Ghilini e il Monferrato

“Quel che più basso fra costoro s’atterra,

guardando suso, è Guglielmo marchese,

per cui Alessandria e la sua guerra

fa pianger Monferrato e Canavese.”
(“Purgatorio”,133/136)

Con questi versi Dante parla dell’annosa contesa fra Guglielmo VII Aleramo e il comune di Alessandria, che ha radici dalla fondazione di quest’ultimo, fiero avversario dei ghibellini.

Col passare del tempo le fazioni perdono il loro significato originario, si affermano nuove signorie e altrettante dominazioni, ma la rivalità rimane.

Mentre però Alessandria diventa il baluardo occidentale del ducato di Milano ormai spagnolo (1535), Casale assume il ruolo di capitale del Monferrato (1435). Funzione in precedenza ricoperta da Chivasso (sede preferita), Moncalvo, Pontestura, Trino, Valenza e, per un breve periodo, Asti. Soggiorni più che capitali. Non era una anomalia, un esempio su tutti il regno di Sicilia: al tempo di Federico II di Svevia, la capitale era Palermo, ma lo “Stupor mundi” amava soggiornare in diverse città del suo regno, a cominciare da Foggia, la più amata.

L’avvento dei Paleologhi e la perdita di Chivasso sanciscono il nuovo ruolo di Casale. Una capitale vera, centro amministrativo dello stato come vuole la tradizione bizantina di cui sono portatori i nuovi signori del marchesato.

Un ruolo che verrà rafforzato con la creazione di una zecca (1445) dalla quale usciranno molte monete di alto livello artistico. E questa zecca continuerà a funzionare anche quando ai Paleologhi succederanno i Gonzaga.

Con Federico Gonzaga (1536/1540) il Monferrato diviene una dipendenza di Mantova, che amministra il territorio tramite un governatore residente a Casale, il centro d’ irradiazione delle direttive gonzaghesche.

Sudditanza che non muta neppure quando il marchesato verrà elevato al rango di ducato (1573).

Casale è il centro principale di un territorio strategico attraversato dalla strada franca e dal cammino delle Fiandre, percorsi dalle truppe spagnole per le operazioni militari in Germania e nei Paesi Bassi.

I tercios, provenienti dalla Spagna, giunti a Genova via mare, si dirigono verso Alessandria attraverso i gioghi appenninici, proseguendo il loro cammino sulle strade suddette fino alla meta finale.

E’ un territorio che va protetto, ecco perché Carlo V lo assegna ai fedeli Gonzaga (1536), dopo l’estinzione della casata paleologa, e perché il duca Vincenzo spenderà una fortuna per trasformare Casale in una piazzaforte fra le più munite d’Europa.

il Monferrato non sarebbe mai stato completamente perso fino a quando la propria capitale avesse resistito impegnando quelle migliaia di uomini necessari ad occupare tutto il territorio.

Sugli assedi di Casale e sulle relative operazioni Girolamo Ghilini dedica numerosi paragrafi dei suoi “Annali di Alessandria”. Questi sono una semplice cronaca in cui vengono indicati quanti tercios vengono impegnati, quali nazioni li compongono (spagnola, napolitana, lombarda, alemanna), il numero dei cavalli e dei cannoni di assediati ed assedianti.

Ghilini è un uomo ispirato ai valori della cavalleria ed apprezza l’eroismo da qualunque parte provenga, riferendosi all’attacco spagnolo alla città nella Pasqua del 1640, parla di “valorose sortite” da parte degli assediati (1640/2).

Non ama i traditori anche quando questi operano in favore degli spagnoli.

Chiama “fellone” un luogotenente del castellano francese Espfedel, un certo Geral, quando questi, accordatosi con il marchese Camillo Gonzaga, appoggiato dagli spagnoli, per 2000 doppie, praticamente apre le porte del castello di Casale alle milizie gonzaghesche e poi, consegnatosi agli spagnoli, con un pretesto, fugge verso Mantova per ritirare il premio. (1652/28)

Il Monferrato è considerato da Ghilini una terra strettamente legata al territorio alessandrino per i forti rapporti che intercorrono, a cominciare dal flusso di operai monferrini verso la pianura per i lavori stagionali, ad esempio la mietitura, e dalla gran quantità di moneta milanese e monferrina circolante nei due territori.

Ghilini non nutre astio verso i monferrini, anzi rivolge nei loro confronti parole di pietà quando subiscono le angherie e le vessazioni dei vari eserciti.

Parlando del famigerato Maramaldo e della sua occupazione di San Salvatore, avvenuta in due momenti diversi dell’agosto 1526, così si esprime:” Vi tornò alli ventisei con una parte delle suddette sue truppe, tiranneggiando nuovamente con grandissime storsioni e impietà quei poveri Monferratesi li ridusse a termine, che per liberarsi delle sue tirannie e per farlo partire con la gente, li donarono duecento scudi.” (1526/7).

Duecento scudi, appena sufficienti a pagare il soldo di qualche giorno a quella masnada ma una grossa somma per gente che viveva del duro lavoro della terra e che spesso non vedeva una moneta d’oro in tutta la propria esistenza.

Fare un calcolo in termini odierni non è facile, un computo grossolano ed impreciso è quello di moltiplicare il valore attuale di un grammo di oro con il peso dei 200 scudi (g. 3,25 uno scudo) o di 2000 doppie (g.6,60 una doppia).

L’atteggiamento muta quando il discorso cade sui singoli marchesi o su personaggi legati a questi ultimi. Lapidaria l’annotazione 1418/2:” Morì quest’anno Teodoro marchese di Monferrato, il quale all’esempio degli altri marchesi suoi antecessori fu il nemico degli alessandrini. “

Nemici sono i marchesi, con le loro ambizioni, non certo i loro sudditi con i quali gli alessandrini convivono da sempre. Comunque non è inimicizia assoluta se si pensa ai momenti in cui i ghibellini di Alessandria si appoggiano proprio ai signori del Monferrato per attuare i loro progetti di presa del potere.

Ma se verso i signori si manifesta ancora il rispetto formale dell’aristocratico, diverso è l’atteggiamento nei confronti di personaggi come Facino Cane, che l’autore spesso indica solo con il nome di Cane e non si capisce se per comodità o per qualche recondita allusione.

Di Facino, l’autore apprezza le doti militari ma non l’ambizione e tanto meno la spregiudicatezza con cui approfitta delle difficoltà del suo signore, Giovanni Maria Visconti, signore di Milano, alle prese con le tendenze centrifughe dei domini ducali successive alla misteriosa morte di Gian Galeazzo (1402).

Il condottiero, con il pretesto di riconquistare quei territori, assume il ruolo di vero e proprio tiranno, che, al contrario di Cesare Borgia, non ha la protezione di un potere superiore. Anzi sono i potenti che si appoggiano a lui, a cominciare dal marchese Teodoro II paleologo, quando gli chiede aiuto per allontanare i francesi da Genova e prenderne temporaneamente il controllo (1409).

Facino nell’intento di imporre la propria tirannia sulle città piemontesi e lombarde manifesta tutta la sua ferocia e Ghilini non gli fa sconti:” Il suddetto Fazino, che aveva da Bologna condotto, fece prigione il Monghino, gentiluomo di quella città, lo mandò il secondo giorno del mese di agosto a Valenza ed ivi poco dopo lo fece vivo gettare nel Po.” (1404/11)

“Alli quattro del suddetto mese(agosto) il duca di Milano diede il governo di Alessandria ad esso Fazino, il quale con l’inganno si fece subito padrone di tutte le rocche e poscia lasciato il nome di governatore, pigliossi il titolo di signore di questa città.” (1404/12)

Riferendosi ai capitani caduti prigionieri del tiranno nei pressi di Bosco Marengo conclude così:” Fece prigioni quei capitani e poco dopo li fece con ogni crudeltà e ingiustizia strangolare.” (1407/1)

Non ebbero miglior sorte Tomaso e Opizio Trotti e Guido dal Pozzo, nobili alessandrini cari al re di Francia Carlo VII. Accusati di tradimento vennero catturati e torturati. Non confessarono, allora Facino fece impiccare i loro congiunti e amici.” Di poi Tomaso e Opizio furono squartati ivi, condannò finalmente Guido ad essere legato ad un palo e poscia con una spada passato da banda a banda affinché restasse in questa maniera morto e perciò fece pubblicare quel tiranno un editto, ordinando che chiunque desiderasse esser suo amico, mettesse le micidiali mani nella persona di Guido. ”(1407/2)

Non si avvicinò alcuno, se non un certo Zanotto Orecchia, un assassino di mestiere (“homo infame e omicida”) che finì il povero Guido.

Non ebbero miglior destino i guelfi della famiglia Guasco, Vincenzo, Gabriello e Cristoforo, che, catturati in momenti diversi, furono decapitati. (1411/1-2)

Ghilini ritiene che Facino sia una vera iattura per Alessandria che fece divenire una città triste e solitaria. (1404/9)

Egidio Lapenta

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