Credenza o fede del corpo?

 “La necessità di un cambiamento dell’uomo non costituisce soltanto un’esigenza etica e religiosa, non è frutto unicamente di un’aspirazione psicologica derivante dalla natura patogena del nostro attuale stato sociale, ma è anche la condizione per la mera sopravvivenza della specie umana.

Il vivere bene non rappresenta ormai più da un pezzo la soddisfazione semplicemente di un’esigenza di carattere etico o religioso: per la prima volta nella storia, la sopravvivenza fisica della specie umana dipende dalla radicale trasformazione del cuore umano. D’altro canto, una trasformazione del cuore umano è possibile solo a patto che si verifichino mutamenti economico e sociali di drastica entità, tali da offrire al cuore umano l’occasione per mutare e il coraggio e l’ampiezza di prospettiv necessari per farlo.

Tutto ormai è di pubblico dominio. Ma si verifica un fatto quasi incredibile, ed è che nessun serio sforzo viene intrapreso per scansare quello che sembra un decreto senza appello del destino. Mentre a livello personale nessuno, a meno che non sia un pazzo, può rimanere indifferente testimone di una minaccia all’esistenza di tutti noi, coloro che sono investiti della responsabilità della pubblica amministrazione in pratica non muovono un dito, e quanti hanno affidato il proprio destino alle loro mani continuano a loro volta a non fare nulla.”

Queste parole di Erich Fromm, nel suo libro “Avere o Essere ” del 1976 paiono scritte oggi per il nostro oggi. Nonostante siano trascorsi quasi 50 anni ancora oggi la maggior parte delle persone non sembra accorgersi che il ramo dell’albero sul quale viviamo si sta drammaticamente spezzando. La mancanza di politica onesta, l’abdicare al dovere del cuore- oltre che a quello della ragione –  di medici, giornalisti, scienziati, religiosi…  e il continuare a tenere sotto la sabbia la testa della maggior parte delle persone, sono azioni che toccano l’universo intero .

Continuiamo a credere di vivere in un contesto emergentistico, se invece ascoltassimo i veri dati – non certo passati dalla propaganda in atto- scopriremmo che l’emergenza non è sanitaria, non è per il nostro bene ( ascoltiamo sul web le relazioni al Senato di medici, epidemiologi, scienziati ecc. non allineati al pensiero omogeneizzato e scopriremo qualcosa che continuaiamo a non voler vedere) perchè l’emergenza è per la nostra irresponsabilità, per il nostro voler ancora il deus ex machina che ci risolva i problemi, per la nostra incapacità di prenderci cura l’uno dell’altro riaprendo le arterie vive che scorrono nei nostri cuori e in un corpo che stiamo dando in pasto ai nuovi draghi.  L’aspetto più pericoloso e subdolo di quello che oggi viviamo è il rendere accettabile un intervento tecnologico autoritario sul corpo delle persone, sul nostro corpo! Questo cammino, se lasciato procedere ignorantemente come sta accadendo, può portare a luoghi dove non pensiamo si potrà arrivare . Ma si arriverà.

Raimon Panikkar, un saggio del nostro tempo, da tempo ci dice che sarà la tecnocrazia a guidare le nostre vite, se noi non fermeremo in tempo questa criminale macchina, se ognuno di noi non si sveglierà da questo sonno e non si accorgerà che è la liberazione da questo sistema l’unica via possibile per il futuro dei nostri figli.  Oggi alle torbide acque della tecnocrazia si è aggiunta anche la putrida acqua della finanziocrazia, dove solamente l’io neoliberista capitalocenico può sguazzare felice.

Ma noi ? Noi umani in che acque vogliamo nuotare? e possibilmente come pesci vivi che nuotano contro corrente.

Il nostro io competitivo, mercificato e mercificante, predatorio, narcisistico ( nel senso patologico e non mitico del termine ) separato e separativo, impaurito, guerrafondaio, monadico e atomizzato. E’ un io che perseguita e vittimizza l’altro, che lo espelle, che lo riduce, che non lo vede, un io che si esaurisce da solo. Sfrutta e si autosfrutta. Uccide l’altro e sé. E’ un io senza memoria, scheggia irrelata di una folla di io affetti da amnesia indotta. E’ un io fintamente libero, dove la libertà è una scelta obbligatoria, in una seriale e precostituita serie di opzioni. E’ un io in cui la possibilità infinita è fintamente iniziatica: è un potere prestazionale, di chi diviene il manager di sé stesso, non di chi realizza la propria natura intima………… ( parole lucide e appassionate di Gianni Vacchelli, dall’ultimo suo libro: L’inconscio è il mondo là fuori. Dieci tesi sul capitalocene: pratiche di liberazione – Mimesis editore).

E allora? Oggi che stiamo sperimentando col nostro povero io la verità di quel poco che è e di quel tanto che crede d’essere, cosa facciamo ?

Ancora una volta, dalla nostra memoria, arrivano le parole di Fromm a dirci: “un’ altra spiegazione del nostro decadimento può essere ricercata nel fatto che i mutamenti del modo di vivere che sarebbero necessari sono di tale entità, da indurre la gente a preferire la catastrofe futura ai sacrifici immediati”.

Sono nuove le modalità del vivere per un Uomo Nuovo e per una Società Nuova, per attenuare il malessere individuale e mettere freno ai catastrofici sviluppi socioeconomici, alla crudeltà delle menzogne quotidiane di media e politicanti.

Le doglie del parto drammaticissime – scrive ancora Vacchelli – il cui esito è tutto meno che certo, l’inquantificabile ( o con quale nome lo si voglia dire) è implicato e fa la sua parte ( che non è tutta però). Chiedono la nostra partecipazione interiore, umana, spirituale e politica”.

Credere con il corpo?. Quanta ambivalenza in queste parole. La “credenza” non è “la fede”, la prima è quel che crediamo e che ci arriva da fuori ( dalla famiglia, dalla cultura, dalle tradizioni, ecc. ) la seconda ci arriva dal nostro dentro e non ha alcun oggetto. Ho fede, ho fiducia, del mio corpo? Cioè lo sento vivo, pulsante, appassionato, innamorato? o lo metto nelle mani altrui come un prodotto da vendere al supermercato ?!

La fede, la fiducia, la puoi avere solo se ne hai fatto esperienza, anche piccolissima, ma l’hai sperimentata col tuo proprio corpo.

La Realtà è” sistemica”, non c’è monismo, nè dualismo, tutto si muove in un ritmo armonico e tutto si relaziona . “Bisogna tornare al valore dell’esperienza!” Sentire è capire, ma capire non è sentire. Dunque il corpo è un luogo sacro, è il nostro tempio ove si compie la Vita, senza il nostro corpo la vita , la nostra vita, non esiste. Ma è un corpo mortale, un corpo che soffre e che gioisce, un corpo che lentamente si svuota d’energia e ci abbandona. Ma finchè siamo vivi è degno di grande rispetto. E non lo si può ignorare.

Ma oggi che facciamo del nostro corpo? E’ una fucina di sperimentazione, ogni tipo di sperimentazione che oggi è diventata autorizzata, anzi è obbligata per “legge”.  Ma la legge è fatta per l’uomo e, in ogni specie, i più intelligenti sanno quando bisogna disobbedire.

Un conto è la cura, una medicina che conosce la inter e intra relazione, una cura amorevole che tiene conto di sanità e salvezza.

Il nostro corpo è un organismo prezioso, non lo si può violare senza pagarne un prezzo. La Natura ci ha donato un’autoregolazione, un’immunità naturale che rende conto a tutta la natura, agli animali e ai fiori, al temporale, ai canti della parola, al silenzio dell’amore.

La nostra disponibilità a rinunciare  a tutte le forme dell’avere, per essere senza residui, ritrovarci nella necessità dell’altro in un rapporto di  amore, di solidarietà con il mondo circostante, anzichè sul proprio desiderio di avere, di possedere, di controllare , di sfruttare , divenendo così schiavo dei propri bisogni indotti. Essere consapevoli della nostra “tempiternità” : è qui e ora che possiamo fare nuovo il mondo e godere della gioia quando sperimentiamo nel nostro corpo e col nostro corpo che siamo : danza del ritmo dell’Essere. 

Una trasformazione radicale di noi stessi, un riappropriarci della nostra dignità umana dove testa mano cuore sono inseparabili, così come noi siamo inseparabili dalla natura e dalla dimensione di Mistero che, se ascoltata in umiltà, ci darà le chiavi per una Nuova Innocenza.

POSSESSO di Goethe :       io so che nulla mi appartiene al mondo / fuorchè il pensiero, flutto imperturbato/ che vuol sgorgare dall’anima mia / e ogni istante giocondo/ in cui benigno un fato / di goder mi concede dal profondo.

di Patrizia Gioia

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