Due Effe: Ford e Fiat

In questi giorni si parla molto della crisi dell’automobile, del fatto che esiste un mare di incertezza fra la costruzione di motori endotermici (a benzina e diesel) e la necessità di passare all’elettrico, per non parlare dell’idrogeno.

In questo tumultuante mare di possibilità, si creano delle grandi difficoltà per i compratori, poiché da un lato non sanno che tipo di macchina comprare e dall’altro i costi dell’elettrico sono molto elevati.

In questa difficile scelta si sono infilati di botto i costruttori cinesi, che offrono macchine di qualunque tipo, dal 30 al 40% meno care dei modelli europei.

Un vero e proprio dumping orchestrato.

Ricordiamo allora i bei tempi, i tempi eroici dell’automobile.

Non si può negare la primogenitura a Henry Ford, che nei dintorni di Detroit fondò la sua casa automobilistica, basata su concetti semplici, lineari, ma di straordinario successo.

Macchine poco costose, solide, adatte a tutti i percorsi, ma acquistabili col salario di un operaio meccanico: quindici milioni furono i modelli T venduti in tutta l’America.

Henry Ford fu un campione di un capitalismo duro, energico, ma pieno di inventiva e determinazione.

Su scala un po’ minore, altrettanto si può dire di Giovanni Agnelli, il senatore, che con coraggio e determinazione fondò la Fiat (Fabbrica italiana Automobili Torino), orgoglio dell’Italia e della sua città.

Il testardo e volenteroso Valletta gestì per venti anni la Fiat, portandola a traguardi clamorosi e lasciandola nelle mani, forse un po’ dilettantesche, di Gianni Agnelli, il nipote, comunque la Fiat contribuì in modo determinante alla motorizzazione dell’Italia e dette una grande spinta all’economia del paese.

Modelli dopo modelli, un servizio brillante, alleanze di successo, si protrasse finché non arrivò, proveniente da Roma, il Dott. Romiti con le sue imbarazzanti idee, di un capitale finanziario che deve soppiantare le innovazioni tecniche, esattamente il contrario di quanto allora faceva la Volkswagen.

Gli ultimi anni della vita di Gianni Agnelli sono anche anni in cui la Fiat si avvita su se stessa, perde la sua identità, poi, dopo Marchionne, la caduta: la Fiat acquista la Chrysler, per entrare poi in Stellantis, un bel nome che racchiude il predominio dei francesi.

Da allora in poi, nonostante Elkann sia il presidente di tutto il gruppo, la produzione Fiat si disperde in vari paesi, sempre meno presente in Italia e quest’anno, il 2024, si raggiunge il traguardo minimo di produzione.

Cosa rimane dell’orgoglio dei Ford e di quello degli Agnelli? Ben poco, se non che, almeno in Italia, si è voluto scialare un capitale tecnico ed umano di oltre cento anni, per soddisfare i vampiri del capitalismo cosiddetto liberistico.

E così il signor Tavares se ne va in pensione con un reddito simile a quello di un piccolo stato africano, mentre si disperdono le memorie del passato, marchi straordinari come l’Alfa Romeo e la Lancia, questi sì veramente orgoglio di un paese.

Ed io, che sono stato proprietario di una bellissima Alfa Romeo per sette anni, non posso non ricordare con rammarico, il periodo in cui i meccanici francesi e belgi aprivano il vano motore della mia vettura e dichiaravano: ”c’est un boum!”.

Viator

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