Inconsistenza

Mi piace riferirmi alle grandi metropoli che ho visitato o nelle quali ho vissuto.

Parliamo della più grande, Londra: è stata per lungo tempo e senza discussioni la capitale del mondo, quando la Gran Bretagna aveva un impero colossale e di esso Londra era l’ombelico.

Ma come mi sono rapportato personalmente con questa grande città? Indubbiamente è stata una immersione linguistica, di vita, di cambio costumi, ma anche una liberazione dalle incrostazioni del pesante provincialismo italiano, che è tutt’oggi presente.

Londra è stata per me un esplodere di libertà, di conoscenza, di teatri, di cinema, ma anche di vita sociale così diversa da quella peninsulare.

Però quei sei mesi sono stati anche una sorta di assuefazione a modelli di vita non stringenti, non dittatoriali, per cui la loro accettazione era, singolarmente, facile.

Londra rappresenta per me quindi non un ricordo, ma un momento costruttivo della mia educazione, un mattone fondamentale.

L’altra metropoli, Parigi, l’ho frequentata ad intermittenza, l’ho vista e rivista durante i miei anni di lavoro in Francia, senza potermi sottrarre al suo fascino, al suo charme.

Avete presente il film “Midnight in Paris” di Woody Allen? Ebbene Parigi ha lo stesso effetto su di me che nel film esercita su Owen Wilson, una sorta di caduta in un sogno da cui non si può uscire, poiché si sa che fuori c’è il vuoto.

Non voglio essere peregrino, ma l’effetto di Parigi è quello di un labirinto in cui ci si perde senza pensare troppo alle nozioni pratiche quanto al rimpianto che si prova per essere, appunto, usciti da quel labirinto.

Le storture, le brutture, presenti in quella città, sembrano scomparire di fronte al “magic” che essa provoca.

E poi, per un mitteleuropeo come me, come sfuggire all’incanto di Vienna, di cui forse non ho colto tutti i sapori, ma sicuramente e fortemente, quello straordinario rapporto con la musica, con i concerti, con l’opera, che sembrano unirsi in un unicum inscindibile.

Vienna quindi come musica eterna, non localizzabile in un periodo.

Infine Roma, “bella e impossibile” come recita la nota canzone, bella perché piena di duemila anni di storia ed arte, impossibile perché incapace di gestire tanta bellezza per altri secoli ancora.

Addirittura vorrebbe gestire l’Italia intera e proporsi come capitale d’Europa quando, lo sappiamo bene, è incapace di badare a se stessa.

Sento provenire da Roma leggi e proposte incredibili, come se la corte dei miracoli che la dirige fosse capace di suggerire ai maggiorenti delle altre regioni come devono comportarsi e come devono pensare.

Il concetto di capitale travisato, agendo come se gli altri, i provinciali, dovessero essere assoggettati alle volontà del centro.

Ma dove sta scritto? Qual è il testo sacro che lo afferma? Non credo esista, come non esistono le prerogative di un centralismo gaglioffo.

Carlo Cattaneo aveva dieci, cento, mille volte ragione nell’affermare che ogni regione italiana ha una sua storia e un suo diritto di governare se stessa, legandosi blandamente in uno stato federale.

Faccio un riferimento cinematografico: mi sono sempre piaciuti molto Alberto Sordi e il primo Carlo Verdone, poiché nelle loro commedie descrivevano personaggi (romani) tutti trucchi e intrallazzi,  ma anche pregni di umanità e con un fondo di inevitabilità.

Quella era commedia, ilare, gioiosa, ma che faceva meditare.

Il problema è che dalla capitale arrivavano ed arrivano personaggi che vogliono trasformare le commedie in tragedie, incuranti delle loro perniciose azioni, e che pensano di bastonare i provinciali come fossero degli asini da soma.

Viator

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