Conte e Draghi

So bene di contraddire il comune sentire di molti cari amici di “Città futura”, ma a me l’ex premier Giuseppe Conte piaceva poco, anche se quando era alleato di governo del PD ne approvavo in linea generale l’azione: mentre – in quel ruolo di premier – mi era piaciuto Matteo Renzi segretario del PD e capo del governo nei mille giorni in cui aveva governato; e mi piace ora, e molto, Mario Draghi. Tralascio il discorso su Renzi, fatto cento volte, un Renzi a mio parere messo KO – come singolo con un futuro a sinistra – quando ha fondato l’effimero movimento di Italia Viva; così come già si erano fatti male da soli, sul versante opposto, D’Alema, Bersani e compagni fondando Articolo Uno Liberi e Uguali. Il PD, con quelle due ali opposte, ma storicamente complementari all’interno anche loro malgrado, sarebbe ben più forte; e chi dirigeva tali “ali”, a tutti i livelli, pure. Purtroppo la coscienza socialista laburista per capirlo, nel nostro Paese – per complesse ragioni storiche – latita sempre.

Ma torniamo a Conte. Sulle sue qualità politiche, che evidentemente erano state latenti prima che facesse politica, non ho proprio niente da eccepire. È risultato un politico capace, accorto e convincente, dotato di un certo fascino come parlatore, in grado di interloquire senza problemi con gente di primo livello in un italiano, ma pure in un inglese, fluente. Conte ha fatto bene la sua parte come premier, tanto più come premier catapultato ai vertici del potere da un’aula universitaria, ove tra l’altro insegnava, presso l’Università di Firenze, “Diritto privato”, una materia che non è neanche tanto prossima alla politica o all’economia politica. A me ricorda Giulio Andreotti, che non era proprio un signor “nessuno”. Non vorrei in alcun modo dirne male. Solo che non mi sono mai piaciuti i democristiani, tanto più se troppo spregiudicati. In tre anni lo abbiamo visto premier che aveva come Vice il Salvini (oltre a Di Maio, si capisce); poi col M5S e col PD, come nemico giurato di Salvini, sino a cercare di mandarlo sotto processo per certe azioni troppo sopra le righe con talune navi piene di immigrati, e ora come negatore appassionato di cose totalmente approvate due anni prima. Infine, essendo stato mal consigliato, l’abbiamo visto, ulteriormente, cercare i voti mancanti in Senato in casa di Mastella e tipi simili, dopo che Renzi e Italia Viva avevano lasciato la sua maggioranza. Domani chissà.

Ora Conte è diventato il Leader del M5S, anche se a mio parere in quel ruolo deluderà e resterà deluso. La prima ragione è che uno può essere catapultato ai vertici del governo e far bene, perché lo Stato è una macchina rodata, in cui una persona in gamba si può inserire, mentre un movimento politico, oltre a tutto in stato confusionale, forte di parlamentari ma quasi acefalo specie sul territorio, è un che di magmatico, soggetto a tante spinte e controspinte, con cui si deve continuamente mediare ora aggiustando il tiro e ora forzando la mano. Il M5S, oltre a tutto, mi sembra talmente evanescente e dissociato da essere ingovernabile dal centro. Ad esempio tra neanche un mese voteranno tutte le maggiori città italiane, salvo Palermo. Si parla di alleanza col PD, ma per ora non ce n’è l’ombra, e non giurerei che ci sarà ovunque, o quasi, almeno al secondo turno. Conte potrà anche volerlo, ma chi lo starà a sentire?

Dopo il governo Conte, e una crisi di governo che non tornerò a discutere per l’ennesima volta, arrivò al potere Mario Draghi. Renzi l’aveva auspicato, ma il Presidente, Mattarella, dopo aver esperito ogni tentativo per rimettere in piedi la maggioranza messa in crisi dallo stesso Renzi, l’ha scelto. E ha scelto benissimo. Ha dimostrato che nel nostro ordinamento il Capo dello Stato, in condizioni di emergenza ha i poteri di smettere l’abito solito del padre buono della patria che ammonisce i figlioli, o che fa l’onore di casa agli statisti stranieri in visita, per diventare un decisore di prima grandezza. Riscoprirlo, da Napolitano a Mattarella, per me è sempre una lieta sorpresa. Mi mostra che il potere centrale non è debole quanto sembra e spesso temo. Grazie a una lunga storia che ha assegnato un grande ruolo nella nomina del capo del governo dal marzo 1848 ai giorni nostri, prima all’ombra dello Statuto albertino e poi della Costituzione repubblicana.

La scelta di Draghi è stata ed è risultata ottima. Per il suo curriculum, innanzitutto, che l’ha visto professore ordinario di Economia all’Università di Roma, direttore generale del Ministero del Tesoro, governatore della Banca d’Italia e Presidente della Banca Centrale Europea (e tante altre cose anche in America). Come presidente della BCE aveva saputo vincere le resistenze del potente ministro delle finanze tedesche e dei Paesi nordici, inducendoli ad accettare – certo per evitare di sfasciare l’Unione Europea, tanto più dopo l’uscita della Gran Bretagna – l’acquisto di titoli di stato pure decotti, di un Paese come il nostro che oggi ha, ufficialmente, quasi 2700 miliardi di euro di debito pubblico, evitandoci di fare la fine dell’Argentina. Purtroppo gli “astuti” credono che tali cose fossero scontate.

Accettando di diventare Capo del governo, Draghi si era impegnato soprattutto a fare due cose: vaccinare celermente il Paese senza se e senza ma, e fare per l’Unione Europea, a nome dell’Italia, un recovery plan – un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – che non fosse solo un elenco di “desiderata” o impegni com’era stato prima, ma con tutti i crismi atti a farci ottenere davvero i 200 e più miliardi di euro in prestito agevolatissimo da parte dell’Unione Europea stessa. Queste cose le ha fatte e le sta facendo benissimo (tanto che il 5 agosto il primo bonifico da 25 miliardi di euro – mica noccioline – è già arrivato). Per il resto Draghi ha dialogato con tutti, facendo anche accordi con i sindacati. Si è però scontrato sull’obbligo di green pass per i lavoratori delle imprese e delle scuole. Anche su ciò sto con Draghi, per fortuna insieme a un ex segretario generale della CGIL che una volta portò tre milioni di lavoratori a Roma, “un certo” Sergio Cofferati, che il 25 agosto sul “Foglio” ha dichiarato: “Mi sembra una cosa talmente semplice esigere il green pass nelle mense, non so come sia possibile se ne stia discutendo. È la soluzione ovvia, non c’è da stare a pensarci.”

Ma c’è di più. Ed è forse il punto decisivo. Sin dall’inizio, esattamente all’opposto di quel che pensano tanti critici critici da sinistra, questo preteso governo del capitale finanziario ha fatto male alla destra. Notoriamente il centrodestra “da anni” è in testa nei sondaggi. Ebbene, Draghi – non me ne importa niente se nolente o volente – ha subito diviso la destra (cosa non priva di significato se solo si ricordi un poco l’antico “Divide et impera”, che vale sempre): “Fratelli d’Italia da una parte e Lega dall’altra. Poi è emersa una divisione profonda tra Lega di governo e Lega da partito di lotta e di governo, tanto che se Salvini dovesse tener duro sulle sue posizioni, con cui cerca evidentemente di frenare la leadership che Giorgia Meloni ha ormai a destra, il suo partito potrebbe dividersi, e lui potrebbe persino essere costretto a mollare il ruolo di capitano della sua nave. La frattura non è solo legata alla concorrenza tra due leader e movimenti (FdI e Lega), ossia a meri interessi di bottega, per quanto decisivi in democrazia, ma tra capitalismo del nord e populismo di destra. Il capitalismo del nord accetta il populismo di destra come un’allure, un po’ di peperoncino nella pasta, ma ha bisogno di un governo capace di guidare con la massima autorevolezza la navicella dell’Italia, senza se e senza ma, e in Draghi l’ha trovato. E infatti l’economia ora corre. Questo però va bene anche alla sinistra, perché il movimento operaio cresce nelle fasi di espansione dell’economia capitalistica e invece è debole, e prende un sacco di legnate, in quelle di declino. Anche a dispetto delle tante teorie della crisi più o meno catastrofica del capitalismo da Karl Marx a Antonio Negri, pure interessantissime per vedere il rovescio della medaglia del divenire sociale.

Infine va notato che i bocconi amari che la destra populista deve trangugiare concernono proprio i temi su cui essa si è di più caratterizzata, dalla lotta all’immigrazione clandestina (che la contrappone invano all’attuale ministero dell’Interno) a quella delle riaperture facili contro le restrizioni salutistiche imposte dal ministero della sanità e culminate nel green pass sempre più ampio (che l’ha contrapposta e contrappone al ministero della sanità). Sempre invano, perché Draghi resiste bene ai diktat, anche perché è da tutti indipendente. Infine si è manifestata pure una notevole divergenza tra Forza Italia e le posizioni di Salvini: una Forza Italia che nonostante le aperture del “vecchio” Berlusconi alla federazione tra Forza Italia e Lega (per arginare l’urto di “Meloni”), non ne vuole affatto sapere di diventare un’appendice moderata del populismo di destra salviniano.

Per la verità tutto ciò aprirebbe una prateria alla sinistra e al PD. Ma la sinistra pretesa “nuova” si lascia suggestionare dal M5S “di lotta” contro il governo, interpretato dal “Fatto quotidiano”, mentre il PD ha un “capo” tornato a casa, catapultato dalla Scuola di alti studi di politica di Parigi alla testa del PD. Migliorando ulteriormente, Letta a Parigi è diventato un intellettuale di prima grandezza, ma forse sta sempre “troppo sereno” per essere un vero leader. Ha all’inizio posto sul piatto della bilancia alcuni temi straordinari come il ritorno al Mattarellum (maggioritario al 75%) e lo jus soli (che sarebbe manna dal cielo in un Paese di vecchi). Inoltre ora, con il “reddito di cittadinanza” da riformare, avrebbe un enorme spazio tutto da sinistra del XXI secolo. Ma il PD non si sente abbastanza, pur amministrando bene il suo tesoretto del 20% senza onore e senza infamia. Spero però che il PD riesca a darsi un po’ di adrenalina da protagonista storico, che non gioca più che altro di rimessa all’ombra del Governo, perché – piaccia o non piaccia a me o ad altri – in termini di forza politica vera è l’unica reale risorsa dell’area progressista.

di Franco Livorsi

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