“Paradossalmente, mentre la disuguaglianza mondiale sta diminuendo, la differenza tra gli estremi della scala dei redditi nazionali continua ad aumentare.”
François Bourguignon, La globalizzazione della disuguaglianza, Codice Edizioni, Torino 2013, p. 13.
Chi descrive, e chi, ora ed allora, ha saputo descrivere con la perizia della penna la società italiana, ha colto in pieno il “segno dei tempi”: tempi che si rincorrono, si ripropongono e si abbracciano. Sono grato all’amico Franco Contorbia, Maestro in giornalismo, per avermi fatto dono del pamphlet che riproduce il testo della lectio magistralis tenuta da Bernardo Valli nell’aula magna dell’Università di Firenze il 5 maggio 2018 (Il mio Novecento, Archinto, Milano 2018), scritto che per una di quelle strane coincidenze letterarie alle quali non crede il matematico Joseph Mazur1, è stato dato alle stampe quasi contestualmente alla ristampa di un capolavoro della storia del giornalismo italiano, quel Miracolo all’italiana dell’indimenticabile Giorgio Bocca (Feltrinelli, Milano 2018).
L’incipit che apre il primo viaggio di Bocca nell’Italia del boom economico, che fa visita alla capitale “dei calzaturieri di Vigevano” (“Mille fabbriche nessuna libreria”), è di sconcertante attualità: “Fare soldi, per fare soldi, per fare soldi: se esistono altre prospettive, chiedo scusa, non le ho viste”. Certo, i tempi sono cambiati: allora i soldi si facevano con l’industria che dava lavoro, oggi con la finanza per pochi privilegiati, ma è solo un dettaglio. Ciò che conta, negli anni della disuguaglianza, mai più sanata tra il Nord sviluppato e il Sud arretrato, è ancora “fare soldi”. Più di mezzo secolo dopo, alla provocazione di Giorgio Bocca fa eco Bernardo Valli che sottolinea le “disuguaglianze insostenibili” dei giorni nostri: “La forte ineguaglianza tra le società africane e le nostre e i cronici conflitti alle porte del nostro continente – si legge a p. 34 della lectio di Valli – sono all’origine del flusso di migranti che nei nostri giorni influenza i risultati elettorali e turba le nostre coscienze. L’ineguaglianza non risparmia all’interno neppure le nostre società.” Che cos’hanno di diverso le disuguaglianze degli anni del boom economico con quelle degli anni delle crisi e della stagnazione dell’economia italiana e il boom dell’economia finanziaria? Solo il fatto che è cambiato il colore della pelle degli immigrati.
Nei primi anni ’60 del Novecento, nella Torino delle Molinette ─ così ben descritta da Giorgio Bocca in uno dei ritratti dedicati a “I miracolati”, nel quale, con quel misto di ironia e non celata ammirazione, prende di mira il grande chirurgo Achille Mario Dogliotti, uno di quei “mostri sacri nati per avere successo” ─, Bocca finge di ignorare quei cartelli sparsi per la città industriosa della FIAT che attraeva i flussi migratori di connazionali con quel “Non si affitta ai meridionali”. Nella Melegnano di oggi, un comune della città metropolitana di Milano, i cartelli sono sostituiti dalle scritte sui muri, scritte che invitano ad ammazzare “il neger”: un ragazzo di colore reo di essere stato adottato da una famiglia di italiani. Ha perfettamente ragione Bernardo Valli quando ci avverte che “L’ineguaglianza non risparmia all’interno neppure le nostre società.” Oggi come allora, dal momento che il mio nonno paterno Domenico era nato a Buenos Aires, l’Eldorado dei contadini piemontesi di fine Ottocento. Le disuguaglianze insostenibili, dunque, che sarebbero la causa principale dei movimenti migratori. Ma qual è la causa delle disuguaglianze insostenibili?
Ci viene in soccorso il numero speciale in edicola di le Scienze, l’edizione italiana di Scientific American, una delle più prestigiose riviste di divulgazione scientifica a livello mondiale, dedicato, a “La scienza delle disuguaglianze”. Quattro saggi di altrettanti studiosi, l’economista e Premio Nobel Joseph Stiglitz, che approfondisce il tema di “Un’economia bloccata”; Robert M. Sapolsky, Professore di scienze biologiche, neurologia e scienze neurologiche della Stanford University, che analizza “Il divario tra salute e benessere”; Virginia Eubanks, Associate professor di scienze politiche alla State University of New York ad Albany, la capitale dello Stato di New York, che si occupa “dell’inuguaglianza dell’automazione”, ovvero, come recita il titolo del suo ultimo libro, di come gli strumenti tecnologici puniscano i poveri; e infine, James K. Boyce, Professore emerito di economia e associato emerito dell’Istituto di ricerca in economia politica del Massachusetts ad Amhers, che affronta l’attualissimo tema del “prezzo ambientale della disuguaglianza, vale a dire di come gli squilibri di potere favoriscano il degrado ambientale del quale i poveri soffrono le conseguenze”.
Per ragioni di spazio (e di competenza) mi limiterò ad un fugace accenno al saggio di Joseph Stiglitz, nel quale il Premio Nobel per l’Economia sottolinea come “nel passaggio da un’economia manifatturiera a una basata sui servizi”, “Un’economia truccata” e una “Finanza senza vincoli” abbiano provocato, in un processo che si autoalimenta, “Il declino del sogno americano”, un aumento delle “Disuguaglianze nel mondo”, una “Distribuzione diseguale della crescita globale” e un “Aumento della forbice dei salari”. Il paragrafo conclusivo della sua analisi riferita all’economia americana, che presenta un’impressionante analogia con la situazione europea e italiana in particolare e che riflette le conclusioni degli altri saggi, Joseph Stiglitz così ci ammonisce: “Con l’aumento del numero dei cittadini che capiscono perché i frutti del progresso economico sono stati divisi in modo così disuguale, c’è il pericolo che ascoltino un demagogo che dà la colpa dei problemi del paese ad altri e promette falsamente di rettificare «un sistema truccato». Abbiamo già un assaggio di quel che può accadere. E potrebbe peggiorare di molto”.
Un rimedio ci sarebbe: lo suggerisce per gli Stati Uniti l’economista francese Thomas Piketty in un articolo “Patrimoniale d’America”, pubblicato su Repubblica di martedì 19 febbraio, richiamando il tema della giustizia fiscale che presumibilmente sarà al centro della campagna presidenziale del 2020. “Tra il 1930 e il 1980 – scrive Piketty – le aliquote applicate ai redditi più elevati erano in media dell’81%, e la tassa di successione poteva arrivare, per i grandi patrimoni, fino al 70 per cento”. (…) In seguito, sia Reagan sia Bush, e da ultimo Trump, hanno tentato di distruggere quest’eredità, voltando le spalle alle origini egualitarie del Paese”. (…) “Tra il 1980 e il 2020 la crescita del reddito nazionale per abitante appare dimezzata a confronto del periodo 1930-1980 e per di più è interamente risucchiato dai ceti più abbienti, con la conseguente totale stagnazione dei redditi del 50% più povero della popolazione”. Ed è “altresì cruciale – conclude Piketty – che la totalità del gettito sia destinata a ridurre le disuguaglianze”.
Questo accade negli Stati Uniti. Giro la proposta a Pinocchio, il Gatto e la Volpe, ben sapendo che qui da noi non se ne farà nulla. Mi accontenterei che, contrariamente all’idea della flat-tax portata avanti dal governo giallo-verde, venisse data applicazione al dettato costituzionale laddove, all’art. 53, prescrive che il sistema tributario sia improntato alla progressività, contestualmente ad una seria lotta all’evasione fiscale – cosa che non figura più nell’agenda politica dei governi dai tempi del Ministro delle Finanze Vincenzo Visco -, in grado di ridurre la «disuguaglianza fiscale» che colpisce prevalentemente i lavoratori dipendenti che non possono evadere le tasse. Utopia?
Alessandria, 25 febbraio 2019
1 J. Mazur, Travolti dal caso. Matematica e mitologie delle coincidenze, il Saggiatore, Milano 2017. “Le coincidenze – scrive Mazur nella Introduzione al suo libro – sono onnipresenti, è solo questione di accorgersene”.
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