È stato detto e – giustamente – ripetuto che la Napoli di oggi è molto diversa da quella di 33 anni fa. Che lo scudetto di allora fu il miracolo superindividuale di Diego, quello costruito in questi mesi nasce da un grande lavoro di squadra. Dei giocatori, dell’allenatore, del management. E di una città che dimostra di avere imboccato finalmente una strada – e un metodo – diversi. In breve, è una vittoria che viene da lontano. Ma un cambiamento ancora più importante riguarda il peso che il nuovo scudetto riveste per il futuro della città. Nell’era della comunicazione globale, la vincita del campionato può essere uno straordinario fattore di sviluppo.
I primi due scudetti riguardarono fondamentalmente il calcio. Si, è vero, l’impatto emotivo fu enorme, il sentimento di riscatto e rivincita nel segno di Maradona attraversò tutti i quartieri. Ma si trattò di una vicenda napoletana. Con poche conseguenze fuori dalle mura cittadine. E fuori dagli stadi. Perché il calcio – pur con tutto l’attaccamento dei tifosi – aveva una sfera di richiamo, di influenza, di contaminazione infinitamente minore di quella odierna. Basta pensare al giro finanziario, dagli investimenti proprietari agli incassi pubblicitari, e al moltiplicatore che il sistema televisivo svolge su scala internazionale. Si, per nostra fortuna, Napoli è una città diversa. Ma è anche enormemente diversa la posta in gioco economica del campionato che abbiamo vinto.
Ed è questa posta che va capitalizzata e sfruttata. Cogliendo tutto il potenziale del nuovo peso che il brand Napoli si è conquistato. Giustamente, su queste colonne, Giorgio Ventre ieri ha richiamato l’attenzione sul fatto che «ormai Napoli è vista sempre di più come una città di arte e di scienza, di sapori e di bellezza, di caos creativo e di accoglienza». Per ciascuno di questi fattori, la visibilità mediatica dello scudetto rappresenta la possibilità di un salto quantico.
Ovviamente, il cambiamento di passo più immediato riguarda l’appeal turistico, a partire dai varchi che si aprono nella conquista di nuovi tifosi. Fino a ieri, il mercato nazionale era saturo, appaltato da tempo alle squadre storiche del palmares scudetto: la Juventus e le due milanesi. Ma ancora più difficile era guadagnarsi attenzione nell’arcipelago internazionale presidiato dai giganti inglesi e spagnoli della Champions. Certo, avrebbe aiutato centrare l’obiettivo della Coppa, che era sembrato a portata di mano. Ma – anche grazie al revival del mito di Maradona e al prorompere sulla scena di un goleador della statura di Osihmen – l’audience del Napoli vede finalmente importanti possibilità di espansione. Una crescita che si traduce immediatamente in visibilità della città. E in un trend al rialzo dei visitatori.
Più difficile da quantificare, ma strategicamente più importante, è la ricaduta sugli altri settori – dall’arte alla tecnologia e al prestigio della rete universitaria campana – dell’impennata del brand Napoli. Molto dipenderà da come la classe dirigente – al comune e in regione come ai vertici degli atenei e delle aziende di punta – riuscirà a interpretare questa sfida. Ma l’abbrivio iniziale è decisivo. La vera e propria apoteosi visuale – con le immagini della città in festa di folle entusiaste e panorami mozzafiato andate in onda per giorni interi – è un fenomeno inedito nel palinsesto televisivo globale. È uno spot no-stop con un messaggio inequivocabile e, al tempo stesso, emozionante: il Mezzogiorno d’Europa è tornato in campo. E ha tutte le carte per restarvi.
Mauro Calise
(“Il Mattino”, 8 maggio 2023)
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