Il socialismo di Occhetto

Nel suo ultimo libro (Perché non basta dirsi democratici. Ecosocialismo e giustizia sociale, ed. Guerini e Associati), che l’autore considera tante cose -il suo <<lascito>>, la sua <<elaborazione del lutto>>, il suo <<testamento>> -, Achille Occhetto si propone innanzitutto di aggiornare i <<fondamentali>> per <<il programma di una nuova sinistra rifondata nella sua identità>>. Si tratta di un compito senz’altro commendevole ma arduo per chiunque e specialmente per chi, come il Nostro, rinuncia a darsi una imbastitura di riferimento. Il libro, infatti, è pieno zeppo di “suggestioni” ma disordinato. Come negli altri, anche in questo Occhetto ci mette un po’ di tutto e conferma che l’attitudine a dare ordine alle riflessioni non è proprio il suo forte. Non è agevole capire quale sia davvero il punto di vista politico-culturale dal quale legge la modernità. L’impressione è che manchi un solido ancoraggio e che vada dietro a tutte le novità senza filtrarle criticamente e, spesso, assumendole semplicemente ripetendole così come le trova. Con Occhetto la sinistra non riesce ad esprimere autonomia di pensiero perché è rimasto tendenzialmente un movimentista e in quanto tale poco incline ai vincoli limitanti delle idee.

In questo libro si parla molto di socialismo: ci troviamo davanti a uno zibaldone sul socialismo. Occhetto vuole il socialismo proprio quando risulta essere molto debole e proprio dopo aver dato egli stesso una buona mano per indebolirlo, azzerando, da ultimo segretario, l’intero patrimonio del Pci. Parla soprattutto di ecosocialismo, di un socialismo, appunto, che non riesce a reggersi da solo e che per stare in piedi ha bisogno di essere “eco”. Comunque sia, non è cosa da poco per un ex comunista di vertice dirsi socialista di questi tempi, in cui Veltroni nelle apparizioni pubbliche cancella ciò che è stato e si qualifica come <<scrittore e regista>> e in cui D’Alema scopre una impetuosa e non molto lodevole vocazione di lobbista. In questo panorama pieno di detriti, Occhetto appare -bisogna ammetterlo- di una coerenza da apprezzare.

Ma il socialismo di cui parla è del tutto “irregolare”. Gli ampi riferimenti al pensiero di Antonio Labriola riguardano solo il passato, sono un resoconto di ciò che in un’altra era è stato detto e che non può in nessun modo parlare all’oggi. Per Occhetto l’attuale <<capitalismo della sorveglianza>>, la <<sharing economy>> di oggi, la pratica dell’<<out sourcing>>, i dispositivi degli <<stock buyback>> richiedono non solo un aggiornamento del socialismo, ma un nuovo pensiero socialista. Capire però quale sia questo nuovo socialismo non è cosa facile. La <<società altra>> a cui fa riferimento ha un percorso tortuoso, di un andare e tornare come nel gioco dell’oca: dobbiamo essere democratici, ma non basta senza l’uguaglianza; femministi, ma in modo più radicale altrimenti non serve; ecologisti ma stando molto attenti a non rifare gli errori dell’ambientalismo; a favore della scienza e della tecnica ma con cautela. E’ assente qualsiasi ragionamento su un minimo di impalcatura istituzionale. Sin dal titolo del libro l’autore ci porta fuori strada affermando che <<non basta dirsi democratici>> e autorizzando, così, il lettore a chiedersi: dirsi che cosa, allora? Antidemocratici? Oligarchici? Totalitari? Assolutisti? E’chiaro che Occhetto sottovaluta la forza liberatrice ed eguagliatrice della democrazia politica. Vorrebbe quello che vorremmo tutti: che fosse sempre accompagnata dalla giustizia sociale. Non considera, però, che in nessuna parte del mondo democrazia e uguaglianza sociale coincidono e che per il raggiungimento di tale “coincidenza” proprio la democrazia è lo strumento indispensabile.

E’su questo rapporto decisivo che Occhetto sbanda vistosamente. Eppure per mettere meglio a fuoco la questione gli sarebbero potute essere d’aiuto anche poche pagine, per esempio, del Gramsci dei “Quaderni”, dove si dice che <<la democrazia politica tende a far coincidere governanti e governati>> e che processo democratico significa che <<ogni cittadino può diventare “governante” e che la società lo pone nelle condizioni generali di poterlo diventare>>. Il socialismo di Occhetto, insomma, non riesce a coniugare in modo convincente il rapporto con la democrazia. Per questo appare fragile allo stesso autore, a tal punto da indurlo a chiamare in soccorso di una grande tradizione politica, ricca di idee e di teorie, movimenti occasionali benché importanti. E’così che per Occhetto il socialismo o diventa “eco” o non è, e che il movimento della giovanissima Greta Thunberg diventa quasi un modello.

Anche nell’affrontare il rapporto uomo-società-natura Occhetto non sfugge ad una certa approssimazione e alla rinuncia all’aiuto di alcuni “fondamentali” del socialismo, secondo il quale tra l’uomo e l’altro uomo e tra l’uomo e la natura esiste un legame che non può essere tagliato. L’ecologismo che divide la società dalla natura e la natura dalla società non fa altro, allora, che darci una visione unilaterale dell’una e dell’altra. Anche qui Occhetto avrebbe potuto trarre giovamento, per esempio, dalla lettura delle (poche) pagine ,dove il giovane Marx scrive, contro ogni visione dicotomica, che <<la natura che diviene nella storia dell’uomo, nell’atto di nascita della società umana, è la natura reale dell’uomo>> e che pertanto <<la storia stessa è una parte reale della storia naturale>>. Bisogna allora proprio convenire con Emily Dickinson quando con una battuta molto efficace dice: <<Credevo che bastasse la natura finché non venne la natura umana>>.

Egidio ZACHEO

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