Federico II e la modernità del Sud

Il bel romanzo storico di Raffaele Nigro su Federico II e la sua età (“Il cuoco dell’imperatore”, La nave di Teseo editore, pp.751) è stato pubblicato a ridosso di tre anniversari rilevanti per la cultura nazionale e, in particolare, pugliese -i cento anni della nascita di Pasolini, il primo anno della morte di franco Cassano e i venti anni di quella di Carmelo Bene- che hanno dato vita a dibattiti e a una convegnistica con al centro soprattutto la questione meridionale. A mio avviso, chi ha letto il libro di Nigro è stato messo sicuramente in condizione di avere una maggiore sorveglianza critica rispetto al confronto su tale tema.

L’autore infatti si tiene lontano tanto da molte ricostruzioni del pensiero dei tre quanto dalla condivisione del loro pensiero. Non c’è niente nel libro che lo avvicini a Cassano e al suo “pensiero meridiano” (cosa, per la verità, che si era già vista nei suoi romanzi precedenti): all’idea che si incunea di dover considerare pregi quelli che sono, sicuramente e oggettivamente, limiti e difetti del Sud e un positivo “punto di vista altro” la sua attuale condizione di minorità. Lontano è anche da quella particolare specie di “populismo” pasoliniano che si spaventa di fronte al rischio della omologazione del Mezzogiorno al Settentrione e che non vede più nel Sud che parla l’italiano e che abbandona il dialetto il luogo di una felicità arcaica e contadina ma un’immagine “tragica e degradata”. Anche rispetto a quello di Carmelo Bene il Sud di Nigro è assai diverso e, certamente, non è quello dei “santi che volano” e del “depensamento”. Presenta e racconta un altro Sud: un Sud la cui creatività e originalità non risiedono in modo paradossale nella sua arretratezza (Cassano) né nella sua lontananza dalle dinamiche moderne (Pasolini), ma invece proprio, come normalmente avviene, nella sua modernità, nella velocità dei suoi cambiamenti, nella precocità anticipatrice delle sue idee. Semmai, la questione da superare è che essendo tutto questo iniziato in tempi molto lontani (XIII secolo) si tende a congelarlo nel passato e a non riuscire a coglierne i forti legami con l’oggi.

Nigro fa risalire la forza ideale, la modernità culturale e politica del Sud all’azione e al progetto di Federico II e lì trova la radice principale della ricchezza di pensiero, culturale, della dignità civile e politica dell’Italia intera. Vede in Federico il “primo” italiano, assai lontano da ogni “teutonicità” e intriso invece di forte sicilianità e meridionalità. Nasce infatti a Jesi da madre normanna ma vissuta in Sicilia; è educato a Foligno e cresciuto nei vicoli di Palermo; parla il dialetto siciliano, l’arabo, il latino, il greco ma non il tedesco, imparato solo successivamente nel corso della sua campagna militare in Germania. Nigro fa un utile lavoro di pulizia liberandolo da molti stereotipi consegnatici, soprattutto, da David Abulafia. Lo storico inglese considera Federico II un “semplice” imperatore medievale, totalmente soffocato dalla sua epoca: <<un tradizionalista>>, <<un uomo fedele all’idea di crociata>>; una figura mediocre <<meno tollerante, meno lungimirante nei suoi interessi culturali, meno ambizioso e deciso nei confronti della Chiesa>>. Il profilo che ne traccia Nigro è assai diverso, molto più aderente ad una storiografia aggiornata e all’autorevole giudizio del “classico” Kantorowicz (del quale però evita, opportunamente, alcune esagerazioni).

Nel suo riandare alle origini vitali della civiltà del Sud , fa entrare nella lunga storia della questione meridionale una ventata di aria fresca, del tutto aderente alla realtà, evidenziandone appunto gli elementi di precocità e densità culturale e politica. C’è nel suo lavoro un Sud moderno e dinamico, “accelerato” sul piano della visione politica e della concezione giuridica. Il suo Federico II non è soltanto <<un imperatore medievale>>, ma colui il quale per primo in Europa, partendo dalla Sicilia, ha cercato di dar vita ad uno Stato centralizzato che passa dalla “regalità liturgica” alla “regalità giuricentrica”, che al principio di Innocenzo III del papa come verus imperator contrappone l’idea laica dell’imperatore come rex et sacerdos, lex animata in terris, non più vicarius Christi ma vicarius iustitiae, con una normazione basata sulla territorialità della legge.

Tra una ‘narrazione’ e l’altra, c’è tutto questo nel romanzo. Ed altro ancora. C’è un Sud federiciano che ha fondato a Napoli la prima università pubblica al mondo; a Salerno, l’università di medicina; la prima scuola del diritto italiano; che ha varato le Costituzioni di Melfi, vale a dire un monumento giuridico postfeudale che apre alla modernità del diritto laico; che si è nutrito della rinnovata lettura del naturalismo aristotelico e del razionalismo arabo averroista; che è stato iniziatore della lingua e della letteratura italiane; che ripensa l’intera cultura ereditata e la proietta in avanti di secoli.

Con “Il cuoco dell’imperatore” ci immergiamo nelle origini del dinamismo storico del Sud, in un “pensiero meridiano” non solo privo di lagne e di sterili introversioni, ma consapevole di contenere il nucleo vitale della modernizzazione politica e culturale del Paese. Per questo, sarebbe bene allora -come consiglia Umberto Cerroni- ripensare l’intera tradizione intellettuale meridionale non più nei termini in voga, e riproposti con forza anche nei giorni appena trascorsi, ma nei termini di una modernità culturale e storica <<saldamente collegata (a differenza di altre tradizioni italiane) al problema dello Stato>>, del diritto e della politica.

Egidio ZACHEO

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