Girolamo Ghilini e il (non) miracolo della Madonna del Pozzo

La storia del miracolo e della fondazione del santuario della Madonna del Pozzo è narrata da Elio Gioanola in “Martino de Nava ha visto la Madonna”, per cui dell’evento in questa sede verrà presentato solo un breve sunto.

Siamo nel 1616, durante la prima guerra del Monferrato, causata dal duca Carlo Emanuele di Savoia nel tentativo di strappare ai Gonzaga il marchesato.

Nel conflitto intervengono gli spagnoli, garanti dei duchi di Mantova, sia per tenere sgombra la strada che collega Milano alle Fiandre, sia per impedire un rafforzamento dei Savoia, e anche dei francesi, nel nord Italia.

Quindi in questa occasione i soldati spagnoli di passaggio a San Salvatore sono amici. Ma quello che succede a Martino de Nava in quell’epoca può capitare a tutti i combattenti in generale ,amici o nemici.

Nel ‘600, “il secolo di ferro” (96 anni di guerra), gli eserciti sono composti essenzialmente da mercenari, fatti salvi, in parte, i tercios spagnoli. Il problema principale per questi soldati è la paga, quando non è corrisposta, cosa frequente, gli si dà mano libera nei saccheggi, che non riguardano solo città e paesi conquistati, ma pure quelli amici, anche perché fra civili e militari spesso giocano differenze di natura nazionale o religiosa.

Ai saccheggi si aggiungono gli incendi, gli stupri, oltre gli obblighi di contribuzione (in moneta d’oro), di rifornimento e di alloggio, quest’ ultimo può durare anche molti mesi.

Non c’è quindi differenza fra popolazioni amiche o nemiche e queste guardano i soldati allo stesso modo, sono una iattura oltre che causa di malattie: mediamente in un reggimento un soldato su quattro è portatore di un morbo spesso contagioso.

Anche nelle rappresaglie contadini e borghigiani non fanno distinzioni: alleati o nemici i soldati sono sempre da colpire.

A Martino de Nava, il 15 maggio 1616, succede proprio questo. La sua compagnia, partita da Valenza, giunta nei pressi di San Salvatore si trova in difficoltà: fa troppo caldo per il mese di maggio, gli uomini hanno sete e non c’è acqua, quindi qualcuno esplora i dintorni per trovare un pozzo o una fonte.

Fra gli esploratori c’è Martino, che, nelle vicinanze di una piccola cappella, trova un pozzo a livello del suolo e quindi si inginocchia, o si stende a terra, per attingere acqua con un secchiello. Ma non fa in tempo a concludere l’operazione che viene colpito ripetutamente alle spalle.

L’aggressore, per coprire l’omicidio ed evitare rappresaglie, getta il corpo del malcapitato nel pozzo.

Alla base di tutta questa crudeltà non c’è solo paura ma anche tanto rancore.

Gioanola identifica l’aggressore in un tal Vicentone, che ha molto da far pagare a quel soldato spagnolo.

La moglie, la Spampana di Castelletto, donna di facili costumi, ha abbandonato lui e la figlia per seguire un “papagayo” spagnolo. La figlia poi, Maddalena, già corta di mente, ha subito le violenze di un gruppo di sbandati, che, dopo avergli saccheggiato la casa, aveva quasi ridotto in fin di vita Vicentone.

“Occhio per occhio”, solo che il contadino colpisce uno fra i soldati spagnoli più devoti alla Madonna.

Martino finisce nel pozzo, incosciente. Il contatto con l’acqua, nonostante le gravi ferite, lo fa rinvenire. Annaspa. Si aggrappa ad una grossa radice di albero. Ad un certo punto si sente spingere verso l’alto dall’acqua che sale e all’imboccatura del pozzo trova una donna con un bambino in braccio che lo aiuta ad uscire e lo accompagna, sorreggendolo, fin presso l’accampamento.

L’uomo però vi giunge solo e agonizzante. Ai primi soccorritori parla in modo confuso di una donna che lo ha salvato dopo l’aggressione. Di questa non c’è traccia. Viene cercata nei dintorni, perché sia premiata, ma non si trova. Si pensa quindi al delirio di un moribondo.

Verrà accertato che veramente Martino è stato salvato dalla Madonna e il miracolo avrà uno strascico il 15 agosto dell’anno successivo (1617) con una sorta di redenzione dello stesso Vicentone, tornato a San Salvatore, dopo esserne fuggito, per tentare di uccidere quello che non era più un soldato ma ormai un eremita.

E ’importante, perché proprio nello stesso giorno si stava celebrando nel luogo dell’apparizione, con una messa solenne, la posa della prima pietra di quello che un giorno sarebbe divenuto un santuario.

La notizia del miracolo si diffonde nei territori vicini e giunge sicuramente fino a Valenza, luogo di partenza della compagnia di Martino, e ad Alessandria, grande base militare spagnola, grazie al passaparola dei soldati.

E‘ una notizia difficile da tenere nascosta eppure non c’è traccia negli “Annali” del Ghilini. Qui sono registrati non solo eventi politico – militari e di cronaca ma anche religiosi.

Per esempio, nell’anno 1591/3 si parla di una immagine della Madonna dipinta su una rozza colonna, a Mondovì, che fa miracoli e causa anche crisi di isteria collettiva prontamente placate dalle preghiere del sacerdote.

Ghilini non è stato a Mondovì, non ha visto la colonna ma la cita per sentito dire. Dell’episodio di San Salvatore invece niente. Eppure è impossibile che non ne abbia avuto notizia proprio grazie all’andirivieni dei soldati da Valenza ad Alessandria.

E ’impossibile anche perché Girolamo Ghilini appartiene ad una delle famiglie più nobili di Alessandria, i cui membri ricoprono incarichi politici e militari al servizio del re di Spagna. Lo stesso Girolamo nel 1616 è nominato capo della difesa del quartiere Marengo ed è impossibile che non abbia mai avuto colloqui con Juan Bravo de Laguna, governatore di Alessandria dal 1621 al 1625 e in precedenza mastro di campo e superiore di quel don Aguillar capitano e soccorritore di Martino dopo l’aggressione.

Bravo de Laguna poi ebbe occasione di parlare con il miracolato, sciogliendolo dal vincolo militare, insistendo con il clero locale sulla buona fede del soldato e facendo una donazione in denaro per la costruzione di una cappella che ricordasse l’episodio.

E ’pure impossibile che i due uomini di fede e di governo non abbiano mai avuto occasione di parlarne. Fatto sta che Ghilini non cita l’episodio nella sua opera. Lo riteneva solo il frutto del delirio di un uomo scampato per poco alla morte? O c’era dell’altro?

Scorrendo però gli “Annali” appaiono alle date 1616 e 1617 due notizie particolari:

1616/5: “ Di poi la Vergine Santissima, che fuori dalle mura di questa città si riverisce nella chiesa di Loreto, alli vent’uno di esso mese (giugno) operò un miracolo in Cecilia Margarita figlia del conte Percivalle Valperghi Torinese; imperochè venendo ella da li bagni di Acqui, dove si era trasferita per guarire di una pericolosa caduta, che fece dal scendere da una scala, con la quale si ruppe in maniera l’osso sagro, così chiamato dai medici, che rimase immobile e paralizzata, passò per Alessandria, e entrata nella suddetta Chiesa, per dimandare a Maria Vergine grazia di recuperare la salute; e mentre sentiva la messa, raccomandatasi divotamente a quella , si levò da sola in piedi senza aiuto alcuno, li cadevano in un subito tutte le fascie dei medicamenti, che haveva sopra il corpo per causa di infermità, ricuperò incontanente la sanità, mantenendo affatto libera d’ogni male.”

1617/ 18: Frattanto acquistò grandissima divotione de’ suoi divoti la statua della Madre di Dio Vergine Santissima, che nella chiesa di Loreto con gran frequenza si riverisce fuori delle mura di Alessandria; poiché operò un meraviglioso miracolo in un cittadino di Casale in Monferrato, cieco di anni cinquanta, in quale nel suddetto tempio divotamente raccomandatosi a quella benignissima Reina, dispensiera di tutte le grazie, ottenne di essa alli 14 di Agosto la vista, ricuperandola così chiara e immacolata, che pareva non fosse mai stato a cecità di sorte alcuna soggetto.”

Sono notizie di due miracoli, sui quali non risulta un diretto riscontro dell’autore e di cui, al momento, non ci sono tracce nella storia della diocesi di Alessandria, eppure Ghilini è preciso nelle date, 21 giugno 1616 e 14 agosto 1617, e nell’indicare nome e provenienza dei miracolati.

La chiesa è quella di Loreto, ubicata allora fuori le mura di Alessandria nei pressi della porta di Asti. Attualmente la statua allora lì presente è venerata nella chiesa dedicata alla Madonna di Loreto situata in via Plana ad Alessandria.

Le date sono a ridosso del miracolo di San Salvatore. Questo avviene il 15 maggio del 1616, a giugno la notizia si è diffusa sicuramente anche nel territorio alessandrino; il 14 agosto 1617 precede quello della cerimonia religiosa che si tiene a San Salvatore per celebrare l’evento e dare avvio alla costruzione di una cappella dedicata alla Vergine Maria.

E ’solo coincidenza o con quelle notizie si vuole lanciare un altro messaggio? I miracoli avvengono ovunque, pure nei pressi di un pozzo quando c’è la devozione. Anche ad Alessandria c’è devozione, nonostante la promiscuità fra civili e soldati, a volte tanto numerosi da eguagliare il numero dei residenti. E anche qui avvengono i miracoli. C’è un luogo dove si manifestano, la chiesa dedicata alla Madonna di Loreto, sita presso la porta di Asti, fuori le mura cittadine, crocevia di strade dirette verso il ducato di Savoia, il Monferrato e il milanese, quindi luogo di passaggio di tanta gente. Infatti i miracolati della chiesa di Loreto sono una contessina di Valperga, torinese, e un casalese di cui non sappiamo nome e ceto, ma possiamo ritenerlo un mercante o uno dei tanti lavoratori stagionali che frequentavano l’alessandrino. In questa chiesa, vero e proprio santuario eretto dal vescovo Pietro Giorgio Odescalchi dopo il 1602, è venerata una statua in legno intagliato e dipinto della Vergine di Loreto, benedetta dallo stesso vescovo nel 1605 in cattedrale. Questo simulacro, fino alla demolizione della chiesa durante l’assedio franco spagnolo del 1745, è sempre stato circondato di fiori ed ex voto a testimonianza della devozione alessandrina. E ’forse un modo di affermare la superiorità della città sulla campagna anche in campo religioso? E ’solo un’ipotesi, una semplice congettura, ma colpisce la totale assenza negli “Annali” di un qualsiasi riferimento alla vicenda di Martino de Nava.

Egidio Lapenta

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