Kurdistan: la repressione dimenticata. A Parigi tre morti in un nuovo attentato.

Lo scorso venerdì, il 23 dicembre, a Parigi, un cittadino francese, William Mallet ha assassinato 3 cittadini curdi e ha ferito altre 5 persone. Mentre la procura e alcuni esponenti del governo sostengono che si tratti di un attentato razzista, la comunità curda pretende che il caso venga analizzato come sospetto atto di terrorismo. Per alcune persone questo attentato ricorda quello di dieci anni fa quando furono assassinate 3 donne curde sempre nella capitale francese.

Ercan Jan Aktas è un rifugiato politico curdo di cittadinanza turca e vive in Francia da qualche anno. Ercan ha deciso di chiedere asilo in questo paese dato che la sua obiezione di coscienza contro il servizio militare obbligatorio non è un diritto riconosciuto in Turchia. Il 23 dicembre Ercan si trovava a due passi dal luogo dell’attentato, nella sede dell’Associazione Espace Universel dove lavora. “Appena ho sentito le notizie mi sono recato sul posto del delitto. Ho visto alcuni miei amici in crisi di nervi. C’è venuto in mente immediatamente l’attentato del 2013 quando furono assassinate Fidan Doğan, Sakine Cansiz e Leyla Şaylemez”. In pochi minuti si reca sul posto un procuratore e definisce l’accaduto come un attentato razzista dato che Mallet aveva precedenti simili ed era appena uscito dal carcere, con la condizionale. Tuttavia queste dichiarazioni non hanno soddisfatto la folla arrabbiata e le prime proteste personali si sono, in poco tempo, trasformate in una grande manifestazione e poi in pochi minuti sono partiti gli scontri con la polizia.

“Mi sono trovato coinvolto in numerose manifestazioni di protesta nella mia vita ma così tanto non sono mai stato malmenato. In pochi minuti ero per terra e la polizia mi prendeva a calci e mi manganellava, sono svenuto. Alcuni miei amici mi hanno portato in un punto di primo soccorso poi all’ospedale. Tuttora sono pieno di lividi, ematomi e ferite. Da giorni non riesco nemmeno a cambiarmi da solo”.

L’attentato è avvenuto proprio nel momento in cui si sarebbe svolta una grande riunione organizzativa per le cerimonie di commemorazione di Fidan, Sakine e Leyla visto che il 9 di gennaio saranno passati ormai dieci anni dalla loro morte. Era previsto l’arrivo di una trentina di persone, per la maggior parte donne, presso il Centro Culturale di Ahmet Kaya.
Tuttavia la riunione è stata annullata a causa dello sciopero dei ferrovieri. L’attentatore nel suo primo tentativo prova a entrare dentro questo centro e colpisce Evin Goyi poi assassina Mîr Perwer e Abdullah Kızıl, in un ristorante e nel negozio di un barbiere, sempre gestiti da curdi. L’attentatore tra il secondo e il terzo assassinio torna indietro per accertarsi che Goyi fosse morta e la colpisce un’altra volta.

“Perwer era un musicista importante, attivo nell’associazione e viveva in Francia da due anni come rifugiato. Anche Kizil era un rifugiato politico ed era in visita nell’associazione. Infine Goyi era un’ex militante che ha lottato contro l’ISIS in Siria, faceva parte del Consiglio del KCK e viveva in Francia da qualche anno come rifugiata”. Secondo Ercan, l’attentatore aveva come obiettivo il Centro Culturale di Ahmet Kaya e sapeva della riunione. Quindi si potrebbe trattare di un attentato studiato e organizzato bene.

Aram era fuori Parigi nel giorno dell’attentato. Ha partecipato alle manifestazioni di protesta del giorno dopo, sabato. “Ci sono numerosi punti interrogativi e poca trasparenza finora, esattamente come l’attentato di dieci anni fa. In diversi angoli dell’Europa dove ci siamo rifugiati per sentirci al sicuro ormai sono anni che gli ultranazionalisti e i servizi segreti di Ankara agiscono e colpiscono i curdi oppositori. Anche stavolta lo stato francese sostiene che si tratti di un semplice attentato razzista ma secondo me è stato un attentato terroristico contro i curdi e l’attentatore non è possibile che abbia organizzato tutto da solo. Oggi mi sento in pericolo in tutti gli angoli di Parigi”.

Il processo che riguarda l’attentato del 2013 aveva evidenziato l’eventuale presenza dei servizi segreti turchi. L’attentatore era un cittadino turco, Omer Guney, ed è morto (cancro al cervello) nel 2016 durante la sua detenzione. Subito dopo, il caso è stato archiviato e dopo numerose proteste e ricorsi nel 2019 è stato riaperto. Vari partiti politici in Francia e Turchia, numerosi avvocati e i compagni delle vittime sostengono che si tratti di un attentato puramente politico, organizzato da Ankara, soprattutto visto il passato di Fidan (membro KCK), Sakine (una dei fondatori del PKK) e Leyla (coordinatrice dell’area giovanile del PKK).

Aram è un rifugiato politico e si trova in esilio perché durante lo stato d’emergenza dal 2016 al 2018 è stato licenziato e denunciato. Aram lavorava come teatrante in lingua curda nella compagnia teatrale del Comune di Diyarbakir. In quel periodo l’intera giunta, del partito d’opposizione HDP, è stata sospesa, vari consiglieri sono stati arrestati, compresa la Sindaca dell’epoca, Gültan Kışanak.

Come era naturale aspettarsi, i mezzi di propaganda del regime in Turchia hanno rilasciato dichiarazioni completamente allineate. Subito dopo l’attentato dello scorso venerdì,  hanno sottolineato la posizione politica delle vittime definendole come dei “terroristi”. A dettare questa linea è stato il portavoce del Presidente della Repubblica, Ibrahim Kalin. Il braccio destro del Presidente ha mandato un tweet con il video delle proteste e gli scontri, dicendo che lo stato francese subiva le conseguenze della scelta di sostenere i “terroristi” in Siria.
Kalin si riferiva alle unità di difesa popolari, YPG e YPJ (definite come organizzazioni terroristiche da Ankara) che hanno lottato contro l’ISIS con il sostegno di circa 50 paesi, tra cui anche Parigi. Insomma, una sorta di “ve lo meritate”.

“Non è arrivato nessun messaggio di cordoglio da Ankara e i media main stream hanno targato le vittime come terroristi. Qui, in Francia, il governo è convinto che si tratti di un attentato razzista esattamente come una buona parte dei media. Noi invece siamo convinti che si tratti di un attentato terroristico. L’attentatore come ha fatto procurarsi una pistola anche se non aveva il porta armi? In dieci giorni, dopo la sua uscita dal carcere, come ha fatto a trovare un’arma e così tante munizioni? Risulta che l’attentatore abbia fatto pure un sopralluogo qualche ora prima. Come può essere stata possibile questa cosa se era sotto sorveglianza? Secondo le leggi francesi, ci sono tutti i requisiti per valutare il caso come terroristico. È necessario analizzare le relazioni che ha costruito l’attentatore durante la sua permanenza per un anno in carcere prima di uscire”.  Sahin Polat vive in Francia da 36 anni ed è uno degli attivisti de Le Conseil démocratique kurde en France (CDK-F).

Secondo Polat un attentato realizzato da un anziano accusato di essere “squilibrato” e nel cuore della capitale della Francia rende più debole il sistema di sicurezza del Paese. Inoltre il fatto che accada per la seconda volta nel giro di dieci anni, sempre nella stessa zona della città e sempre contro i curdi, fa sì che la Francia risulti un paese che non è in grado di proteggere gli immigrati, i rifugiati politici e soprattutto i curdi.

“Forse se avessimo avuto più chiarezza e trasparenza sul caso di Fidan, Sakine e Leyla oggi non avremmo vissuto ciò che è accaduto. I Curdi continuano a pagare salato il conto di aver lottato contro l’ISIS in Rojava, di resistere per la costruzione di una società democratica in Turchia e di essere in prima linea nella rivolta popolare in Iran. Mentre la Francia risulta ricattabile e in parte anche sotto il controllo di Ankara”.

Sabato, 24 dicembre, è stata organizzata una grande manifestazione di protesta a Parigi. Secondo Ercan c’erano circa 40 mila persone ma la polizia francese non aveva bloccato tutte le strade che davano su Place de la République. Dunque ad un certo punto, in mezzo alla folla, è apparso un furgone con le mani che spuntavano dai finestrini che facevano il segno dei “lupi grigi”, formazione turca ultranazionalista. In pochi secondi la folla ha iniziato a seguire il mezzo e questo episodio si è trasformato in un pomeriggio di scontri con la polizia.

Anche il giorno dopo, domenica, 25 dicembre, è stata organizzata una manifestazione di protesta, stavolta davanti al Centro Culturale Ahmet Kaya e senza incidenti. Uno  spazio sociale e politico che prende il suo nome dal famoso cantautore curdo di cittadinanza turca che ha perso la vita in esilio, a Parigi, nel 2000, a causa di un infarto a 43 anni.

Il Centro Culturale Ahmet Kaya resta aperto tutto il giorno per ricevere le visite e condoglianze. Una volta finite le pratiche burocratiche è prevista una cerimonia per le persone assassinate. Inoltre ci si aspetta una manifestazione di massa per il 9 di gennaio.
Stavolta, purtroppo, non sarà un evento di commemorazione solo per Fidan, Sakine e Leyla ma anche per Evin, Mir e Abdullah.

Come Sahin e Aram anche Ercan parteciperà a questa grande manifestazione: “In diversi attentati, in Turchia, mi sono salvato per un pelo, in passato. Come quello di Ankara, del 2015. Mi trovo oggi in Francia, dove mi sono rifugiato, per vivere in pace ma provo lo stesso sentimento. Questo mi terrorizza”.

Immagini dal “Makhmoura Refugee Camp – Zakho distr”. Iraq. In ricordo del nostro amico (direttamente conosciuto in loco nel 2018) Eminet Abdullah Amid, ucciso durante una incursione aerea turca.

https://medyanews.net/turkish-drone-strike-on-makhmour-refugee-camp-kills-one/

Le altre immagini per g.c. Ria-novosty e BieloNews

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