Genialità dell’… Amica geniale

So benissimo che è di pessimo gusto voler imporre agli altri le proprie letture: per analogia, di conseguenza, anche le corrispondenti visioni. Ma qui debbo fare un’istintiva eccezione. Se avete seguito su RaiUno, nei quattro martedì sera di programmazione, con replica il venerdì su RaiPremium per impossibilitati, ritardatari o semplicemente voglioso di rivedere, gli otto episodi della serie diretta da Saverio Costanzo, dal primo degli quattro volumi del fantastico romanzone di “Elena Ferrante”, potete tranquillamente fermarvi qui: non trovereste nel prosieguo nulla che non abbiate già pensato per conto vostro. Del resto sono andati di pari passo i consensi unanimi –cosa più unica che rara- della critica e il clamoroso assenso del pubblico (sfiorati complessivamente i 30 milioni di spettatori: share e audience a livelli inauditi). Una moltitudine di spettatori andata oltre la già nutritissima legione di fanatici lettori (a maggioranza femminile, d’accordo: ma non solo) del capolavoro letterario. Con la generazione di un’altra clamorosa ondata, non più solo potenziale, che ha riportato il libro al vertice delle classifiche di vendita libraria, dalle quali peraltro non è mai uscito per ben sette anni, dall’apparizione originaria appunto del primo volume ora trascritto per il teleschermo. Cose da far impallidire le teniture di Broadway.

Ma se invece state leggendo incuriositi, e non avete ancora affrontato né i libri né la serie tv, andate avanti perché ho davvero la speranza di convincervi a farlo. Chi non lo ha ancora sperimentato, se lo ritiene legga prima il volume iniziale (L’amica geniale volume primo. Infanzia, adolescenza, ed. e/o, 2011, trentaduesima ristampa 2018) per evitare di lasciarvisi “sovrapporre” la prepotenza straordinaria degli icastici volti, ambienti, suoni, situazioni e atmosfere dei telefilm. Chi non abbia dimestichezza col pc e lo streaming potrà ora trovare per quattro settimane in edicola, seppure un po’ a caro prezzo, via via l’intera serie in allegato a “Repubblica” (che si era già dimostrata un po’ esosa nei mesi scorsi, quando offrì in pari modalità l’altra straordinaria telesaga recente, The Young Pope di Sorrentino). Ma, se ora state leggendo, vorrà dire che qualche attinenza -almeno elementare come la mia- l’avrete, e allora, se non l’avete, come penso, già fatto da soli, è il momento giusto per scoprire www.raiplay.it, dove, con un oceano di altre cose interessanti, tutte le otto “puntate” sono visibili, replicabili, interrompibili e riavviabili a qualsiasi ora del giorno e della notte. E una volta tanto gratis.

Due idee in croce per legittimare di contenuto questa uscita. Prima cosa: RaiUno ci ha stupiti. Tristamente abituati da lustri a fiction più o meno impresentabili (con rare eccezioni: le migliori fa piacere le abbia firmate il nostro giovane regista amico concittadino Luca Ribuoli: dovremo deciderci a parlarne) eccola improvvisamente proporci una novità dal livello qualitativo obiettivamente vertiginoso, in una spericolata ma centratissima operazione internazionale in cui sono state coinvolte HBO, TimVision  e la parte più scafata dei produttori indipendenti nazionali. Dando vita oltretutto a un esito che porterà l’Italia, Napoli, la Ferrante e la splendida musicalità della parlata napoletana sottotitolata, per noi come per tutti, a una moltitudine di paesi, tale da cominciare a emulare i famosi 190 toccati dallo strapotere di Netflix.

Intendiamoci, non è una sorpresa il livello registico di Saverio Costanzo. Nei quattro lungometraggi finora firmati per il cinema, il figlio dell’immarcescibile Maurizio dal 2004 al 2014 non aveva sbagliato un metro: Private, In memoria di me, La solitudine dei numeri primi e Hungry Hearts mi sono apparsi –fatta salva la relativa osticità tematica, derivativa dai romanzi di Giordano e Franzoso, per gli ultimi due- uno più bello e riuscito dell’altro (con una personale predilezione, a livello di gusto, per il secondo). Già rivenlandolo oltretutto attento e sensibile trascrittore letterario. Persino la sua precedente serie tv Rai-HBO, In Treatment, con Castellitto presenza fissa nei panni dell’analista, non aveva sfigurato nonostante una certa ovvietà del soggetto, accentuata dalla sua origine mutuata. Né tanto meno lo sono i magnifici collaboratori: i cosceneggiatori, con autrice e regista, Piccolo e Paolucci, il magnifico direttore della fotografia Cianchetti, l’autorevole montatrice Calvelli. Nessuno di loro è una scoperta di oggi: semmai lo è il musicista, Max Richter, famoso per buone ragioni anche cinematografiche agli occhi dei cultori, ma “nuovo” per noi e il grande pubblico, anche quello che si presume informato (il magnifico spartito già discografat da Deutsche Grammophon col titolo internazionale, My Brilliant Friend).

Ma una vera chiave di volta della riuscita sono stati il casting (Laura Muccino, Sara Casani), l’ambientazione (Elio Maiello), la scenografia (Giancarlo Basili) e i costumi (Antonella Cannarozzi). Tutti gli attori impiegati sono di ‘”esattezza” fisica e di una bravura interpretativa che lascia letteralmente senza fiato ad ogni singola sequenza. Dai pochissimi già relativamente noti, peraltro confinati nelle piccole parti dei “camorristi”: Antonio Pennarelle che compare come don Achille solo alla fine del primo episodio (e la morte personale, nel frattempo sopravvenuta, gli ha anche tolto la soddisfazione di potersi vedere!); Antonio Milo che prende la parola praticamente solo nel finale. O che non si vedono ma si sentono: l’appropriatissima voce narrante della grande Alba Rohrwacher. C’è anche Fabrizia Sacchi nella parte della rassegnata signora Sarratore. Ma il vertice è stato raggiunto con gli infiniti provini che hanno portato alla scelta delle quattro protagoniste debuttanti, le due bambine e le due adolescenti-adulte: se le Lenù di Elisa Del Genio e a seguire Margherita Mazzucco sono già fantastiche, le Lila di Ludovica Nasti e poi soprattutto, “cresciuta”, di Gaia Giraci sono sensazionali fino all’ipnosi dello spettatore. La piccola Nasti, nelle interviste, si è forse un po’ montata la testolina, ma quando si emerge su di un mare di migliaia di “provinate” la cosa è difficile da evitare, e quando si ricorre ai “presi dalla strada” diviene un rischio fatale, come ci ricordarono De Sica indirettamente da Ladri di biciclette a Umberto D, e più esplicitamente Visconti realizzando Bellissima.

L’elevatissima qualità visiva e stilistica, che permane senza oscillazioni e senza strappi per le quasi otto ore complessive di filmato in cui sono state riversate le 310 pagine del “volume primo”, introdotte da felicissimi titoli di testa a successione fotografia familiare che sono l’esatto equivalente visivo dell’indispensabile “Indice dei personaggi” che la Ferrante ha premesso a tutti i quattro volumi, si ostenta clamorosamente fin dai quasi 10’ del primo prologo, quello che si svolge nella prima elementare dell’attonita maestra Olivero (una straordinaria Dora Romano).

Se ci si rifà alle precedenti trascrizioni dalla Ferrante, dai suoi primi due libri di analogo peso letterario, lo spettatore ricorderà un pieno successo (L’amore molesto firmato da Mario Martone, 1995) e in clamoroso scacco (I giorni dell’abbandono di Roberto Faenza, 2005). Il contrasto incuriosisce: ma si scopre che l’”anonima” e misteriosa scrittrice era stata coinvolta nella sceneggiatura del primo (con lo stesso regista) e non in quella del secondo (di Arduini, Gentili e Del Bello, anche qui con lo stesso regista). Sarà un caso, ma che fa pensare: nella scrittura scenica dell’Amica geniale Ferrante c’è, anche se solo, a detta di Costanzo, a livello di intensa scambistica e-mail. Anche se risulta, con tutta la buona volontà collaborativa, difficile credere che a questo punto, congedata la prima serie e sul punto di decollare (marzo: vedi conclusione last minute di questo pezzo) le riprese della seconda, Costanzo davvero non conosca l’identità della sua musa ritrosa. Anche se francamente non è questione di vita o di morte conoscere carta d’identità, indirizzo di casa, gruppo sanguigno e numero di scarpe della (o delle/dei…) Ferrante: personalmente avevo trovato piuttosto sgradevole e invadente il saggio di “giornalismo d’inchiesta” con cui due anni, frugando addirittura in estratti-conto bancari privati, Claudio Gatti ne aveva svelata l’identità per il supplemento cultura domenicale del “Sole24 ore”. Anche se probabilmente ci aveva preso o si era quanto meno assai avvicinato.

Un’altra cosa straordinaria, di cui oltretutto lo spettatore anche avvertito non si accorge probabilmente subito, è che la straordinaria lingua partenopea che funziona da trampolino insostituibile del maestoso decollo del film, nel libro… non c’è! L’amica geniale cartacea è… tutta in italiano, anche se vi si fa un “basso continuo” di riferirsi all’uso dell’idioma dialettale talmente pervasivo e convincente che chi legga non si accorge del contrario. Intelligentissima e decisiva la scelta di ricorrere al dialetto, “parificando” di fronte alla sua soave misteriosità il pubblico internazionale, e confermando la scelta sempre discussa di Visconti e dei suoi collaboratori all’epoca de La terra trema. Come per i pescatori di Trezza, anche per gli abitanti del “rione” periferico partenopeo nel quale la trama è ambientata, l’italiano dall’immediato dopoguerra non poteva essere “la lingua dei poveri”.

E qui ci avviciniamo alla chiave di volta dell’operazione. L’amica geniale di Costanzo è un incredibile recupero critico aggiornante della cultura neorealista. Le citazioni qui sparse di De Sica e Visconti non sono casuali: e se l’omaggio a Rossellini con la caduta che imita quella della Magnani in Roma città aperta non è forse il momento più riuscito e credibile, provate a guardare, ad esempio, l’abbigliamento del padre e del fratello di Lila nella loro botteguccia di “scarpari”, e dite se non vi rammenta all’istante proprio La terra trema e i suoi protagonisti. Costanzo ha dovuto anche compiere scelte drastiche: chi ha letto i libri sa che non è di secondaria importanza il fatto che “l’amica geniale” (Raffaella Cerullo: sempre ammesso che sia lei ad esserlo e non la sua “narratrice” Elena Greco: dibattito aperto…) sia chiamata da tutti Lina ma, solo dall’inseparabile “Lenù”, Lila. Gli sceneggiatori hanno dovuto optare per il solo “Lila” erga omnes: ma sarebbe stata un’impresa disperata e sviante pretendere di importare anche nel parlato del film la distinzione. E così via.

Non tutti i personaggi riescono ovviamente a prendere fiato in questa prima presumibile parte dell’operazione, esattamente corrispondente al primo dei quattro volumi del romanzo: ma l’attenzione minuziosa con cui Costanzo ne sottolinea anche in passaggi presso che istantanei la presenza sembra già voler presupporre, se non il progetto, certo l’ipotesi o l’aspirazione di proseguire nel discorso. La Elena sessantenne della prima inquadratura, al di là dell’appropriata e quasi inevitabile scelta di una simile apertura, appare già la promessa, se l’interprete -…- non verrà persa di vista, di un eventuale futuro e non ravvicinato recupero, se e quando si tratterà di affrontare, come milioni di lettori/spettatori ipoteticamente confideranno, le… pagine conclusive del quarto volume. Era forse dai tempi del Gattopardo libro e film (1958-1962) che la cultura italiana non registrava un fenomeno collettivo simile.

E infine, ciliegina-dono natalizio finale, è già in avviata fase di preparazione, sempre ad opera dello stesso vastissimo gruppo artistico e tecnico, la trascrizione del secondo volume, Storia del nuovo cognome: ad annunciarlo sono stati Casey Bloys, presidente di HBO Programming e Fabrizo Salini, nuovo amministratore delegato della Rai, in una conferenza stampa tenuta alla Villa Pignatelli di Napoli. All’indomani della trionfale messa in onda degli ultimi due capitoli della serie iniziale.

Mi sono dilungato anche troppo ma in misura insufficiente rispetto alla ricchezza dei testi di riferimento. Per fortuna il mensile cui collaboro abitualmente, “Cineforum”, ha giustamente deciso di dedicare un prossimo speciale al lavoro di Costanzo. Per quanto mi riguarda vi contribuirò con un… “tavolo di smontaggio” dove cercherò di analizzare a fondo, paragrafo a paragrafo e sequenza a sequenza, il dare/avere Ferrante/Costanzo. O, se preferite, Ferrante scrittrice/Ferrante sceneggiatrice. Non sarà una passeggiata, ma che fascino egualmente pregustarla.

Commenta per primo

Lascia un commento

L'indirizzo email non sarà pubblicato.


*