Città Futura sostiene le ragioni della “Casa delle Donne” di Alessandria

Prima di tutto il comunicato del collettivo (mi piace riprendere questo termine di un tempo) della “Casa delle Donne”, poi i commenti. Solo una anticipazione: la redazione di Città Futura è con voi e condivide le ragioni che avete espresso, oltretutto in modo pacato e articolato. I motivi, ovvii …ma di questi tempi è meglio chiarirli, alla fine. Buona lettura.
Non è nostra intenzione abbandonare la Casa delle Donne
Il 31 luglio il Consiglio Regionale del Piemonte ha deliberato la nomina di una commissaria straordinaria deputata alla gestione dell’edificio che ospita, dal 9 giugno 2018, la Casa delle Donne.
Quando siamo entrate nell’ex asilo di piazzetta Monserrato abbiamo trovato una struttura chiusa da più di un anno, abbandonata, piena di muffa e rifiuti. In quella stessa estate abbiamo rimesso in piedi l’edificio con lavori di straordinaria e ordinaria manutenzione e lo abbiamo fatto insieme a tante persone che hanno fin da subito creduto nel progetto di una Casa delle Donne. In questi due anni ci siamo prese cura di quelle mura, le abbiamo rese vive con le attività, gli incontri, le presentazioni, gli sportelli, gli eventi culturali.
La condizione di limbo giuridico in cui la struttura versa da diversi anni è frutto della mala-gestione dell’ultimo consiglio di amministrazione dell’IPAB e del disinteresse mostrato dalle amministrazioni regionale e comunale in questi anni. Quando – forti delle oltre 3000 firme raccolte in città – abbiamo presentato la richiesta di uno spazio in cui aprire la Casa, la giunta comunale ci ha risposto di non avere strutture a disposizione, probabilmente dimenticando di essere l’ente che avrebbe dovuto prendere in carico la struttura di piazzetta Monserrato.
Con la delibera della scorsa settimana la Regione, responsabile degli Istituti di Pubblica Assistenza e Beneficienza (IPAB), è tornata dopo anni di silenzio ad occuparsi dell’edificio, incaricando ufficialmente l’avvocata alessandrina Barbara Rizzo di ricostruire la storia giuridica e amministrativa dell’IPAB e, dulcis in fundo, di procedere allo sgombero e porre fine all’esperienza della Casa delle Donne.

La cosa che più ci fa arrabbiare è che si vuole spazzare via la storia di Non una Meno Alessandria senza neanche proporre una progettualità futura per lo spazio di piazzetta Monserrato, come se l’unico intento fosse quello di porre fine all’esperienza della Casa delle Donne.  
Non ci stupisce, invece, che ciò che è stato fatto in questi anni non sia stato minimamente riconosciuto dalle Istituzioni: dalla battaglia per la difesa della 194 dalla mozione Locci-Trifoglio, alle donne accolte dagli sportelli e accompagnate, dalle moltissime iniziative culturali e politiche, al percorso di avvicinamento e partecipazione al primo Pride cittadino, dalla mobilitazione di Verona contro il Congresso Mondiale della Famiglia, alle manifestazioni nazionali e locali contro la violenza di genere e sulle donne.

Certe che saranno ancora tante (come già lo sono state) le persone che avranno voglia e necessità di attraversare la Casa delle Donne, ci prepariamo a riaprire le porte a settembre con tante iniziative tra cui la terza edizione del festival Mia: un altro genere di arte.
Sappiamo che un luogo d’incontro, riflessione e iniziativa culturale e politica che abbia come perno del proprio agire il contrasto alla violenza di genere è, oggi, ancora necessario. Per questo non lasceremo la Casa delle Donne.

Che dire? Un’operazione che sa tanto di ripicca e di scarsa sensibilità per quanto ha fatto e ha rappresentato questa bella realtà della “Casa delle Donne” . Una macchia allegra di colore e cultura, propositiva e profonda nel tipo di proposte. Un luogo dove ti costringevano a ragionare sulle tue contraddizioni, su come vivi il rapporto con le donne, con le mogli, con quelle che ti sono simpatiche e ancor più , con quelle che senti antipatiche. Che ti stanno sopravvanzando nel lavoro, che vedi più concentrate, più mature. Una “femminilità” che spaventa chi è sprovveduto, insicuro, immaturo, un problema per chi non sa accettare gli altri, le altre e, quindi, in ultima analisi, nemmeno se stesso. E’ vero, “Non una di meno” ha saputo recuperare uno spazio altrimenti vuoto, anzi morto e sepolto. Così come “morta”  si vorrebbe questa città, con sempre meno gente, con sempre meno luoghi di aggregazione, di sorriso, di amicizia, di riflessione. Una “città grigia” nella peggiore accezione del termine, a cui queste ragazze, queste donne, questi uomini  , hanno saputo dare un’anima. E’ vero che ci sono stati pochi, se non nessun , contatto per trovare soluzioni. E queste si devono trovare, utilizzando al meglio la struttura, per fare teatro, cinema, recitazione, scuola, per fare inclusione. E’ sufficiente ragionare un pochino e provare a mettere il naso fuori dal proprio guscio.
“Inclusione”… quasi un sinonimo della stessa “Casa delle Donne”. “Non una di meno”, “non uno di meno” è un inno all’inclusione. E’ il superamento di steccati, di paure, abitudini, contraddizioni e atteggiamenti falsi. E’ la capacità di saper accogliere, anzi…di saper vedere e ascoltare prima ancora di accogliere. Con l’accoglienza come ultimo tassello di un percorso di sostegno e fraternità che sta sempre più trovando ostacoli. Questi sono i nostri motivi che ci portano a sostenere le amiche (e gli amici) della Casa delle Donne in questo delicato passaggio. Come si dice nei film di Totò (che da questa vicenda avrebbe ricavato materia per mettere alla berlina parrucconi e passatisti) “a disposizione”.

3 Commenti

  1. Concordo col commento scritto dalla Signora Barberis con cui ho condiviso l’esperienza di volontaria presso l’Asilo Monserrato.
    Ritengo che il precario stato igienico trovato nei locali sia da attribuire al successivo uso che ne è stato fatto nonchè dal periodo di abbandono.
    L’Asilo Monserrato è stato per anni un punto di riferimento nel quartiere, e non solo, per ragazzi e famiglie: vorrei che non fossero dimenticate l’amorevole cura e dedizione delle Suore e di quanti le hanno affiancate nella loro opera

  2. Mi unisco al commento della Signora Barberis con la quale ho condiviso l’opera di volontariato presso L’Asilo Monserrato. Ricordo con nostalgia quell’esperienza che mi ha permesso di essere di aiuto a tanti bimbi e a tante famiglie.
    Le Suore hanno sempre mantenuto l’edificio in buone condizioni sia a livello strutturale che igienico, se i locali sono stati trovati in cattivo stato la causa è, probabilmente, da attribuire a quanti successivamente ne hanno goduto sporadicamente per manifestazioni varie nonchè al breve periodo di totale abbandono.

  3. A commento dell’articolo sulla “Casa delle Donne” (ex Asilo Monserrato) e in qualità di volontaria che ha prestato la sua opera per anni, prima come insegnante di doposcuola e poi di italiano alle donne straniere, ritengo opportuno fare alcune osservazioni. L’edificio è di proprietà comunale ed era gestito dall’IPAB (Istituto Pubblica Assistenza e Beneficenza); le suore salesiane hanno per quasi un secolo offerto i loro servigi, occupandosi a tempo pieno della cura dell’infanzia e delle famiglie più bisognose del quartiere e non solo. In tempi più recenti oltre all’asilo, erano stati attivati corsi di italiano per donne straniere, doposcuola, distribuzione abiti e supporto psicologico ad ampio spettro, in perfetta linea con lo spirito di Don Bosco.
    Negli anni, col contributo dell’Amag, dell’Ana (Associazione Nazionale Alpini) e di donazioni private sono stati eseguiti lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione quali, ad esempio, la pavimentazione del cortile, la “cucitura” della muratura (lato Via Milazzo) con tiranti in Diwidag e imbiancatura. I locali erano tenuti in uno stato di perfetta igiene. Desidererei sapere quali sono i lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione eseguiti dalle occupanti.
    Personalmente ritengo , in linea di principio, non accettabile il concetto di occupazione in quanto tale. GRAZIE!

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