e pace legate alla storia del pensiero politico, in tal caso “soprattutto” contemporaneo. Provo a individuare taluni modelli di pensiero politico su pace e guerra, vedendo però come abbiano funzionato nella storia concreta. Quest’apertura alla verifica delle idee nella prassi dovrebbe essere l’elemento di novità pure rispetto alla mera storia del pensiero politico: storia cui però farò solo taluni richiami, precisi ma di sorvolo. Naturalmente non potrò dire niente di compiuto, perché sto solo provando a fare un ragionamento, sia pure documentato.
Il presupposto – per dirla in modo un poco spiccio – è che il tipo di pensiero politico su guerra e pace che risulti maggiormente capace di interpretare il mondo, e pure di favorire in esso la pace, sia quello da valorizzare di più anche come chiave per capire e modificare le guerre d’oggi che sconvolgono maggiormente il mondo (la russo-ucraina e l’israelo-palestinese).
Al proposito individuo cinque indirizzi, che tratto brevemente uno per uno, sempre sorvegliando i fatti che debbono suffragare, o confutare, un singolo indirizzo: 1) Pacifismo etico-religioso; 2) Internazionalismo “proletario” socialista, comunista e marxista; 3) realismo nazionalista; 4) realismo conservatore; 5) democraticismo e federalismo.
2) La via morale e religiosa alla pace nel mondo
Questo è l’approccio di tipo primariamente morale e religioso, in specie buddhista, per taluni aspetti induista e soprattutto cristiano, qui con particolare riferimento alla confessione cattolica. Prego tutti di non correre subito mentalmente a contraddirmi pensando ai tanti casi di fatto che potranno pure non corrispondere a quel che sto per dire, ricordando che vengo indicando linee di tendenza, che valgano per la gran parte dei casi, nel mondo contemporaneo, ma certo non in tutti (il che sarebbe impossibile, perché le idee, tanto più politiche, sono mappe di navigazione, soggette a molte variazioni).
Ciò posto noto che per l’approccio che chiamo morale (o morale-religioso), pace e guerra dipendono da virtù o vizi del genere umano. In forma pura, in campo cristiano questo è l’ideale del Vangelo, con i ben noti passaggi sulla pace in terra, sull’amore pure per i nemici, e sulla non violenza, ripresi creativamente tra XIX e XX secolo da Tolstoj e soprattutto da Gandhi[1] (quest’ultimo legato a quella forma di induismo che si chiama jainismo).
Per tale indirizzo il rapporto amico-nemico, “mors tua vita mea”, inteso come legge della vita è un’aberrazione morale, e il pacifismo è la scelta morale per ripristinare l’ordine naturale-divino delle cose. Naturalmente il radicalismo pacifista, nel senso della scelta di vita basata sulla fratellanza, proprio dei Vangeli, è stato presto modificato in senso più realistico, man mano che il cristianesimo diventava religione dominante; ma il Vangelo ha seguitato ad essere sempre predicato, per cui la tendenza di cui si è detto è seguitata, ora come un fiume carsico e ora come un grande fiume. Anche per chi voleva “precisarlo e approfondirlo”, in realtà per rettificarlo, di lì doveva passare.
La modifica fondamentale rispetto al Vangelo, risalente alla Città di Dio (410/430) di Agostino, ma sviluppata soprattutto da Tommaso d’Aquino nella Summa teologica (1262/1274), concerne il passaggio dalla pura non-violenza tra gli uomini alla teoria della “guerra giusta” (bellum justum), di difesa e simili[2], che però nell’epoca delle guerre tecnologiche distruttive, eventualmente atomiche, che destabilizzano il mondo stesso, e anche nell’epoca attuale dell’inequivocabile globalizzazione (e connessa interdipendenza) del mondo, ha dato luogo piuttosto al “diritto contro la guerra” (jus contra bellum), che porta alla condanna della guerra come risposta comunque disumana. L’iter recente si è sviluppato dall’enciclica fondamentale di Giovanni XXIII del 1963, Pacem in terris, alla costituzione pastorale del Concilio Vaticano II Gaudium et Spes (1965).
In proposito è molto rilevante l’azione recente di papa Francesco (Jorge Mario Bergoglio), con particolare riferimento al documento sulla fratellanza umana firmato con il Grande Imam musulmano a Dubai nel 2014, incorporato nella sua enciclica più francescana, Fratelli tutti, dell’ottobre 2020[3], e confermato si può dire in omelie continue in questi tempi di conflitto globale, dal papa detto “guerra mondiale a pezzi”: guerra in specie tra Ucraina e Russia, e tra Israele e la Palestina (quest’ultima più o meno identificata, dallo Stato ebraico, col gruppo terroristico di Hamas, e atrocemente bombardata).
Comunque in un contesto ormai globalizzato, subito colto dalla preveggente chiesa cattolica, il pacifismo è diventato l’istanza fondamentale, tale per cui la stessa guerra formalmente giusta è ritenuta qualcosa di male in sé che non si sia potuto evitare e che bisogna far finire al più presto.
In certo modo la dottrina “recente” sviluppatasi sempre più dal 1963 ad oggi, tenendo appunto conto del carattere globalizzato delle guerre d’oggi rifiuta ogni giustificazionismo in materia di guerra, e mira ad una vera comunione dei popoli. Su ciò, a causa del mondo ormai globalizzato, si tende a superare l’idea di guerra giusta e a condannare la guerra in sé come male, com’era nel Vangelo, ma naturalmente in modo ben altrimenti argomentato. Inoltre è fortissima la tendenza a superare più o meno totalmente la logica (o l’illogica) degli Stati nazionali, verso forme di convivenza internazionale della comunità umana, come quelle che valorizzano in particolare le Nazioni Unite, di cui si auspica la progressiva trasformazione in governo mondiale sulla base di un diritto alla pace e giustizia di tipo universale.
Sono da tanto tempo assai rispettoso di tale posizione, che influenzando in senso pacifistico universale immense folle, ha pure un valore politico non da poco. Ritengo però anche che essa – se non sia unita ad altri indirizzi più concreti – sia impotente, come sempre, in tempi di barbarie. Gli appelli nobilissimi e continui del papa per la pace, anche carichi di riferimenti concreti e di un vero pathos universalmente umano, rischiano di parere prediche inefficaci, anche se la chiesa cattolica, cui qui mi sono prevalentemente riferito, prova pure ad utilizzare la propria influenza per favorire il dialogo diplomatico in funzione della pace tra contendenti, con generosa interposizione tra loro a fini di conciliazione. Comunque su questi temi la chiesa ha maturato posizioni molto avanzate per la pace, che unendosi a movimenti più politicamente impegnati in tal senso hanno il loro peso storico concreto. Ma non pare che tali posizioni possano guidare più che tanto la storia concreta del mondo, soprattutto quando il conflitto coinvolga Stati internazionalmente importanti. Tuttavia ogni spirito riformatore può solo rallegrarsi di tali posizioni, pacifiste e solidariste, e aiutare a realizzarle anche senza essere minimamente cristiano o cattolico in senso stretto.
(Segue)
di Franco Livorsi
- L. TOLSTOJ, La mia fede (1884), con Prefazione di P. C. Beri, Giorgio Mondadori, Milano, 1984.M. K. GANDHI, Antiche come le montagne, a cura di S. Radhakrishnan, Comunità, Milano, 1963; Teorie e pratica della non-violenza, a cura e con un saggio introduttivo di G. Pontara, Einaudi, 1973; G. PONTARA, L’antibarbarie. La concezione etico-politica di Gandhi e il XXI secolo, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2019. ↑
- A. AGOSTINO, La città di Dio (410/430), a cura di C. Carena, Einaudi-Gallimard, Torino, 1992.TOMMASO D’AQUINO, La Somma Teologica (1262/1274), Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 2014, tre volumi. ↑
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GIOVANNI XXIII (Angelo Roncalli), Pacem in Terris (1963), Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo (Milano), 1978.
FRANCESCO Papa, (Jorge Bergoglio), Fratelli tutti. Sulla fraternità e l’amicizia sociale, con Introduzione di A. Spadaro, Marsilio, Venezia, 2020. ↑
Ottimo e istruttivo