Europa senza leadership

«Hai sentito, hanno soppresso l’EMA!» Incredulo, mi sono precipitato a approfondire su Google la notizia. Finalmente l’Unione europea batteva un colpo decisionista, resettando la burocrazia responsabile di buona parte della confusione di queste ultime settimane sui vaccini: non oltre i cinquanta, no, i sessantacinque, anzi no, bene anche per gli anziani, dietrofront: bene solo per loro, vietato ai minori di 50. Ma l’illusione è durata un nanobit. Ovviamente, era colpa del telefono. E del mio inguaribile ottimismo. Era stata soppressa l’ENA, l’istituzione francese in cui si forgia la tecnocrazia transalpina, e buona parte dei suoi ministri, e presidenti. Macron, con due anni di ritardo, ha tenuto fede alla promessa fatta ai gilet gialli in rivolta, chiudendo una scuola simbolo di accesso privilegiato al potere. Però, a rifletterci, c’è un filo rosso che lega queste due vicende: una pessima prova delle elite.

Forse siamo stati un po’ frettolosi a sentenziare che, con la pandemia, era tornato finalmente in auge il know-how dei professionisti. Basta con l’uno vale uno, con l’improvvisazione al potere, col populismo che gonfiava i nuovi leader con vagonate di fake-news. Di fronte alla malattia che ti assale, tutti cercano il medico migliore. E il rimedio più efficace: il vaccino. E tutti sono d’accordo che a decidere come approvvigionarsi e come distribuire al meglio le risorse debbano esserci degli esperti coi fiocchi, con tanto di curriculum nel ramo. Già, così sembrava che dovesse e, fortunatamente, stesse andando. Invece, pare che ci stiamo imballando. E sul banco degli imputati, in prima fila, è finita proprio quell’Europa che, appena l’estate scorsa, era sembrata la scialuppa di salvataggio.

La sensazione, ormai, sempre più diffusa è che ci siamo fatti fregare. Mentre americani e britannici investivano a piene mani su più fronti, noi risparmiavamo i centesimi e sbagliavamo le penali nei contratti. Finendo anche con l’autoescluderci da quei mercati paralleli – e grigi – da cui si stanno rifornendo altri paesi. E ai quali, comprensibilmente, molti presidenti di regione oggi chiedono di potersi rivolgere. Dunque, non era vero che eravamo, noi italiani, la pecora nera di un’Europa ultratecnocratica che sapeva sempre il fatto suo. Nel momento più difficile della sua storia, l’Unione si sta mostrando in tutta la sua fragilità, e i suoi contrasti.

E non è certo una consolazione vedere che gli altri paesi – chi per un verso, chi per un altro – se la passano quasi male come noi. Parlate con un amico tedesco, o francese, e vi racconterà lo stesso quadro di disorganizzazione, incoerenza, tentativi a go-go che stiamo sperimentando a casa nostra. E, a un anno e passo dall’inizio di questa maledettissima pandemia, a nessuno è venuto in mente di provare – almeno provare – a coordinare le iniziative più importanti, e visibili. Col risultato di esacerbare il disorientamento di quanti ancora provano a cercare una ratio nelle scelte dei loro governi. Chi chiude le scuole, e chi le riapre. Chi decide che anche in estate bisognerà tener le briglie strette, e chi invece promette che avremo, finalmente, il liberi tutti.

Lo so, starete pensando: figuriamoci! Se non riescono a mettersi d’accordo tra istituzioni di uno stesso paese, come potrebbero uniformare le politiche per tutti i paesi dell’Unione? In realtà, un modo ci sarebbe. Facendo tornare in campo la politica. Dando molta più visibilità – e responsabilità – alle leadership. E smettendola di nascondersi dietro il paravento dei pareri tecnici. L’ultimo report dell’Economist dal fronte della pandemia in Gran Bretagna è un campanello d’allarme che nessuno può permettersi di ignorare. Nel paese che è stato a lungo il fanalino di coda ed oggi è all’avanguardia nella guerra al Covid, c’è molta più cautela che entusiasmo. La partita è solo agli inizi. E malgrado un apparato efficientissimo di tracciamento dei contatti e della mobilità dei vaccinati, il governo non si azzarda a dire cosa succederà in autunno. Non lo sappiamo. Non conosciamo le variabili che incideranno sui prossimi mesi: quanti vaccini arriveranno davvero, quanto durerà l’immunità, se e quali mutazioni interverranno.

La sola certezza è che si sta assottigliando velocemente il residuo bagaglio di fiducia nei governanti. Esasperati e impoveriti, i ceti sociali più colpiti tornano a occupare le piazze. Chiedendo risposte immediate che sono, in gran parte, impossibili. È vero, avremo sempre più bisogno di tecnici. Ma a guidarli occorrono leader all’altezza di una sfida epocale. Se l’Europa continua a smarrirsi nei meandri delle proprie burocrazie, nessun paese riuscirà a salvarsi da solo.

di Mauro Calise.

(“Il Mattino2, 12 aprile 2021).

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