I barbari

“(…) Oggi arrivano i barbari.
Che leggi devon fare i senatori?
Quando verranno le faranno i barbari. (…)”

Costantino Kavafis, Aspettando i barbari, in Poesie, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano 1961

Nell’articolo “E’ un errore distinguere fra populisti” (La Stampa, domenica 10 febbraio), la politologa dell’Università di Bologna Sofia Ventura ci ha spiegato che “la romanizzazione dei barbari”, ovvero quel processo di inclusione avvenuto ai tempi dell’Impero romano, oggi è inattuale, dal momento che allora “i «barbari» provenivano da oltre confine. Oggi nascono tra noi. La società e la politica si sono imbarbarite. (…) Tra le attuali illusioni, vi è oggi quella di poter «civilizzare» i meno peggio: la Lega di Salvini”. Una illusione che si fonda sull’ipotesi che Lega e M5S siano diversi. Falso, perché “L’humus culturale del secondo, ideologico, segnato da un rapporto magico con il reale, è totalitario; quello leghista richiama le «mentalità caratteristiche» degli autoritarismi: ordine, sicurezza, sviluppo, a scapito del primato del diritto, del rispetto dei diritti. Ma entrambi devono la loro forza al surriscaldamento continuo, alla creazione incessante di nemici: la Francia, i vertici di Bankitalia, domani chissà”. D’altra parte “l’esplosione di consensi della Lega è legata alla creazione di un nemico «oggettivo»: l’immigrato”. Senza contare “che nel partito di Salvini albergano posizioni reazionarie ostili alle donne, agli omosessuali, a una società libera. Civilizzarlo – si domanda Sofia Ventura – significa forse che le élites «ragionevoli» sarebbero disposte a scendere a patti con tutto questo? (…) Se una via d’uscita esiste – conclude – può essere cercata soltanto da una élite rinnovata che, piuttosto che inseguire, ritrovi quel senso di responsabilità verso la società la cui perdita ha aperto la strada ai barbari di casa nostra”.

Il ragionamento non fa una piega. Ma chi sono i barbari? Per Armand Farrachi, autore di un delizioso pamphlet sul Trionfo della stupidità (Fandango, Roma 2019) sembrerebbe di capire che i barbari siano tutti coloro “che ci pongono davanti agli occhi la prova materiale del potere degli incompetenti.” Ma non è sempre così. Prendiamo il caso dell’Analisi costi-benefici.1 Di certo non si può dire che i componenti della Commissione incaricata dal governo Giallo-Verde di effettuare l’analisi costi-benefici sulla TAV – il cui esito sta dando luogo all’insopportabile chiacchiericcio sull’inconsistenza delle cifre che si ascolta nelle trasmissioni radio e si legge sui quotidiani -, siano degli incompetenti: due sono architetti (il Presidente Marco Guido Ponti, che da architetto insegna Economia applicata al Politecnico di Milano e Riccardo Parolin), mentre gli altri quattro sono ingegneri (Paolo Beria, Pier Luigi Coppola, Alfredo Drufuca e Francesco Ramella, autore, quest’ultimo, assieme a Ponti del libro Trasporti. Conoscere per deliberare, EGEA, 2018, che si avvale della prefazione di Carlo Cottarelli).

Non avendo ancora avuto modo di leggere il libro, mi astengo da qualsiasi commento sul suo contenuto. Mi limiterò pertanto ad alcune considerazioni di carattere generale sul metodo utilizzato dai tecnici per valutare l’opportunità di portare a termine un’opera, peraltro già iniziata, avvalendomi del pensiero di due economisti: il Premio Nobel Amartya Sen e quello di John Maynard Keynes, l’inascoltato profeta del Novecento, colpevolmente misconosciuto ad una parte consistente degli economisti e, comprensibilmente ancorché giustificatamente, ignorato dai competenti che praticano “la disciplina dell’analisi costi-benefici”.

L’incipit dell’interessantissimo articolo del Premio Nobel Amartya Sen, apparso nel 2000 su una importante rivista della Chicago Law School, intitolato enfaticamente “La disciplina dell’analisi costi-benefici”, recita:

“La disciplina dell’analisi costi-benefici — se di disciplina si tratta — possiede campioni senza paura, così come risoluti detrattori. Trattasi, in parte, di una battaglia tra giganti, condotta da intellettuali di grande spessore da entrambe le parti, abili nel brandire dei potentissimi strumenti di straordinaria efficacia, ma che, almeno in parte, si traduce in una disputa tra grandi esperti in soliloquio, abilissimi nel sostenere i rispettivi punti di vista, con alcuni, meno afflitti di Amleto, che sostengono l’«Essere», e altri il «Non essere»”.2

Per gli esperti è sicuramente un legittimo punto di vista. E tuttavia, considerando l’uso strumentale (e quindi politico) che viene fatto di una metodologia che guarda ai flussi delle entrate e delle uscite, sono andato a rileggermi il capitolo XII della Teoria Generale di Keynes, non a caso intitolato “Lo stato dell’aspettativa a lungo termine”, laddove l’inascoltato profeta del Novecento, contrappone lo stato delle aspettative a lungo termine (tipico delle decisioni relative alla spesa per un investimento “reale”) con quello a breve termine (che caratterizza una decisione riguardante un investimento finanziario).

Gli uomini d’affari giocano una partita mista di abilità e fortuna – sottolinea Keynes –, i cui risultati medi per i giocatori non sono noti a coloro che entrano nel gioco. Se la natura umana fosse assolutamente insensibile all’attrattiva di tentare la sorte e alla soddisfazione (a parte il profitto) di costruire una fabbrica, una ferrovia, una miniera o una fattoria, il freddo calcolo potrebbe non essere sufficiente da solo a dar luogo ad un investimento cospicuo”.

Non aggiungo commenti che sarebbero perfettamente inutili e fuorvianti. Mi limito solo a riportare quanto, nell’intervista concessa a Gian Antonio Stella su 7 del Corriere della Sera del dì di S. Valentino, Matteo Renzi dice di sé: “Io ero il barbaro”. Che non abbia ragione Sofia Ventura nel sostenere che allora “i «barbari» provenivano da oltre confine”, mentre oggi i barbari di casa nostra “nascono tra noi”?

Alessandria, 15 febbraio 2019

1 Rubo la definizione dell’Analisi costi-benefici dal Nuovo Dizionario di Economia (Esselibri, Napoli 1998): “Metodo di valutazione di convenienza economica di una decisione sulla base della somma algebrica di tutti i suoi effetti monetari. E’ adottata laddove l’operatore pubblico debba scegliere fra opzioni diverse quella che assicuri l’allocazione delle risorse più efficiente, ovvero quella che comporti il maggiore aumento del benessere sociale” (p.24). Coloro che intendessero documentarsi sull’importanza di questa metodologia applicata alle infrastrutture e ai trasporti, con particolare riguardo al caso della TAV, si veda l’interessante “guida a una corretta analisi costi benefici” di Tatiana Cini, Giuseppe Siciliano e Roberto Zucchetti sul sito di lavoce.info.

2 A. Sen (2000), “The Discipline of Cost-Benefit Analysis”, The Journal of Legal Studies, Vol. 29, No. S2, June 2000, pp. 931-952. Il brano riportato è frutto della nostra libera traduzione.

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