Disordine monetario ed economia nel territorio alessandrino nel XVII secolo

Nel XVII secolo il notevole afflusso di argento americano verso l’Europa causa una grande instabilità monetaria, con un aumento della domanda di merci.

I provvedimenti delle autorità sono spesso empirici e sull’onda della criticità della situazione .

Il più grave problema nel ‘600 è lo svilimento della moneta, causato dalla frequente scarsità dei beni. dall’abbondanza di argento e dalla tosatura dei pezzi .

La tosatura era la pratica di limare le monete, specie quelle d’argento, che, passando di mano in mano, perdevano un po’ del loro metallo, diminuendo di peso e quindi anche di valore, con le conseguenze che si possono immaginare: infatti i mercanti erano restii ad accettare monete tosate, se lo facevano, esigevano un prezzo maggiorato o addirittura doppio.

Il circolante d’argento spagnolo e del ducato di Milano, di buona lega, spesso, sotto forma di pagamenti vari, prendeva la strada degli stati confinanti, dove veniva fuso e trasformato in pezzi di lega più scadente, che tornavano nel milanese aggravando la già instabile situazione economica.

Il grave disordine monetario presente nello stato di Milano, e quindi nell’alessandrino, nei primi del XVII secolo è illustrato da una serie di gride, 18 aprile 1608, 15 aprile e 16 luglio 1611, 10 dicembre 1613 e 24 gennaio 1614, la cui rapida successione fa pensare ad una forte difficoltà dell’amministrazione spagnola nel porvi rimedio.

La lettura della grida del 24 gennaio in particolare dà l’idea di una situazione tanto critica da promettere l’impunità ai rei di delitti monetari che si siano pentiti o che abbiano denunciato i loro complici.

Il documento inizia con il divieto di spendere nello stato di Milano ungari e zecchini d’oro che non siano tedeschi, ungheresi o veneziani, purché buoni nel peso e nella lega, di accettare in pagamento moneta alterata ( tosata o scadente), di esportare buona moneta d’argento e d’importarne di cattiva con le seguenti punizioni: confisca dei danari illeciti, multa quattro volte superiore alla somma confiscata e una pena corporale, fino alla morte per i contrabbandieri di valuta.

La grida elenca poi le monete straniere autorizzate a circolare nello stato: quelle d’oro e i grossi tagli d’argento di Roma, Savoia, Piacenza, Parma,Genova, Mantova e Monferrato, Firenze Lucca, Venezia e Francia.

Sono rifiutati le valute dei paesi non citati e i pezzi inferiori a venti soldi (una lira) escluso per le terre di Alessandria, Cremona e Ghiaradadda, purché provenienti da Mantova, Monferrato, Venezia e Genova, confinanti con le dette province.

I valori inferiori ai venti soldi spesso di lega scadente sono i più insidiosi, dato che, in base alla legge di Gresham, allontanano la buona moneta e causano inflazione. Ma Alessandrino e Cremonese hanno bisogno della manodopera dei paesi confinanti e di esportare lì i loro prodotti.

“(…) Ordina ai mercanti, e ad ogni altro venditore di qual si voglia cosa toccante al vitto, vestito e altro, che in conformità dell’abbassamento del prezzo delle monete avvertino a moderare il prezzo delle robe, che si venderanno.”

“Niuno ardisca, ne anco i propri orefici di esercitarvi l’arte dei banchetti, né di cambiatori di monete d’oro, e d’argento (…) ma solo sia lecito al maestro di Cecca (leggi zecca) di cambiare ogni sorte di moneta (…).”

E la grida continua con un pignolo elenco di casi e divieti, che mettono in evidenza la volontà di tenere sotto controllo il commercio dei metalli preziosi e delle monete, per limitare il disordine della circolazione del denaro e la conseguente ascesa dei prezzi.

Proprio questo è alla base dei forti limiti alla circolazione dei pezzi stranieri inferiori a venti soldi, i più diffusi fra la gente comune e, quando scadenti, causa non secondaria dell’aumento del costo della vita.

C’ è la preoccupazione che lo sbilanciamento fra prezzi e salari inneschi pericolose sommosse a carattere sociale. Cosa inaccettabile per una Spagna impegnata nella guerra dei Trenta anni.

Il problema della moneta di bassa lega è fortemente sentito soprattutto nell’alessandrino, circondato dal ducato di Savoia, dal marchesato del Monferrato e dalla repubblica di Genova, ecco perché il Consiglio Provinciale di Alessandria invia nel 1616, al governatore dello stato di Milano, don Pietro di Toledo Osorio, una relazione sul grave stato della circolazione monetaria.

In essa si parla del disordine causato dall’abbondante immissione di monete monferrine di un titolo d’argento così basso da far apprezzare in maniera anomala le monete locali.

Il Consiglio è convinto dell’inutilità della sostituzione dei pezzi monferrini con piccole monete d’argento di buona lega, che inevitabilmente prenderebbero la strada del marchesato, causando un’emorragia di metallo pregiato, una loro fusione e un ritorno sotto forma di pezzi scadenti.

Inutile anche proibire la circolazione di questi ultimi, che causerebbe l’allontanamento dei possessori di monete monferrine dai mercati alessandrini con grave danno dell’economia locale.

Meglio un accordo fra Spagna, Savoia e Gonzaga che porti alla coniazione di monete di pari titolo, con il risultato di ottenere una stabilità economica e sociale.

Dalla lettura delle gride e della relazione del 1616 emerge un’amministrazione spagnola seriamente interessata al benessere della comunità alessandrina.

Le attività produttive di quest’ultima seguono l’andamento altalenante dell’economia italiana del XVII secolo.

L’ industria tessile è ad un livello di autosufficienza, senza alcuna competitività. Quella della lana, legata agli Umiliati, viene meno con la soppressione dell’ordine religioso(1571), in odore di eresia, scadendo ad un livello di mera attività casalinga.

Vengono prodotte solo sargette, cioè pezze di bassa qualità, ma la produzione deve essere molto scadente se già nel 1585 il mercante alessandrino Emilio Paravanza ha nel suo magazzino solo sargette di Pinerolo.

Il vuoto creato dalla scomparsa degli Umiliati non è colmato né dalla concorrenza, né da un’attività alternativa che funga da volano dell’economia cittadina.

Le industrie del lino e della canapa sono alimentate da materia prima locale ma danno un prodotto modesto, che soddisfa solo le esigenze locali. Intermittente la produzione serica, mentre quella di lusso, fazzoletti e tovaglie ricamate, proviene sempre più da fuori città.

Il territorio alessandrino è al centro delle comunicazioni fra i porti di Genova e Savona, la Lombardia e la Francia, ma delle merci che lo attraversano poche si fermano per essere scambiate in loco. Però non si può parlare di asfissia economica, considerata la presenza non solo di un mercato settimanale, ma di due fiere annuali e di un intermittente mercato del grano.

Le fiere di san Francesco(inizio 4 ottobre) e di san Giorgio(inizio 24 aprile) attirano mercanti dal milanese, da Genova e dal Monferrato, accogliendo articoli di svariato genere: dal carbone al miele, dagli animali alla frutta e così via.

Durante queste manifestazioni si acquistano merci, si stipulano contratti, di pagano polizze e si onorano debiti.

Il mercato del grano ha un’esistenza grama. Il territorio alessandrino produce abbondante grano e se ne vorrebbe il libero commercio.

Una prima autorizzazione viene concessa nel 1556, ma solo per compensare gli alessandrini dell’onere di spesa per la risistemazione delle mura cittadine.

Per tutto il XVII secolo si assiste ad una continua apertura e successiva chiusura di tale mercato: il motivo è essenzialmente protezionistico.

Il grano è un prodotto strategico, serve per soddisfare le esigenze alimentari della popolazione del ducato, e le autorità non possono permettere che venga esportato all’estero con conseguente aumento dei prezzi interni, specie in epoca di carestia.

Da qui un controllo costante che si traduce in una serie di norme che ne intralciano il commercio.

Mercanti e artigiani sono riuniti in “Paratici”, associazioni di categoria guidate da più consoli.

Ci sono i Ritagliatori, i Calzolai, i Confettari, gli Speziali, gli Spadai, i Sellai e così via.

I Paratici insieme formano l’Università del Mercimonio, controllata dalle autorità comunali per mezzo del Giudice delle Vettovaglie.

Le gride governative disciplinano attività e produzione:

“Che li prestinari tenghino di continuo nelle loro botteghe pane in abbondanza, buono e ben condizionato(…).”

“Che li fornasai osservino la disposizione degli Statuti nel formar la loro materia e opera, qual sia cotta bene e ben conditionata(…).”

“Che li tessitori di telle non faccino le pezze minori d’aune sedici(…).”

Vige un controllo ferreo, soprattutto sui prezzi, e chi infrange il calmiere paga: agli inizi del ‘600 il Giudice delle Vettovaglie punisce Alessandro Brezio per aver venduto vino a due quattrini in più il boccale, Paolo De Zoppi per aver venduto pane a peso inferiore e Bartolomeo Tosco per aver introdotto in città una cesta di pesce salato senza permesso.

Egidio Lapenta

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