Curiosità numismatiche

Giorni fa, mentre scorrevo il catalogo di una casa d’aste, mi sono imbattuto in un pentanummo di Giustiniano, una moneta di rame da cinque nummi, il cui valore (una epsilon o una V) campeggia al centro del rovescio. A parte l’affinità con il mio cognome, questa moneta sfata il luogo comune che nell’antichità il valore dei pezzi era determinato solo dal peso e dalla lega metallica.

In realtà, l’imperatore bizantino Anastasio I (491-518) con la sua riforma monetaria (498), un solido d’oro uguale a 180 follis di rame, aveva introdotto una monetazione di rame riportante al centro del rovescio il valore in nummi.

Follis

Il nummo era la moneta più piccola, seguito dal pentanummo, dal decanummo (con al centro una X o I), dal mezzo follis, 20 nummi(K) e dal follis, 40 nummi(M).

Su queste monete compare l’indicazione della zecca di emissione, mentre da Giustiniano (527-565) in poi verrà inciso anche l’anno di emissione.

La pratica di indicare la zecca di emissione risale alla riforma di Aureliano (274) e serviva per scoraggiare i casi di alterazione della moneta. Infatti i primi falsari si annidavano proprio fra gli zecchieri.

L’ identificazione della città di emissione e della relativa officina di produzione avrebbe permesso di risalire ai colpevoli in caso di falsificazioni, intervenendo con ferocia.

La riforma monetaria di Anastasio, basata sul bimetallismo oro- rame, l’argento monetato era quasi escluso, diede impulso all’economia bizantina, migliorando anche l’efficienza dell’amministrazione statale.

In questo contesto economico spiccava l’Egitto, granaio del Mediterraneo, produttore di oro e capolinea dei commerci con il Punt (il Corno d’Africa).

Il tenore di vita della sua popolazione era più elevato rispetto alle altre terre dell’impero romano d’oriente e la circolazione monetaria così intensa da richiedere la presenza di altri valori oltre a quelli già esistenti.

La zecca di Alessandria coniò infatti monete da 33, 16 ,8, e 3 nummi, ognuna con al centro del rovescio le lettere dell’alfabeto greco corrispondenti ad un numero, ad esempio il pezzo da 16 riportava le lettere IS.

Nell’Italia bizantina, essendoci condizioni economiche diverse, circolavano multipli in argento, ad esempio quello da 120 nummi, che riportava le lettere PK.

Comunque nella storia della moneta antica ci sono altri casi. Ad esempio, nella Roma repubblicana i denari d’argento hanno continuato a riportare la lettera X (dieci) dietro la testa di Roma, sul diritto, anche dopo la riforma del 217 AC, che aumentava il suo valore da 10 a 16 assi.

L’emissione della moneta era una cosa seria tanto che a Roma la prima zecca fu collocata nel tempio di Giunone moneta (che mette sull’avviso), da ciò l’uso di chiamare i pezzi coniati con il termine moneta.

La direzione della zecca era affidata ai triumviri monetali. Il cursus honorum dei patrizi romani iniziava proprio da questo incarico.

Come funzionassero le zecche romane e quale personale impegnassero (libero o servile) non è molto chiaro. Però se pensiamo che molte di queste disponevano di più officine, fino a dieci, dovevano avere una certa estensione.

In nostro aiuto vengono la documentazione medievale e i vari contratti di appalto fra i comuni e i maestri di zecca, spesso accompagnati da una squadra di tecnici e lavoranti: fonditori, battitori della lamina, tagliatori, pesatori, addetti al conio e ad altre mansioni.

Per battere la moneta si metteva il tondello riscaldato sul conio, sopra si poneva il punzone, si dava quindi un energico colpo di martello e il pezzo era pronto. Questa fase poteva impegnare da due a tre uomini.

A volte le monete risultavano irregolari, ma non c’erano problemi quando erano giuste di peso e lega metallica. Se uno di questi due elementi veniva meno, la moneta non era rifiutata a priori ma imponeva un’integrazione, costituita da un pezzo dello stesso tipo o da un sottomultiplo di lega superiore coniato in epoca precedente. Questo innescava un innalzamento dei prezzi e quindi un fenomeno inflazionistico.

L’inflazione ha tormentato tanto il mondo antico e medievale quanto quello moderno e contemporaneo. Nel ‘600 l’abbondante argento americano causò un problema simile in Europa.

Un altro grosso problema del passato è stata la “tosatura” delle monete d’oro e, soprattutto, d’argento. Si limava un po’ di metallo nobile. Solo che a forza di limare certe monete perdevano valore oltre ad essere irriconoscibili. Da ciò l’introduzione di nuovi elementi, oltre all’indicazione del valore, come la zigrinatura sul bordo, che dava la possibilità di capire subito se la moneta era stata limata.

tetradramma

La zecca medievale coniava per conto terzi e non per il Comune, che determinava solo il peso e la lega dei pezzi, quindi ogni cittadino poteva portare lì il proprio argento o il proprio oro, sotto forma di monete straniere, gioielli, rottami, limatura o polvere aurea, e trasformarli nella quantità di denaro di cui aveva bisogno, pagando un diritto di signoraggio.

Un’ultima curiosità, nel mondo del collezionismo sono presenti tetradrammi di Alessandro Magno privi di una piccola parte di argento, tolta quasi sempre nello stesso punto. E’ stata accertata, in questo caso, la responsabilità degli zecchieri, che per far rientrare la moneta nel giusto peso, toglievano la quantità eccedente.

Egidio Lapenta

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