Draghi e Letta. Nota sull’Italia nuovamente in cammino

Mi piace molto il governo di Mario Draghi e mi piace molto che il PD sia ora diretto da Enrico Letta. Mi sentivo da molto tempo assolutamente outsider, “inattuale”, rispetto all’Italia e alla sinistra degli ultimi cinque anni. Ma in me “questi due” – Draghi e Letta – hanno riacceso la speranza. Le cose non vanno affatto ancora bene, ma ora vedo di nuovo la luce in fondo al tunnel. Questa luce concerne innanzitutto le due sfide epocali terribili con cui tutti quanti abbiamo a che fare: un Paese con più di centomila morti ammazzati dall’epidemia del Covid e un’economia in ginocchio come non mai, per i guai pregressi (i 2500 miliardi di debito pubblico; un’economia dal 2008 non più ripartita “in grande”, e ora devastata da oltre un anno di chiusure forzate).

Da molto tempo ero convinto che tanto il governo – sostanzialmente del M5S e del PD – di Giuseppe Conte quanto il PD di Nicola Zingaretti non fossero all’altezza dei due terreni di lotta indicati (sconfitta del Covid e ripresa economica). Per me arrancavano anche perché pesantemente condizionati dal carattere confuso e confusionario, e persino confusionale, del primo partito in parlamento, il M5S. Aprire una crisi di governo in piena pandemia, come ha fatto Renzi, è certo stato intempestivo, ma niente affatto immotivato, né tantomeno nocivo. Anzi.

L’’idea del PD di Zingaretti di vedere Giuseppe Conte come se fosse stato il nuovo Prodi, il capo in pectore di una nascente coalizione di governo progressista, mi era parsa balzana. Conte non è certo un inetto e figurerebbe bene, come ministro importante, in ogni Governo democratico (secondo me tra l’altro come capo partito del M5S ha già sbagliato a non entrare come importante ministro nel governo Daghi, come avrebbe potuto). Ma Conte era, ed è, il classico politico levantino, nel suo caso “stricto sensu”, democristiano, del nostro amato e disincantato profondo sud. E infatti ha governato “culo e camicia” con Salvini; poi contro Salvini con Zingaretti; e non ha seguitato, con una terza incarnazione in poco più di due anni, pure con Mastella e consorti, solo perché – dopo l’apertura della crisi del suo governo da parte di Italia Viva – non c’è riuscito. Come si faceva a vederlo quale grande campione di tutta la sinistra unita?

Pure il bravo Zingaretti – molto più motivato come uomo della sinistra, e certo una persona simpatica e per bene, in nessun modo inetta – non mi sembra da rimpiangere, anche se certo merita l’onore delle armi. Merita il rispetto dovuto a qualsiasi capo di buona volontà politicamente impegnato a salvare il suo Paese. La mia impressione è che non sia affatto un uomo di partito, anche se è cresciuto a pane e federazione sin da piccolo, come giovane comunista della “scuola” di D’Alema. Ma aveva e ha altra vocazione rispetto al partito, e non a caso ha seguitato a fare il Presidente della Regione Lazio anche da Segretario del PD, e ha voluto restare alla testa del Lazio (in modo assai benefico per la sua regione), persino potendo diventare secondo solo al Capo del Governo del Paese. Credo sia uno dei politici nati per essere governanti, ma che non sono stati, non sono e non saranno mai leader di partito. Mi sembra uomo eccellente per la Regione Lazio, e domani potrà correre quale Sindaco di Roma, e se quelli del PD saranno intelligenti (“quo nemo dubitat”) glielo faranno fare, o meglio lo metteranno in pista perché lo faccia, in quanto mi pare fuor di dubbio che uno migliore e a ciò più idoneo in area PD non esista neanche. Sarebbe davvero l’uomo giusto al posto giusto. Ma leader di partito e di schieramento politico non lo era e non lo è. In ciò era molto diverso dai maggiori segretari dei partiti avversari, Matteo Salvini della Lega e Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia, che sono stati e sono capi partito qualunque incarico istituzionale possano aver ricoperto o ricoprano.

Come leader politico di partito, nonostante la simpatia che ispirava ed ispira, per me Zingaretti ha sbagliato quasi tutto. Conte non poteva essere il capo di governo della sinistra unita, anche perché non è di sinistra. Il simpatico e furbo avvocato di Foggia potrebbe rispondere come il famoso comico siciliano Angelo Musco rispose a Mussolini, che l’aveva ricevuto a Palazzo Venezia. Il “duce” gli chiese: “Siete fascista?”. E quello: “Eccellenza, marinaro sugnu”. Andava dove lo portava il vento. E Conte l’ha dimostrato. Solo in tempi di pensiero liquido, o liquidatorio, o liquidato, un capo del PD poteva vedere in lui il possibile capo della coalizione, invece di individuarne uno proprio, come nelle democrazie maggiori del mondo intero. Qui uno potrebbe citare l’idea di egemonia di Gramsci, sulla necessità di farsi riconoscere come forza dirigente in ogni coalizione o “blocco storico”, ma “lasuma sté” (ché non son più tempi). Il PD riusciva ad apparire a rimorchio, su tutti i temi decisivi, del M5S, pure in profondissima crisi. Si intuiva e intuisce un disegno “zingarettiano” volto a spostare l’asse del PD un po’ più a sinistra ricucendo la frattura soprattutto con Liberi e Uguali e rendendo organica l’alleanza col M5S, anche tramite la proporzionale, che obbliga alle coalizioni (proporzionale di cui penso tutto il male possibile); ma recuperare i transfughi di Liberi e Uguali, per quanto lodevole, era di limitata portata, e stabilire un’alleanza di ferro con il M5S era ingenuo. Infatti il M5S non è un alleato governabile, non solo perché ha una natura politicamente doppia o tripla (quasi da “antipartito”), che mischia in modo sincretistico pulsioni di destra e di sinistra, ma anche (o correlativamente) perché è appunto ingovernabile. Purtroppo. Anche volendo essere sciaguratamente realisti, più pragmatici dei pragmatisti spinti, è chiaro che quelli del M5S non sono in grado di prendere impegni vincolanti per tutti in materia di alleanze, come la stessa vicenda di tutte le elezioni regionali o locali recenti, e quella di Roma in discussione, mostrano a iosa. Credo che in settimana Conte diverrà il Capo atteso del M5S, e mi auguro che possa dare loro un indirizzo e soprattutto realizzarlo; ma prevedo, sperando di sbagliarmi, che non riuscirà neanche lui a governare quel movimento magmatico in sommo grado: intanto perché non credo che uno, neanche nella “società liquida” d’oggi, possa diventare uomo e capo di partito a cinquantasei anni compiuti; ma, soprattutto, perché il M5S è una cometa gassosa, che esprime sì alcune istanze anche validissime (dal reddito di cittadinanza – che però io avrei dato solo in cambio di lavoro vero, magari part time, e comandato dai sindaci – all’ecologismo, che è decisivo), ma esprime le sue istanze in un modo troppo generico, superficiale e contraddittorio perché possano davvero essere sintetizzate passando “da cielo in terra a miracol mostrare”. Forse l’amalgama potrebbe riuscire a un grande leader politico, di tipo epocale, ma non credo che possa essere tale – per quanto sveglio, colto e simpatico – un professore universitario e avvocato per una vita, prestato alla politica di partito a cinquantasei anni. Vorrei però sbagliarmi. Lo vorrei non così per dire, retoricamente, ma perché per ora il solo alleato “potabile” di una qualche “consistenza” per il PD è il M5S, per cui se questo si sfascerà sempre più la notizia sarà cattiva per la causa progressista e per la democrazia. Può anche darsi che un PD che venga a trovarsi senza un alleato importante potrebbe rigenerarsi all’opposizione, ma dati i tempi e la vocazione di governo del PD “reale” potrebbe persino scoprire Forza Italia come alleato. Non so che ne penserebbe Renzi, o Franceschini, ma non mi parrebbe il caso.

L’alleanza tra PD e M5S era ed è perciò fatale. Zingaretti e il suo PD hanno però commesso l’errore di trasformare uno stato di necessità in una scelta “epocale”: l’indispensabile opzione tattica in scelta strategica. Sì, la sinistra ha bisogno del M5S, ma deve sapere che il M5S è quello che è (“pas grande chose”). Ad esempio schiacciarsi così totalmente su Conte, uomo messo lì dal M5S e in procinto o di farsi un partito proprio o di diventare il capo del M5S, da parte del PD di Zingaretti è stato un errore madornale, oltre a tutto ripetuto sino all’assurdo, con un’incapacità di prevedere quel che c’era dietro l’angolo che ai miei tempi – sto per diventare ottuagenario – non avrebbe avuto neanche un segretario di federazione del PCI di Alessandria del genere da me conosciuto. Renzi ha fatto una mossa che li ha spiazzati, come già l’aveva fatta quando aveva promosso la nascita del “Conte bis” invece di andare a elezioni politiche anticipate: ha tolto la fiducia al governo Conte all’improvviso e in piena pandemia. Di lì in poi ai vertici del PD sono impazziti. Prima si è detto: “Solo con Conte noi vogliamo andare; e, anzi, Renzi ha dimostrato di essere così inaffidabile che lo rifiuteremo come partner possibile di governo”. Si è aperta la ricerca di un gruppo di “volonterosi” o “responsabili” al Senato, imperniato sulla moglie di Mastella: ricerca basata sulla dilettantesca ipotesi che il gruppo di Italia Viva si sarebbe sfaldato e che in un parlamento terrorizzato dalle elezioni i responsabili sarebbero venuti fuori a frotte. Lo crederono giornalisti autorevoli e si sbagliarono, a dimostrazione del fatto che i “Mister” commentatori della partita del lunedì sulla “Gazzetta dello Sport” (o al bar), per quanto bravi non possono essere i Mister veri “sul campo”. Poi, in pochi giorni, i facili lanciatori di anatemi contro il traditore Renzi e i teorizzatori, su due piedi, di stampelle di governo inesistenti, dovettero scendere a più miti consigli. Il “mai più con Renzi” si mutò in pochi giorni in un “Why not?”. Il Presidente della Repubblica incaricò il Presidente della Camera di verificare se ci fossero ancora le condizioni per un’alleanza di governo come quella andata in crisi (sostanzialmente M5S-PD, “per non dir” di LeU e di Italia Viva), ma riunitisi i convitati di pietra dei gruppi intorno al tavolo emerse che un programma di governo gli ex alleati non lo potevano neanche abbozzare (non essendoci presidente incaricato), i ministri chiave sostituibili non li potevano mettere in discussione (e il M5S si rifiutava di farlo anche sotto banco), e che in sostanza per Renzi il solo modo di ricomporre i cocci sarebbe stato quello di tornare a Canossa o di farsi l’harakiri. Solo a quel punto, di fronte al palese insuccesso del tentativo di rimettere il dentifricio, uscito, nel tubetto, emerse la proposta del Presidente della Repubblica – caldeggiata sin dall’inizio da Renzi – di un governo Draghi istituzionale, aperto a chi ci stesse.

Questo ha dimostrato l’assoluta inadeguatezza del gruppo dirigente del PD, d’antica data. Da mesi si sapeva che Conte voleva farsi un Partito o al più diventare il capo del M5S, pescando molti voti – un bel po’ secondo i sondaggi – proprio nel PD. Ma il PD sostenne Conte, prima nella squallida ricerca di un alleato “mastelliano” contro i renziani, poi coi renziani, e poi senza alcuna proposta di ricambio, senza neanche proporre un uomo “suo” al posto di un “Conte” palesemente ormai “bruciato”.

Sembra quasi impossibile spiegare come sia stato possibile, in un partito “consistente”, non comprendere che chi fa proposte che ogni tre giorni deve ritirare, e alla fine si fa imporre come olio di ricino la cura che lui stesso avrebbe potuto proporre, è uno sprovveduto. Hanno deciso all’unanimità come lamentava Zingaretti (allora sono stati sprovveduti collettivamente, il che sarebbe peggio).

La proposta che ha fatto Mattarella, e già aveva fatto Renzi, di un governo di unità nazionale retto da Draghi avrebbe potuto benissimo farla il PD stesso, almeno dal momento delle vere e proprie dimissioni del governo “Conte bis” in poi. Avrebbe dovuto farla con tutta la solennità ideal-politica del caso. Sarebbe stato nelle migliori tradizioni persino dell’antico PCI. Quando la patria è in pericolo tutti i democratici sono costretti a governare insieme; sono “condannati” a seppellire di buon grado l’ascia di guerra. Come tra 1944 e 1947. La pandemia, con i suoi centomila morti, e con l’economia tutta in ginocchio, è un’emergenza del genere. Perciò, possibilmente precisando – come il PCI non faceva – che si trattava di alleanza tattica perché la casa comune bruciava – si poteva benissimo proporre l’unione sacra, in vista di un ritorno alla democrazia “sana” e “normale”, dei blocchi alternativi, a pericolo scampato. Invece esserci arrivati come si sa, ossia “per forza”, proprio malgrado, indicava pochezza politica manifesta.

Dopo di che Zingaretti si è dimesso in modo drammatico, come nessun leader della sinistra e neanche di altri partiti aveva fatto (dicendo che da mesi nel PD ci si divideva solo in vista delle poltrone). La cosa è un po’ strana perché Zingaretti aveva il 70% dell’Assemblea del PD. Sembra impossibile che come ai tempi del PCI non si sopporti neanche di essere contestati dal 30 avendo il 70 al seguito. Ma Zingaretti, credo d’intesa con Franceschini (o per sua iniziativa accettata), giunto lì seppe quantomeno fare una mossa analoga a quella di Mattarella con Draghi: cercare il Migliore cui affidare il ruolo di ultimo salvatore della patria (nel suo caso del Partito), individuato in Enrico Letta.

La scelta di Enrico Letta è stata molto felice. Intanto è il più preparato e motivato: il solo del PD che possa confrontarsi con Draghi su temi economici, oltre che sul resto. Otto anni alla testa della Scuola di affari internazionali dell’Istituto di studi politici di Parigi lo hanno migliorato, e gli hanno certo dato il modo di meditare molto sulla sua stessa caduta provocata dal famoso “Enrico stai sereno” del Renzi neo-segretario del PD nel 2013. Ma sin da allora Letta aveva dimostrato di non essere un rancoroso, e infatti si era detto a favore del sì nel famoso referendum sulle riforme istituzionali del dicembre 2016. Poi ha rinsaldato, diventando Segretario, una visione dello Stato “prodiana” (e non), a favore del maggioritario. E infatti sin dal discorso che ha proposto all’assemblea del PD che l’ha eletto ha detto in proposito alcune cose che sono suonate come la musica di Mozart, alle mie orecchie. Tanto più che, invece, quelle anteriori di Zingaretti alle mie orecchie erano suonate come “rumori molesti”, quando si era cercato di tornare alla proporzionale della prima Repubblica tradendo letteralmente quello che si era cercato di fare per passare oltre dal 1994 in poi, e chiamando una tal controriforma reazionaria “riforma”. Letta, invece, si è richiamato con favore al Mattarellum de 1994 e decennio abbondante successivo, ossia al sistema che era stato maggioritario di collegio al 75%; e pochi giorni fa gli ha fatto eco il presidente attuale della Commissione delle riforme costituzionali, dicendo che quel sistema potrebbe pure diventare a due turni, consentendo a ciascuno di presentarsi da solo o in coalizione al primo turno e poi in coalizione al secondo. Siccome io sono assolutamente convinto del fatto che la salvezza economica, e persino morale, e dell’idea della democrazia dell’alternativa tra riformisti e conservatori, in questo Paese dipenda da tal genere di riforma – e per questo nel 2013/2016 avevo sostenuto assolutamente il referendum di Renzi – ho ascoltato Letta con entusiasmo. Anche il ritorno alla scelta dell’elettore collegio per collegio e nella quota proporzionale mi è piaciuta, come mi è piaciuta la proposta di abolire il gruppo misto costringendo i transfughi da un gruppo – in questa legislatura centinaia – a scegliere la disciplina e gli oneri di altro gruppo o a dimettersi (cosa ben diversa dal vincolo di mandato teorizzata un tempo dal M5S, e incompatibile con tutte le democrazie liberali del mondo).

Ma qui è il momento di trarre qualche conclusione di portata un poco più generale. Ne propongo due: una in relazione all’alternativa di sinistra (sì, non fate alcun salto o strillo: ho proprio detto “alternativa di sinistra”); l’altra relativa al partito della sinistra.

L’alternativa di sinistra era quella che nel 1958 Giorgio Galli riteneva urgente, chiamando “bipartitismo imperfetto” il sistema, imperniato sul confronto tra PCI e DC invece che tra socialdemocrazia e DC. Verso il 1965 Riccardo Lombardi prese a teorizzare l’alternativa di sinistra. Ma questa era già stata sempre “in votis” di socialisti di sinistra, nel PSI o PSIUP, come Lelio Basso, Rodolfo Morandi e Vittorio Foa: una grande sinistra democratica da una parte e una grande destra liberaldemocratica dall’altra (e vinca il migliore). Si capisce che anche nella democrazia dell’alternativa il centro (moderato) è necessario per vincere, ma non più come forza egemone bensì di complemento, interna alla propria area o “blocco storico” o partito egemonico.

Nel tempo, rispetto allo schema bipolare dell’alternativa democratica o di sinistra o di destra, emersero due variabili: una chiara dalla metà degli anni Settanta del Novecento (per chi avesse voluto vederla), e l’altra non chiara (non voluta vedere dagli epigoni della sinistra), neanche ora.

La prima conseguenza era il fatto che una grande sinistra di governo implicava la rottura del PCI con l’Unione Sovietica, senza la quale l’unità della sinistra al governo sarebbe stata eversiva per americani e compagni loro (e infatti non era prospettata neppure dai comunisti, che cercavano di rassicurare il blocco occidentale proponendo l’alleanza tra tutti “i democratici”).

La seconda conseguenza era che una democrazia dell’alternativa richiede che l’alternativa tra partiti oppure blocchi opposti sia protetta, e quasi imposta, da norme istituzionali che la rendano obbligata. La forma classica di ciò è il presidenzialismo americano (migliorato su un punto decisivo – su cui qui per brevità non mi soffermo – da quello francese, gollista del 1958 e sino ad oggi); ma la conseguenza si ha pure col premierato all’inglese, in cui il capo del partito vincente diventa sempre premier, e se cade o si dimette volontariamente può essere sostituito solo quando nuove elezioni lo facciamo riemergere come premier oppure facciano emergere altro capo del partito arrivato primo. In Germania è diverso, in parte perché i tedeschi sono tedeschi, e in parte perché hanno lo sbarramento del 5% (che da noi diverrebbe subito del 3%) e la “clausola di governabilità”, per cui se un governo cade, e perché cada, ce ne dev’essere già uno pronto a sostituirlo (non si accettano crisi “al buio”, dall’esito incerto). Ma anche quel sistema proporzionale “corretto”, specie dopo la riunificazione della Germania del 1989 ha dato luogo a periodi di collaborazione tra partiti opposti (“grande coalizione”), che però nei paesi latini hanno sempre creato connivenze magari davvero riformiste quanto a riforme, ma corrotte e corruttive, e spendaccione (con congiunzione del diavolo e dell’acqua santa), che dal mio punto di vista le rendono non dico da escludere sempre, ma indesiderabili. Perciò se tornasse il Mattarellum, tanto più se fosse a due turni collegio per collegio, come Letta vuole, per il Paese sarebbe una benedizione del Cielo. Forza Letta!

Quanto al governo Draghi, non credo nei miracoli, ma sono discretamente ottimista. Intanto abbiamo alla testa un leader che è il più competente e pragmatico che ci sia, e il più autorevole in Europa. Per ora ha due grandi obiettivi da raggiungere assolutamente: la vaccinazione salvatrice del popolo italiano e un buon Recovery Plan che consenta all’Italia di ripartire alla grande, come dopo la Seconda guerra mondiale. Non ha la bacchetta magica. Ma intanto ha già bloccato le esportazioni indebite di vaccini dall’Italia e spinto l’Europa a farlo, e persino detto che se non arrivassero da dove debbono arrivare i vaccini, ce li procureremmo comunque. Si è fatto sentire in Europa, invece di essere succube di chissà quali poteri forti. Di fatto ha persino criticato la politica di approvvigionamento dei vaccini della UE: il che vuol dire che con garbo, ma fermamente, ha bacchettato una che era il braccio destro della Merkel e che ora è Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen. Non credo che Conte avrebbe mai potuto né dire né fare cose così, pungolando “davvero”, costruttivamente, l’Unione Europea. In secondo luogo Draghi vuole arrivare a far vaccinare 500.000 persone al giorno. Siccome basta aspettare qualche mese per vedere se ci riuscirà, lo verificheremo presto. Ma se ci riuscirà, e taluno dirà che ci sarebbe riuscito chiunque, chi lo dirà sarà uno che non voglio qualificare perché non i piace chi insulta il prossimo e non voglio dare il cattivo esempio. Quanto al piano per la gestione dei famosi 208 miliardi di euro, è roba delle prossime settimane (entro il 30 aprle). Vedremo presto quel che ne verrà fuori. Personalmente sono matematicamente certo che su tale terreno Draghi farà meglio di chiunque altro, ma basterà aspettare pochi mesi per verificare onestamente quel che avrà fatto sui due punti chiave di cui si è detto. Non è il rapporto ipotesi-verifica il punto nodale delle persone razionali e ,credo io, intellettualmente oneste?

L’ultima osservazione concerne il PD. Draghi cattolico democratico, Letta (e prima Renzi) pure. Moriremo democristiani?

Hanno voluto fondere in un solo partito (il PD) i post-comunisti e i post-democristiani, ma i secondi erano più ricchi di cultura di governo e istruiti dei primi e li hanno, perciò, “egemonizzati”. La cosa sarebbe stata evitabile se da Berlinguer in poi i comunisti avessero voluto ridiventare socialisti occidentali, facendo oltre a tutto un’operazione di espansione invece che di distruzione del proprio partito (rinominato e socialisticamente “corretto”, e per ciò persino ampliato). Per me non facendolo i comunisti, come Occhetto e altri, hanno commesso un errore di portata storico-epocale: però è stato un “errore” non casuale (erano antisocialsti, come i protestanti sono anticattolici, e io e tanti non l’avevamo capito, pensando che a pensarla così fosse solo una parte della “base”). E del resto siamo sicuri che possiamo parlare di tutti questi ex democristiani o popolari come democristiani? Non possiamo più parlare di un Bersani comunista, o di uno Zingaretti comunista, e così via. Perché farlo, in riferimento alla Democrazia Cristiana, con Renzi, o Conte o Letta? Sono cattolico sociali, ma non potrebbe esserci un socialismo cristiano o religioso operante con uno “laicista”?

Ormai, comunque, la storia è andata com’è andata. “Il treno ha fischiato”, da decenni, e fare gli ultimi dei mohicani, in qualunque famiglia politica, sarebbe insensato. Quel che passa il convento a sinistra parrebbe solo il PD, con cui gli altri gruppi di sinistra “minori”, che “per me” sono oggi Liberi e Uguali da una parte e Italia Viva dall’altra (due “ali” entrambe indispensabili), potranno confluire, oppure formare con esso una sorta di confederazione o Unione della sinistra di governo col PD. Dopo di che naturalmente c’è un lavorio immenso di tipo ideal-politico e organizzativo da fare, e che opera già come “bronsa cuerta” direbbero in Veneto (brace sotto la cenere), e che durerà decenni, e per cui tutti quelli che si sentano di una certa area sono chiamati a portare la loro piccola pietra.

Ci sarebbe anche un’altra incognita da considerare. Ritengo molto probabile che dopo la pandemia e con la nuova economia che ne verrà – nel mondo, in Europa e in Italia – ci saranno scenari inediti e poco prevedibili. Si aprirà un immenso spazio per fenomeni di tipo gollista oggi impensabili, di cui suo malgrado lo stesso Draghi, senza neanche volerlo, potrebbe diventare espressione (a meno che non ci tocchi un “Generale” in gonnella, nella logica italiana “o tre o trenta”; ma Letta stesso potrebbe, lemme lemme, sorprenderci). Oppure potrebbero crearsi, in un assetto maggioritario a due turni (maggioritario e con un piccolo premio di maggioranza, diciamo del 15%), due coalizioni democratico alternative, una imperniata su Salvini e una su Letta. Quest’ultimo, che sembra molto migliorato rispetto ad otto anni fa, potrebbe persino realizzare quello che Renzi nel 2013-2016, in parte per alcuni gravi errori “caratteriali” e politici propri e in parte per la stupidità politica di avversari “progressisti” che avrebbero avuto ogni interesse a sostenerlo, non era riuscito a fare. Proprio quello che Renzi aveva “trombato” potrebbe realizzare il proposito epocale su cui Renzi era fallito. Hegel chiamava cose del genere “astuzie della ragione” nella Storia.

di Franco Livorsi (franco.livorsi@alice.it)

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