Due nuovi libri di cinema: Fellini e l’amatore della Hollywood classica

Sgombro subito il campo da un possibile malinteso. Entrambi i volumi (uno enorme, l’altro piccolissimo) qui presentati contengono, tra quelli di molti altri più autorevoli, quasi per caso anche un contributo mio, e quindi non dovrei parlarne per un evidente micro-conflitto d’interessi. Se lo faccio lo stesso, è nella convinzione che il loro interesse oggettivo sia tale da consentire di… sopportare anche la problematica coincidenza di cui sopra.

Il TuttoFellini della Gremese apre alla grande in centenario (e come tale si presenta: Edizione del centenario 1920-2020). Non era neppure necessario prepararsi, naturalmente: il primo secolo esatto dalla nascita di Fellini -decorso quando il lettore sarà a questo punto- ha dato, sta dando e darà inevitabilmente la stura a una smisurata attività pubblicistica, che si aggiungerà alla non esigua biblioteca che l’opera del maestro riminese ha attirato (giustamente) su di sé, in misura sempre più fitta lungo gli ultimi settant’anni. Per non dire dell’alluvione televisiva, aperta sul fronte del digitale terrestre da Mediaset, forte del suo portafoglio di restauri, con l’inaugurazione, vedi caso nel giorno della ricorrenza, lunedì 20 gennaio, del nuovo canale Cine34: fronteggiato con strategia multilaterale, in maniera obiettivamente completante, dalla Rai, per non dire degli apporti non enumerabili delle pay-tv e dello streaming.

Ma è proprio a proposito di… tempismo e di dismisure che è venuta a battere tutti sul tempo, da entrambi i punti di vista, questa monumentale enciclopedia monotematica che Enrico Giacovelli ha intrepidamente assemblato per le edizioni Gremese, delle quali ormai da alcuni anni dirige -con piglio inventivo e idee chiarissime- l’area cinema.

Chiunque pensasse che ormai su Fellini fosse stato già scritto tutto il dicibile e il pensabile, dovrà, con le quasi seicento pagine del volumone tra le mani, decisamente ricredersi: anche perché vi troverà, pagina dopo pagina, non poche cose inaspettate. Ma soprattutto, se avrà la gradevolissima pazienza tanto di compulsarlo ad apertura casuale quanto di leggerlo nella tradizionale consequenzialità delle pagine, giungerà alla fine praticamente consapevole di sapere… davvero alla lettera tutto del conclamato Maestro (del quale, com’era fatale ma in fondo soprattutto giusto, gli scavi ulteriori sollecitati dall’occasione mettono in luce grandezza e limiti, umanità e disperazione).

Il fatto che il prefatore sia niente meno che Michel Ciment conferisce un’idea preliminare tanto dell’accreditamento quanto delle ambizioni della sterminata silloge. Che si apre con un’apparentemente tradizionale -in realtà meno, nella sua dettagliante ricchezza inopinata…- biografia crono-annuale, il cui poscritto finale fornisce, per chi non fosse già pervenuto all’identica conclusione nel corso di lettura, la chiave: «Dei fatti narrati, spesso basati su ricordi personali dello stesso Fellini, alcuni sono verità, altri (forse) bugie. Ma più passa il tempo, più le une si confondono con le altre, e diventa sempre meno importante distinguerle». Segue uno sterminato Dizionario enciclopedico felliniano (film, attori, collaboratori, temi, luoghi, curiosità, amiche, amici, mogli, amanti) caratterizzato anche da un’ampia antologia della critica su ciascun film ed episodio, ma soprattutto da miriadi di voci anche … insospettate e inattese.

Il volume dichiara, fin dalla copertina, scritti originali, oltre che di curatore e prefatore (si tace dello scrivente), firmati via via da storici collaboratori abituali del regista (Angelucci, Delouche, Morin, Moraldo Rossi), critici militanti (Bartolini, Bispuri, Crespi, De Fornari, Chiesi, Della Casa, Ilaria Feole, Frasca, Lajus, Caroline Masoch, Méjean, Saffar, Spila, Caterina Taricano), studiosi universitari (Clizia Centorrino, De Giusti, Gili), storici del cinema (Pioud-Bert, Prédal, Seregni), cineasti (Paolo Ceratto, anche in qualità di testimone-figlio della giustamente mitizzata attrice Caterina Boratto; Liberski,), scrittori (Rosita Copioli, Di Paolo, Silvestrini) conduttori tv (Costanzo), organizzatori culturali (Enria, Audrey Norcia, Sonia Schoonejeans) e giornalisti (Gabutti, Fulvia Serra). Ma ne offre altri, pre-editati, di decisamente non minore interesse, oltre a quelli selezionati assai generosamente per le antologie critiche dedicate a ciascun film, tra gli altri di Fava, Jacqueline Risset, Zapponi e Zavoli, amico e concittadino di Fellini. Ed è comunque fitto di dettagli che sorprenderanno ripetutamente anche il lettore più informato, critico ed esigente.

Sandro Ambrogio, l’ultimo dei “cinéphiles”. Allo stesso modo con cui, nella storiografia generale, sarebbe difficile muovere ulteriori passi avanti senza il sistematico apporto, spesso oscuro e disinteressato, di quella locale, anche per quella del cinema risulta prezioso e attraente, quando si verifica, prendere le mosse dai contributi particolari riferiti a specifiche aree geografiche. Tanto più quando queste abbiano a riferirsi, ad esempio, alle attività di organizzazione e promozione della cultura filmica e delle stesse attività sistematiche di proiezione di testi, come fa, sottraendosi con discrezione al ristretto novero limitante delle sillogi in chiave “io lo conoscevo bene” questo Sandro Ambrogio, l’ultimo dei “cinèphiles”, che Aldo Vigano e Massimo Marchelli (che attualmente la presiede) hanno assemblato per la Sezione Ligure Critici Cinematografici del SNCCI.

L’agile quaderno ricostruisce, anche qui, fatte le debite proporzioni, a molteplici voci, un decennio -a un dipresso: 1965-75, per essere di buona misura- nel quale la città di Genova, grazie soprattutto al lavoro di Sandro Ambrogio, Aldo Viganò e Angelo Humouda, per parecchio tempo sotto l’egida del Centro Universitario Cinematografico, fu oggettivamente -prima e più delle stesse Roma e Milano- la capitale italiana della cultura cinematografica (ho cercato di chiarirne minuziosamente le ragioni introducendo di recente un altro volume di memoria genovese edito ad Alessandria, Il mio cinema di Claudio G. Fava, Falsopiano 2019). Concorrono polifonicamente a rievocare la figura del singolarissimo animatore culturale ed elaboratore selettivo di tendenza critica, genovese purosangue, scomparso nel 2017, con diversi accenti e differenziati punti di vista, oltre naturalmente ai curatori, quanti ebbero allora la fortuna di condividere quegli anni magici con la presenza e sotto la guida, diretta o indiretta, di Sandro. Non solo critici, o allora già operanti o in bozzolo (Aprà, Carlini, Giusti, De Fornari, Pruzzo, Germani, Sanguineti) ma anche diretti compagni di quell’avventura culturale e organizzativa (i curatori, Vallero, Giromini, Becher, Viganò jr, Trotta) poi futuri registi teatrali (Sciaccaluga, la Messeri) od editori (Scapolla). Al centro dell’attenzione e del privilegio critico, quasi idolatrico, di Ambrogio, il cinema americano classico, soprattutto dei decenni tra i Quaranta e i Sessanta, con uno slancio che ha contribuito non poco, almeno in Italia, a convalidarne l’affermazione definitiva (non senza un occhio di riguardo al cinema popolare italiano, da Matarazzo a Freda a Risi: e qui si aprirebbe un’altra e diversa storia…).

Ne esce la rievocazione, inevitabilmente nostalgica quand’anche condotta “a cuore fermo”, di un’epoca davvero magica per la diffusione del cinema che contava, e meglio ancora che avrebbe dovuto contare di più, quello hollywoodiano degli anni d’oro, allora non unanimemente sulla cresta dell’onda. Ovvero la fase indimenticabile in cui la concomitanza, per limitarsi alle esperienza più significative, appunto del “Centrale” e poi del “Filmclub Filmstory” di Genova, come del “Filmstudio 70” di Roma (con Americo Sbardella, Annabella Miscuglio, Paolo Castaldini: poi Adriano Aprà ed Enzo Ungari) e del Movie Club di Torino (Baldo Vallero, Roberto Turigliatto, Steve Della Casa, Carlo Scarrone, Michelangelo Buffa), della Cappella Underground di Trieste (Piero e Annamaria Percavassi, Lorenzo Codelli, Rosella Pisciotta) e di “Cinema 1” a Padova (Piero Tortolina, fondamentale quanto e più dello stesso Ambrogio) del Cineclub Brera di Milano (Franco Quadri, Farassino, Francesco Casetti) e se vogliamo mettiamoci pure tranquilli anche “Entrata Libera” di Alessandria (Renato Torti, Giorgio Boccassi, Sergio Notti, Giuliana Callegari) diede luogo a una molteplicità di iniziative, influenze, competitività e scambi (anche di copie brave e introvabili, alla faccia dell’allora pratica inutilità delle cineteche ufficiali…) che non avrebbero trovato né immediato seguito né equivalenti nelle pur non scarse né scadenti esperienze successive. Quando era ancora possibile concepirle e tentarle.

Nuccio Lodato

AA.VV., TuttoFellini, a cura di Enrico Giacovelli, Gremese, Roma 2019, pp. 577, euro 39.

AA.VV. Sandro Ambrogio l’ultimo dei “cinéphiles”, a cura di Aldo Viganò e Massimo Marchelli, Gruppo Ligure Critici Cinematografici SNCCI, Genova 2019, pp. 80, s.i.p.

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