Governo Draghi: reticenze e ambiguità

Il nuovo ministero Draghi si è insediato e ha ricevuto la fiducia delle camere questa settimana. La nascita di questo nuovo gabinetto ha già determinato una prima scissione nei 5 Stelle e una discussione alquanto ondeggiante a sinistra e uno scontro di rango congressuale dentro il Partito Democratico. Per essere un ‘grande conciliatore’ e ‘uomo della provvidenza’ il nostro ‘economista tecnico’ già promette di essere causa di evidenti sconquassi politici! Limitandoci al dibattito a sinistra, si confrontano due tesi che valutano diversamente la situazione che si è ingenerata in questo mese di febbraio. Da un lato vi sono i sostenitori di questo governo che adducono ragioni le più inverificate per sostenere la bontà della soluzione proposta dal Presidente della Repubblica Mattarella; dall’altra si stanno radunando piano piano i nemici delle politiche del banchiere Mario Draghi contro cui è necessario costruire a sinistra una opposizione la più adeguata possibile. Chi scrive ritiene che sia saggio non sottrarsi alla necessità di far nascere questo governo e ciò per due motivi essenziali; la scarsa reattività delle masse lavoratrici poco inclini in questa fase ad aggregarsi in una opposizione sociale che sia cosciente delle proprie ragioni, e infine, il fatto che le condizioni di emergenza economica e pandemica necessitano comunque in questo momento di un governo che agisca e gli elettori poco comprenderebbero, dunque, chi si assumesse la responsabilità di far precipitare il paese verso elezioni nel bel mezzo di una complessa campagna vaccinale. Tuttavia, ciò premesso, ritengo del tutto fuori luogo che la sinistra identifichi le proprie posizioni con quelle del governo fino a far scomparire le specificità dell’essere di sinistra stesso, che dovrebbero ben distinguersi rispetto alle posizioni che Draghi rappresenta da almeno un anno nel dibattito internazionale intorno alla crisi economica.

In effetti il nuovo ministero Draghi può essere valutato oggi potendone ponderare le prime mosse, ripromettendosi in futuro di aggiustare e approfondire giudizi di valore espressi in un primo momento. Per adesso possiamo avanzare questo elemento di caratterizzazione della nuova compagine che emerge sopra ogni altra considerazione; ovvero il fatto che il governo Draghi sia il governo della ‘distruzione creatrice’ di Schumpeteriana memoria. Nella buona sostanza Draghi si orienta a determinare un forte scossone nella economia attraverso la selezione naturale fra le attività produttive che la crisi determina. Le aziende che durante la crisi non dimostreranno più capacità di stare sul mercato non verranno salvate, favorendo così la concentrazione del capitale a beneficio delle intraprese restanti. I lavoratori in tal modo espulsi dal processo produttivo verrebbero poi riassorbiti successivamente dalle aziende tecnologicamente più avanzate. Tale soluzione della crisi pone un problema di non poco conto che è sollevato da Emiliano Brancaccio, ovvero che non vi è nessuna evidenza scientifica che i disoccupati dei settori più inefficienti passeranno facilmente e rapidamente nei nuovi settori competitivi. Inoltre, i meccanismi scatenati dalla ‘distruzione creatrice’ tendono ad approfondire l’instabilità sociale delle nostre democrazie, (si veda l’assalto a Capitol Hill da parte dei sostenitori di Donald Trump), e a provocare la rivolta dei ceti medi e dei piccoli capitali sacrificati dalla ristrutturazione capitalistica. Quali saranno, comunque, i confini e l’ampiezza di questa grande operazione di trasformazione sociale, e con quali forze sociali e politiche si intende sostenerne lo sforzo di attuazione, e ancora, quali settori sociali dovranno invece, pagarne il conto, è il grande atto di reticenza che Draghi ha compiuto questa settimana di fronte al parlamento e al paese, omettendo deliberatamente nel discorso di presentazione del suo governo di distendersi nei dovuti particolari su tali argomenti. Qui vi è un primo punto di ambiguità dell’intera operazione politica che ha portato Mario Draghi a Palazzo Chigi, perché la ‘distruzione creatrice’ che intende attuare il nostro poco si concilia con una maggioranza così ampia come quella che si attende a sostenerlo, e inoltre non vi sono garanzie che la suddetta operazione sociale riesca realmente a riattivare i meccanismi della crescita economica e che la disoccupazione di massa così creata venga realmente riassorbita in breve tempo. E’ su questo terreno che si gioca realmente la possibilità di centrare il successo per il grande banchiere di fama internazionale e un suo fallimento in tale campo determinerebbe conseguenze non calcolabili per il futuro del paese e per gli equilibri geopolitici Occidentali.

Inoltre, legata a questa prima contraddizione vi è la seconda ambiguità che emerge dall’intervento del primo ministro della settimana scorsa. Mi riferisco al fatto che Draghi afferma che il suo governo deve affrontare l’emergenza e successivamente aggiunge che il nuovo gabinetto ha il compito di fare le ‘riforme’, di ‘modernizzare il paese’ e di rilanciare la crescita di una Italia immobile da troppo tempo. La contraddizione è contenuta tutta  nel fatto che un governo di emergenza può chiedere ‘unità come dovere’ e, dunque, un ampia convergenza parlamentare, ma un ministero che intende attuare un vasto programma politico di riforme sociali e amministrative corre il rischio di rompere e restringere i confini del consenso assembleare e dei favori ampi goduti attualmente nel paese col rischio di ingenerare una ulteriore instabilità istituzionale e politica. Sarebbe uno smacco grave e curioso allo stesso tempo se questo governo nato per infondere fiducia nel ‘sistema’ si dimostrasse in realtà fonte di crisi e di perenne instabilità istituzionale.

Infine, ma solo per ordine di argomento ma non per importanza, vi è la questione del rapporto fra nord e sud del paese. Draghi, qui, ha sfiorato la omissione ‘lesiva’ non dicendo nulla sul progetto di ‘autonomia differenziata’ che pende anche sul suo governo come una spada di Damocle. E veramente non si comprende per quale miracolo di Sant’Anna sia possibile spiegare in Europa che il progetto dell’Euro necessità di una costruzione politica continentale più stringente e coerente, e poi non si sia in grado di affrontare, nemmeno per accenni, il tema di come si debba tenere unito un paese come l’Italia dove le ragioni del nord vorrebbero gestire le proprie risorse senza condividere nulla col resto della compagine nazionale.

Se questi nodi non verranno sciolti, con coerenza e coraggio, si affermerà uno scenario nuovo forse, nelle politiche sociali per forza di impatto di alcune politiche espletate, ma a livello istituzionale potremmo rasentare il consueto caos che già troppe volte abbiamo conosciuto. La netta impressione di chi scrive è che questo governo Draghi sia in realtà un enorme pasticcio, fonte di molti fraintendimenti perniciosi, più che la soluzione per ogni male più volte cercata nell’arco dei decenni. I nodi dovrebbero venir sciolti affrontandoli una ad uno e non aggrediti tutti in una volta sola dall’uomo investito di una ‘missione salvifica’. Si rischia così di cadere nella ormai desueta e dannosissima confusione fra il comandare autoritario, che non porta altro che ha disordini sociali crescenti, e il governare con autorevolezza, che si caratterizza per individuare le soluzioni possibili col massimo del consenso utile per gli indirizzi da conseguire con i mezzi più coerenti dato il fine.

Vedremo, dunque, che cosa accadrà e non mancherà certo il tempo per ritornare presto su tutto ciò.

Filippo Orlando

Alessandria 20-02-2021

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