Due “profeti inascoltati”

Quelli che viviamo son brutti tempi
di emancipazione e di prepotenza.
Ogni membro, per piccolo che sia,
vuole per sé libertà e autonomia.
Non scienza e spirito son carte vincenti
bensì la forza del braccio e dei denti. (…)

Bertolt Brecht, “Versi nodosi sul nostro tempo”, in Poesie, Einaudi, Torino 1999, p. 663.

Su Il Sole 24 Ore di domenica 28 marzo, dopo avere sottolineato l’inefficacia della campagna europea di vaccinazione «dovuta alle modalità (amministrative e non politiche) con cui è stata gestita la pandemia dalla Commissione europea, per via dei vincoli imposti proprio dal Consiglio europeo» (dei capi di governo dei 27 paesi dell’Unione), Sergio Fabbrini conclude il suo editoriale invitando il Presidente del Consiglio Mario Draghi ad avanzare «una proposta europea per andare oltre il coordinamento tra i governi nazionali». Viene da chiedersi: “oltre” quanto?

In un articolo pubblicato nel 1971 a commento del Piano Werner, sulla base del quale è stata costruita l’architettura del Trattato istitutivo dell’Unione Europea, Nicholas Kaldor (1908-1986) [1] ebbe ad evidenziare «la basilare contraddizione dell’intero piano», stante il fatto che «l’obiettivo di una piena unione economica e monetaria è improponibile senza un’unione politica: quest’ultima presuppone un’integrazione fiscale e non, semplicemente, un’armonizzazione. è indispensabile – scriveva ancora Kaldor – la creazione di un Governo comunitario e di un Parlamento che si facciano carico almeno della maggior parte della spesa pianificata dai governi nazionali, finanziandola attraverso imposizioni riscosse in tutta la Comunità con tassi uniformi». La politica “dell’andare oltre mediante piccoli passi”, anziché favorire il passaggio alla «soluzione ottimale e utopica degli Stati Uniti d’Europa»[2], comporta il rischio che nel caso in cui «la creazione di un’Unione monetaria e il controllo Comunitario dei bilanci nazionali generassero pressioni tali da provocare il crollo dell’intero sistema, si comprometterebbe lo sviluppo di un’unione politica anziché promuoverlo»[3]. “Profeta inascoltato”?

L’economia keynesiana, secondo Milton Friedman, sarebbe entrata in una crisi irreversibile nella prima metà degli anni ’70 del secolo scorso, almeno fino a quando, per superare la crisi economica scatenata dalla crisi finanziaria statunitense del 2008, e oggi con le misure varate sia dagli USA che dall’Unione Europea allo scopo di favorire la ripresa economica dopo la crisi provocata dalla pandemia del Covid-19, il pensiero keynesiano, ancorché nella interpretazione riduttiva dell’indebitamento pubblico, parrebbe essere tornato di moda. Sta di fatto che «in pochi riconoscono che Keynes fu profeta inascoltato non solo dopo la Prima guerra mondiale, ma anche dopo la Seconda».[4]

Il 28 luglio 1914 l’Impero austro-ungarico dichiara guerra al Regno di Serbia e la Prima Guerra Mondiale provoca la morte e il ferimento di milioni di soldati. Il 18 gennaio 1919 si apre a Parigi la Conferenza di Pace. Dissentendo profondamente dalle soluzioni prospettate nelle trattative, in cui vide prevalere l’interesse di pochi anziché quello collettivo, il 7 giugno di quello stesso anno il Rappresentante ufficiale del Tesoro britannico John Maynard Keynes abbandonerà i lavori della Conferenza. Ritiratosi nel distretto del Sussex a sud di Londra, durante i mesi estivi, ospite della casa di campagna nella quale si riunivano i membri del “gruppo di Bloomsbury”, scriverà il libro che lo ha reso famoso, nel quale profetizzò i rischi di un nuovo e più grave conflitto: «Se crediamo – scriverà Keynes – che per almeno una generazione avvenire non ci si possa fidare a concedere alla Germania nemmeno un briciolo di prosperità (…) Se miriamo deliberatamente a impoverire l’Europa centrale, la vendetta, oso predire, non si farà attendere».[5]

Venti anni dopo, esattamente il 1° settembre 1939, la Germania invade la Polonia. Tra civili e militari, la Seconda Guerra Mondiale, provocherà altri milioni di vittime. Nell’estate del 1941 John Maynard Keynes fu incaricato dal governo britannico di elaborare un Piano in grado di affrontare i problemi del libero scambio nel dopoguerra. Partendo dal presupposto che il problema «di mantenere l’equilibrio nella bilancia dei pagamenti non è mai stato risolto, da quando i vari tipi di baratto hanno ceduto il passo all’uso della moneta e delle lettere di cambio», unitamente al fatto che supporre l’esistenza di «un meccanismo d’aggiustamento automatico perfettamente oleato, capace di preservare l’equilibrio se solo confidiamo nei metodi del laissez-faire è un’illusione dottrinaria che ignora le lezioni dell’esperienza storica senza poggiare su una solida teoria», tra il settembre del 1941 e il maggio del 1943 (quando fu presentato alla Camera dei Lord), Keynes elaborò un Piano che, quanto meno nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto dare vita ad un “Nuovo ordine internazionale”. [6]

Pensato in un’ottica di “cooperazione internazionale tra pari”, il Piano di Keynes prevedeva la creazione di un “sistema monetario internazionale del dopoguerra”, unitamente ad alcune “Proposte per una Unione monetaria internazionale”. Tra queste proposte spiccavano: la creazione di una “Moneta bancaria internazionale”; un “Sistema equilibrato di scambi internazionali” basato su parità fisse, ma aggiustabili tra le monete; la creazione di una “Banca di compensazione internazionale”, avente lo scopo primario di regolare i rapporti di debito e credito tra i Paesi membri dell’Unione.

Quel Piano verrà poi presentato, senza successo, alla Conferenza di Bretton Woods del luglio 1944. Nelle tre settimane di dibattiti i 730 delegati delle 44 nazioni alleate discussero i due progetti presentati dal delegato USA Harry Dexter White (1892-1948) e da John Maynard Keynes, delegato del governo inglese. Privilegiando l’interesse degli Stati Uniti a scapito dell’interesse collettivo – all’epoca gli USA erano creditori nel commercio internazionale -, verrà approvato il progetto di White che ha dettato le regole di convertibilità tra le monete erigendo il dollaro, convertibile in oro, a perno dell’intero sistema valutario internazionale. A soli due mesi di distanza dall’ultima e deludente trattativa condotta con gli Stati Uniti, John Maynard Keynes, per la seconda volta “profeta inascoltato”, morirà a Firle, nel Sussex dell’Inghilterra, il 21 aprile 1946 all’età di sessantatré anni.

Nel frattempo, da paese creditore gli Stati Uniti erano diventati fortemente debitori negli scambi internazionali e, complice la massa monetaria di dollari in circolazione (gli “eurodollari” in Europa e i “petrodollari” sui mercati internazionali dei capitali), amplificata dal meccanismo del “moltiplicatore bancario” dovuto alla concessione del credito, il sistema dei cambi uscito dalla Conferenza di Bretton Woods collasserà il 15 agosto 1971 a seguito della dichiarazione dell’inconvertibilità del dollaro in oro del Presidente Nixon.

Nell’ottica del “profeta inascoltato” Keynes «andare oltre» stava a significare l’adozione della prospettiva di una “cooperazione internazionale tra pari”, una prospettiva che, in questi tempi di tensione geopolitica, difficilmente verrà adottata. Quanto all’invito rivolto al Presidente del Consiglio Mario Draghi di farsi portatore di una proposta per «andare oltre» il coordinamento tra i governi nazionali nell’Unione Europea, temo fortemente che, in assenza di una Politica economica gestita a livello Federale, con l’ulteriore complicazione derivante dagli effetti non controllati della globalizzazione e della finanziarizzazione dell’economia (la vera causa delle enormi disuguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza), la “soluzione ottimale e utopica degli Stati Uniti d’Europa” possa finire compromessa, anziché favorita, così come profetizzato da Nicholas Kaldor.

di Bruno Soro

Alessandria, 3 aprile 2021

  1. N. Kaldor (1971), “The Dynamic Effects of the Common Market”, originariamente pubblicato sulla rivista di politica Britannica orientata a sinistra New Statesman il 12 Marzo 1971, l’articolo è stato ripubblicato in N. Kaldor, Further Essays in Applied Economics, Duckworth, London 1978, pp. 187-220, dal quale sono tratte le citazioni in nostra traduzione.
  2. Le difficoltà connesse al raggiungimento della “soluzione ottimale e utopica degli Stati Uniti d’Europa” sono ben illustrate nel recente libro di F. Saraceno, La riconquista. Perché abbiamo perso l’Europa e come possiamo riprendercela, LUISS, Roma 2020
  3. N. Kaldor (1971), Ibidem, p. 206.
  4. L. Fantacci, “L’opera”. Nota introduttiva alla raccolta di saggi: John Maynard Keynes. Moneta Internazionale. Un piano per la libertà del commercio e il disarmo finanziario, ilSaggiatore, Milano 2016. “Il progetto di riforma del sistema monetario internazionale al quale Keynes dedicò gli ultimi cinque anni di vita – scrive il curatore della raccolta di saggi -, costituisce il suo vero testamento spirituale” (p. 9).
  5. J.M. Keynes, Le conseguenze economiche della pace, Adelphi, Milano, pp. 211 e 212.
  6. J.M. Keynes, “Il sistema monetario internazionale del dopoguerra”, in John Maynard Keynes. Moneta Internazionale. Un piano per la libertà del commercio e il disarmo finanziario, ilSaggiatore, Milano 2016. Le citazioni sono tratte dalle pp. 55 e 56.

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